Uscendo dallo Stadio Grande Torino domenica eravamo così inveleniti con il destino che avremmo potuto trovare cinque motivi soltanto pescando nell’ampio sacco della sfortuna che si era abbattuta così pesantemente contro i nerazzurri. Pensavamo anche: “Ma tutta questa buona sorte (usavamo un altro vocabolo più corto e maschile) perché il Torino non la sfoggia mai contro la Juve (e riandavamo a un gol di Bellomo al novantesimo sul 2-3 per l’Inter in dieci 5′ minuto nel 2013, o al gol al 94′ a San Siro di Moretti, dopo una partita dominata dai nerazzurri)…
Ma aggrapparsi solo alla sfortuna non aiuta a fare passi avanti. E allora procediamo a un’analisi un po’ più dettagliata

1. L’Inter ha perso perché non ha fatto gol (non perché ne ha subito uno).

Questo significa che sarebbe ingiusto prendersela con la difesa per il gol subito. Pur prendendo un gol si sarebbe potuto vincere 2-1, o 3-1. Anche domenicala difesa ha concesso solo tre tiri in porta: soltanto leggermente al di sopra della media delle precedenti sei partite. Con questi tre saliamo a quattordici tiri in porta concessi in sette partite (due a partita). Tanto per dare una misura: la Juventus ne ha subiti sei solo contro il Benevento (il triplo rispetto alla nostra media attuale). Il gol tra l’altro nasce da uno sfortunato auto-assist di Perisic (che è sesto nella classifica generale degli assist-man, ma speriamo che torni a operare verso la porta giusta) ed è stato chiuso da sul secondo palo da Ljajic: un ex ha chiuso a 539 minuti la striscia di imbattibilità che era partita dal gol di un altro ex: Pandev. Infine, a sottolineare la perfidia del destino, il gol è stato segnato seguendo i dettami dell’unico vero schema che Mazzarri ha portato alla Pinetina: la chiusura sul secondo palo.

2. L’Inter ha perso perché non ha fatto gol (perché non gioca in contropiede).

Questa affermazione va un po’ spiegata altrimenti rischia di sembrare assurda. Nel turno di campionato di domenica il Torino ha battuto l’Inter con 3 tiri in porta contro 11, la Fiorentina ha battuto la Roma con 2 tiri in porta contro 8, il Chievo stava battendo il Napoli con 2 tiri in porta contro 13 (poi diventati 15) e il Sassuolo il Milan con 3 contro 9 (poi diventati 11). Poi i gol nel finale di Napoli e Milan hanno riequilibrato un po’ la statistica, che resta comunque 5 gol su 10 tiri in porta per Torino-Fiorentina-Chievo-Sassuolo e 3 gol (e tutti nel finale) su 45 tiri in porta per Inter-Roma-Napoli-Milan. Se dovessimo attenerci a questi numeri parrebbe che per vincere le partite occorre NON tirare in porte. Ma cosa avevano in comune tutti questi match? Che le squadre con più occasioni le hanno avute tutte contro difese schierate. Domenica sera a Sky, Alessandro Del Piero (spiace dargli ragione) ha sottolineato che le squadre di vertice non giocano più tanto in contropiede, tranne la Lazio che, se non proprio in contropiede, ha un suo modo di agire con folate offensive efficacissime ed ora è prima per gol fatti.

3. L’Inter ha perso perché non ha fatto gol (nemmeno su corner).

L’Inter, al momento, è la squadra di Serie A che ha avuto più corner a favore. Questo in qualche modo si sposa bene col dato di prima: è un segnale che attacchiamo (troppo) spesso contro difese schierate. Per dire: la Juve, che è seconda di un solo gol alla Lazio per reti segnate, è dodicesima (avete letto bene: dodicesima) con la Spal per corner a favore. Se è prima per corner a favore, non è prima per percentuale di gol segnati per ogni corner (la Lazio, ma anche il Milan vanno meglio dell’Inter): arrivavamo alla partita di domenica con una media di un gol segnato ogni 36 corner battuti. Ecco: contro il Torino, ne abbiamo avuti ben 16, e rimanendo in media quasi una possibilità su due (il 44% per la precisione) di segnare su corner. Non è andata bene: ma è obbligatorio che li tiri tutti Cancelo?

4. L’Inter ha perso perché quando ha fatto gol questo non è stato convalidato.

Il caso del gol di Brozovic è uno dei più complessi della storia del calcio (e della VAR). In breve: c’è un fallo al limite dell’area granata ai danni di Borja Valero il quale resta a terra. Tagliavento, un po’ troppo impulsivamente, non concede il vantaggio, ma fischia una punizione per l’Inter. In una frazione di secondo il fischio si esaurisce e la palla è ferma: Brozovic tira e segna. Tutti pensano che lui abbia tirato a gioco fermo, perché la punizione era già stata fischiata. Lo pensa lo stesso Brozovic che non protesta. Ma, a termini di regolamento, la punizione poteva già essere quella: cioè il tiro di Brozovic! Non sta infatti scritto da nessuna parte che si debba attendere per la ripresa del gioco: una squadra può battere subito la punizione (se non chiede la verifica della distanza). Poco importa che Brozovic non avesse nessuna intenzione di battere la punizione e forse, tirando, voleva solo sottolineare polemicamente che l’arbitro avrebbe potuto concedere il vantaggio. Ma il fatto di battere “involontariamente” fa parte degli errori del calcio. In questo caso si trattava di un errore che si sarebbe potuto convertire in un vantaggio per chi lo aveva commesso. Se accetti di accollarti gli svantaggi di battere “inavvertitamente” male una punizione (ad esempio l’avversario ti può rubare il pallone), puoi anche beneficiare dei (rari) vantaggi quando si verificano. E poco importa anche che i giocatori del Torino ritenessero che il gioco fosse ancora fermo (nessun difensore si oppone, Sirigu non si butta) e che fossero in procinto di formare la barriera: non sta scritto da nessuna parte che l’attaccante debba attendere la formazione della barriera. Insomma: Tagliavento sbaglia due volte (a non concedere il vantaggio e a non convalidare il gol), ma nemmeno la VAR analizza l’accaduto con la dovuta accortezza. Se ne accorge soltanto, a posteriori, l’ex-arbitro Luca Marelli. Poi, nella notte, richiesto di commentare l’accaduto, ospite da Fabio Caressa, il designatore Rizzoli minimizza dicendo che se teoricamente ogni squadra ha diritto di riprendere il gioco subito, battendo la punizione velocemente, di fatto sta all’arbitro decidere se ci sono effettivamente le condizioni per la ripresa del gioco e in quel caso Tagliavento, sempre secondo il parere di Rizzoli, ha ritenuto che non ci fossero le condizioni, anche perché Borja Valero era ancora a terra. Spiegazione che non ci convince affatto.

Va detta una cosa: in futuro si potrebbe studiare un metodo per far sì che sia assolutamente evidente quale dei vari tocchi che una squadra effettua dopo aver subito un fallo, sia quello effettivamente da considerare come il calcio di punizione e non, ad esempio, un semplice tocchetto al pallone per spostarlo verso il punto di battuta (ci fu un caso vagamente simile con Chiellini in Juventus-Inter). Basterebbe chiedere a un giocatore della squadra che deve battere la punizione (e che si trovi nei pressi del pallone di alzare entrambe le mani): il successivo tocco di pallone è quello che lo rimette in gioco (e non ci sarebbe nemmeno bisogno che a toccare il pallone sia lo stesso che ha alzato le mani: e questo permetterebbe di continuare a fare giochetti, finte e controfinte). Ma finché non c’è questa regola, sarebbe stato opportuno convalidare il gol di Brozovic, anche se lui dovesse ammettere di aver tirato “inconsapevolmente” la punizione.

5. E poi, comunque, la sfortuna.

Chiudiamo dicendo che 21 pali in 31 partite sono qualcosa di enorme. L’Inter è prima per km percorsi, per corner, per gol di testa, ma anche per pali e traverse. L’Inter è qualcosa di speciale, sempre. Non siamo mai banali. E poi, se vi piace uno sport dove vince il 99.9% delle volte chi lo merita davvero, allora dovete seguire solamente il tennis.

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