Intervenuto a margine del Wired Next Fest, Lele Adani ha parlato della sua carriera come telecronista, dei compiti che ha e di come si lavora da commentatori tecnici. L’opinionista ed ex calciatore nerazzurro, però, è tornato anche sulla proposta di Mancini quando, per la seconda volta, si è seduto sulla panchina dell’Inter.
Queste le sue parole:
-Rifiutato la chiamata di Mancini?
Uno cerca di confermare o dare continuità a quella che sente come vocazione. Era un percorso che stavo vivendo da diversi anni, quello del racconto, della divulgazione del calcio, è una cosa che si ama, che si sente dentro, grazie anche al confronto continuo con la gente, oggi viene data la possibilità di unire passione e professione. Ho avuto un’altra opportunità da Roberto Mancini che mi chiamò per fare il suo primo assistente. A un certo punto uno crede che un percorso possa essere preferito anche se magari contro corrente a un’idea comune, ma perché lo sente nell’anima, sente che ha ancora una strada da percorrere e in cui migliorarsi, anche se le situazioni potevano essere vincenti entrambe ho preferito ciò che avevo e ciò che sentivo.
-Come si valuta oggi un calciatore?
Il calciatore oggi va valutato in più fasi della sua vita – e non ho detto carriera – perché il calciatore è un uomo per prima cosa e non si è tutti uomini a 16 anni, quindi non è giusto bocciarli poi a 20 anni. Nessun giocatore in nessun settore sarà più evoluto a 20 anni che a 25, io non ne ho mai conosciuti. A 20 anni poi magari potevi promettere e a 25 anni hai buttato tutto nel c***o, dipende da te, ma la crescita, il percorso deve portare a una miglioria a 25, 30 anni. Ho avuto compagni di squadra, colleghi, che erano più forti a 28 anni e gente che già a 18 anni già spostava gli equilibri. È nel percorso. Devi andare al cuore, cosa che spesso si trascura, e andando al cuore riesci a capire le debolezze, riesci ad accettarle e condividerle. Ci sono tante figure attorno al calciatore, psicologo, allenatore, preparatore, genitore, procuratore che devono saper trovare le chiavi giuste. Il giocatore è un’azienda, purtroppo anche già a 18 anni, e va gestito differentemente tra un elemento e l’altro, senza dimenticare che il calcio è uno sport di squadra.
Sul discorso del linguaggio (in particolare in riferimento a determinate espressioni usate) e della ‘lavagna tattica’: “Dobbiamo creare empatia con chi ci ascolta e dobbiamo saper avere un linguaggio comune. Il ‘vertice’ De Rossi, ok. Per cinque mesi faremo fatica a capirlo, però è il centrocampista centrale che in maniera errata viene chiamato regista. È una cosa che mi fa diventare matto, divento matto. Discostatevi da chi dice che il centrocampista davanti alla difesa è un regista, non è vero: il regista non è un ruolo, è un compito. Tutti immaginiamo regista Pirlo, quindi tutti pensiamo che chi giochi lì davanti debba essere Pirlo, non è vero. Ogni giocatore gioca con le proprie caratteristiche. Se poi mi dici che tra le tante caratteristiche un centrocampista centrale deve avere compiti di regia è un’altra cosa. Unificare il linguaggio è indispensabile per unificare il calcio“.
-Batitsuta?
Ho avuto la fortuna di giocarci a Firenze un anno. Travolgenti le sue gesta tecniche in campo, per un compagno di squadra anche. Importanti, poi, e che segnano la crescita anche di un ragazzo che veniva dalla Serie B come me le parole ed anche i silenzi. Non era un capitano di grandi discorsi, ma ho notato alcune cose anche in segreto che mi ha spinto a comprendere perché si è campioni. Batistuta ha segnato il calcio anche da un punto di vista fisico, fa fatica a camminare per il problema alle caviglie. Abbiamo giocato insieme a Firenze, poi l’ho ritrovato all’Inter qualche anno dopo. Lui aveva male alle caviglie, ma non rinunciava mai ad un allenamento supplementare, nonostante il dolore. L’ho visto calciare da solo a Coverciano, poi gioire sui gol, ma contro nessuno, perché non c’era il portiere, era solo per trovare la porta. Poi nello spogliatoio io l’ho visto quasi piangere dal dolore di nascosto. Il migliorarsi sopra al dolore di un capitano, trascinatore, con una città ai suoi piedi, il soffrire e il piangere in silenzio dal dolore è una lezione non di calcio ma di vita, io non lo dimentico, sono contento di raccontare questi episodi.
-Un talento?
I talenti crescono come i funghi. Un giocatore che per me diventerà fortissimo nel calcio italiano è Zielinski. Per me sarà tra i più forti d’Italia e d’Europa. È pazzesco, riduce completamente il discorso di ruolo in mezzo al campo, unisce qualità e quantità e rappresenta il prototipo del calciatore moderno. Se dovessimo andare in Sudamerica, dico Vinicius Junior, il 2000 più pagato nella storia. Tra qualche anno aspettiamoci questo ragazzo prendersi le scene. Chiesa? In un anno scarso è migliorato tantissimo, per vedere meglio Federico dal vivo sono andato di proposito in Polonia, non perché me lo ha ordinato Sky. È una delle espressioni migliori del nostro calcio.
(Fonte: Wired)