Dieci anni dopo, finalmente una semifinale europea. I tifosi interisti alla vigilia hanno piacevolmente riscoperto sensazioni lasciate per troppo tempo nel cassetto dei ricordi: tensione, voglia, timore, anche un pizzico di giustificata emozione. Il popolo nerazzurro è tornato a respirare aria di grande calcio, di alti livelli. Ma la semifinale di ieri contro lo Shakhtar Donetsk è stata completamente diversa dall’ultima, quella del 2010 contro il Barcellona. Se al Camp Nou era stata l’apoteosi della sofferenza, della resilienza, quella di Dusseldorf è una partita caratterizzata dal dominio nerazzurro, ben rappresentato – per una volta – dal tabellino finale: 5-0 senza appelli. Quasi che l’Inter si sia resa conto che molti tifosi, dieci anni fa più giovani e più capaci di reggere determinate sofferenze a tratti disumane, si meritassero una partita più tranquilla. Con lo stesso risultato. Obiettivo raggiunto: dieci anni fa ce ne andavamo a Madrid, oggi si va a Colonia!

La notte del Toro

L’infortunio di Sanchez ha lasciato l’Inter con soli due attaccanti a disposizione, senza nessuno che – in una partita tirata – possa dar loro il cambio. Ma che attaccanti! Partiamo da Lautaro Martinez, che negli ottavi e nei quarti contro Getafe e Bayer Leverkusen aveva dato vita ad una sorta di staffetta, intorno all’ora di gioco, proprio con Alexis Sanchez. Questa volta il cileno non c’è, ed il carico di responsabilità sulle spalle del Toro è molto più pesante. Ma da grande giocatore qual è, il numero 10 non tradisce. Se già nel finale di campionato contro Napoli e Atalanta aveva fatto rivedere la sua classe ed era tornato il vero Lautaro, contro Getafe e Leverkusen si era confermato giocando due ottime partite ma mancando l’appuntamento più atteso per un attaccante: quello con il gol. E allora eccone due: uno con un’incornata da Toro sfruttando un delizioso cross di Barella (impressionante quanto la rete sia simile a quelle realizzate con Spal e Cagliari in campionato), l’altra con una finta di corpo classica del suo repertorio e uno splendido piattone all’angolino. Ma non finisce qua, perché l’argentino non si accontenta, vuole mandare in rete anche il suo gemello, Romelu Lukaku, quello con cui ha formato una meravigliosa coppia d’attacco da 54 gol in due. “Lautaro e Lukaku sono stati la vita per noi“, aveva detto Conte nelle settimane passate. E continuano ad esserlo, entrando nell’olimpo delle coppie europee. Il Toro serve a Big Rom sul piatto d’argento la rete del 4-0, poi il belga si mette in proprio e segna il quinto gol con un’accelerazione impressionante, specie se effettuata al minuto 83. È una coppia impressionante, l’anima dell’Inter, quella che la accompagna verso la sua quinta finale di Coppa UEFA/Europa League. Lukaku in particolare tocca quota 33 gol stagionali, ora è a -1 da Ronaldo il Fenomeno, che realizzò il suo 34esimo in una notte di Parigi del 1998. Quella in cui l’Inter sollevò al cielo la sua ultima Coppa UEFA. Scherzi del destino.

Spettacolo puro

Un 5-0 in semifinale, nella storia della competizione, non si era mai visto. Ed è il meritato premio per un gruppo che dà l’idea di essere granitico, unito, nel quale ognuno gioisce e soffre con l’altro e per l’altro. E non sono soltanto i cinque gol, ma una consapevolezza nuova. Come tralasciare la fase difensiva nerazzurra? Nelle ultime sette partite, un solo gol subito. Ieri lo Shakhtar Donetsk è riuscito a concludere soltanto una volta nello specchio della porta, sporcando – ma non troppo – gli immacolati guantoni di Handanovic. Antonio Conte ha trovato l’assetto con cui andare in “guerra” e non lo ha più mollato, senza preoccuparsi di esclusioni eccellenti come quelle di Skriniar ed Eriksen, che quando chiamati in causa rispondono comunque presente, offrendo il loro prezioso contributo. Perché ormai tutti hanno piena fiducia nel condottiero: gioca chi merita, senza pregiudizi. Conte lo ha dimostrato con Diego Godin, escluso per gran parte della stagione e poi di nuovo fondamentale nel suo habitat naturale: le grandi partite, specie in campo internazionale. In questa campagna europea, comunque vada, la sua esperienza e quella di Ashley Young si sono rivelate irrinunciabili. Il tecnico non ha avuto paura di affidare un ruolo fondamentale al giovane Alessandro Bastoni, che – al netto di qualche leggerezza – mostra una personalità impressionante per un ragazzo al debutto su tali palcoscenici e alla sua prima stagione da protagonista. Al centro, una certezza assoluta come Stefan De Vrij, miglior stagione in carriera, senza alcun dubbio. E poi c’è un Danilo D’Ambrosio in stato di grazia: quando conta la sua capocciata, la sua zampata, il suo salvataggio c’è sempre. Il trio di centrocampo Barella-Brozovic-Gagliardini appare il più completo e affidabile, in particolare con il sardo che sta entrando di diritto nell’élite dei centrocampisti europei, toccando livelli ancora inesplorati nella sua giovane carriera. Sempre tra i migliori, se non il migliore. È un centrocampo di gregari, come Gagliardini – che nonostante mezzi tecnici modesti sta tirando fuori tutto quello che ha, rivelandosi parecchio utile – e Brozovic, che gestisce i possessi ma fa anche tanto, tantissimo pressing. È questo lo spirito che da anni sognavamo, comunque vada. È questa l’Inter che volevamo, è questa l’anima che dal 1908 deve contraddistinguere l’FC Internazionale Milano.

Uniti

Un clima più disteso lo si era già avvertito alla vigilia, con l’arrivo di Steven Zhang e dei dirigenti in Germania. Gli abbracci con Antonio Conte nell’hotel di Dusseldorf, le parole di Marotta nell’immediato pre-partita, quando ha detto che le vicissitudini susseguenti allo sfogo di Bergamo del tecnico “sono dimenticate” e ha parlato espressamente di futuro includendo Conte, facevano presagire una serenità ritrovata. Il campo ha aiutato, certo, così come ha aiutato tutto il meraviglioso percorso europeo fin qui disputato dai nerazzurri. Ma i segnali di crescita erano già evidenti prima di questa competizione, ed è per questo che sarebbe una follia interrompere questo percorso. Conte, a fine partita, si è lasciato andare in un abbraccio festoso con Marotta, Antonello, Zanetti, Zhang e tutto lo staff. Il tecnico è apparso felice come un bambino per aver riportato l’Inter in una finale europea dopo dieci anni, ed anche per la prima finale internazionale della sua carriera. Per lui che da sempre è stato tacciato di essere un allenatore “da campionato” e non “da Europa”, sarebbe una soddisfazione enorme coronare il percorso con un trionfo. E poi c’è il numero uno del club, che ha scattato un video-selfie dopo la partita incitando il popolo nerazzurro a godersi questa finale. Steven sogna il suo primo trofeo da presidente.

Conclusioni

Conte, dirigenza, proprietà. Sì, certo. Ma poi ci siamo noi. Ci sono i milioni di tifosi di questo meraviglioso club. Il periodo non consente la presenza del pubblico sugli spalti, ed è per questo che “Colonia, arriviamo!” non può essere inteso in senso fisico, ma ideale. Già, perché in Germania non potremo esserci, ma siamo sicuri che il nostro supporto e la nostra passione saranno lì a sostenere la squadra e a cercare di spingerla verso il trofeo. Come abbiamo sempre fatto. Registrando il record di spettatori nonostante anni bui, non lasciandola mai sola. Ponendo il nero e l’azzurro al di sopra di tutto, comunque vada. In un caso o nell’altro, noi ci saremo. Ma adesso il trofeo è lì, a pochi passi, dopo nove lunghissimi anni. Contro la regina della competizione, contro chi in Europa League una finale non l’ha mai persa, vincendone ben cinque. Ma con questo spirito nulla è precluso. E allora avanti, Inter. Lo meritiamo tutti.

 

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.