Ricordate domenica 23 maggio, quando l’Inter alzò al cielo lo Scudetto nel tripudio dei tifosi all’esterno di San Siro? Sì, sono trascorsi solo sei giorni. Sembra una vita fa. La percezione temporale alterata che i tifosi nerazzurri stanno sperimentando non è nulla di preoccupante: è semplicemente il prodotto di una settimana folle, trascorsa sulle montagne russe.

Facciamo ordine. A seguito della gioia e della commozione per un titolo riportato a casa un decennio dopo, il sentimento generale del tifo nerazzurro era di attesa, proiettato ad un incontro – che poi non avverrà mai – fra Antonio Conte e Steven Zhang. Il lunedì scorre via veloce, martedì la Gazzetta dello Sport sgancia la bomba: Conte-Inter, divorzio. Si fa in fretta, nel tardo pomeriggio la risoluzione è già ufficiale, il club ringrazia il tecnico per lo straordinario lavoro svolto e gli rende il giusto merito per essere entrato indelebilmente nella Storia del Club. In serata si rincorrono le voci su Simone Inzaghi e Massimiliano Allegri: il primo raggiunge un accordo per rinnovare con la Lazio dopo la cena con Lotito, la Juventus è in vantaggio per il secondo ma l’Inter prova ad infilarsi – nella persona di Beppe Marotta – in uno spiraglio quasi invisibile, talmente invisibile che, infatti, non se ne fa nulla. Allegri torna alla Juventus mercoledì mattina. Panico. Nel primo pomeriggio circolano in rete i nomi più improponibili, quelli che appena li leggi sai di esser davanti ad una garanzia di fallimento e mediocrità. È il momento dello sconforto.

Poi, intorno alle 18, uno spiraglio di luce. Sarà che i profili che ci erano stati prospettati per la panchina dell’Inter erano troppo brutti per essere veri, sarà che ha dimostrato di essere un valido allenatore nei tanti anni alla Lazio, ma improvvisamente Simone Inzaghi appare a tutti, all’unanimità, la soluzione migliore. E si concretizza. Il popolo si divide: qualcuno è scettico, qualcun altro è soddisfatto, altri appaiono semplicemente sollevati. Ma un pensiero è collettivo: non parliamo di un allenatore scarso. Semmai gli interrogativi sorgono a proposito di altri aspetti, ma ci arriveremo. Adesso è il momento di analizzare, uno per uno, i quattro grandi personaggi dell’ultima, folle settimana nerazzurra.

Antonio Conte

Partiamo da un presupposto, anzi, da un atto dovuto: grazie Antonio. Grazie davvero, perché – come lo stesso tecnico ha sottolineato su Instagram – insieme abbiamo spezzato le logiche della mediocrità che troppo spesso ci circondano. Antonio Conte non ha solo stravinto uno Scudetto con un club che aveva dimenticato cosa fosse la vittoria, non ha solo interrotto l’insopportabile dominio della Juventus: è stato più di un allenatore. Ha forgiato un gruppo sano, professionale, brillante. E, a sua immagine e somiglianza, vincente. Senza una proprietà, con prime pagine che per mesi hanno mirato a destabilizzare l’ambiente Inter, Conte ha reso Appiano Gentile un fortino. E ha portato i suoi ragazzi sul trono d’Italia. Le critiche, anche da parte degli stessi interisti, non mancano. La sua scelta può essere giusta o sbagliata, non lo sappiamo. Sempre se un giusto o uno sbagliato esistano, in casi come questo. Basterebbe prendere atto di una decisione, senza cadere in isterismi. Ciò che resta è la storia, e Conte – piaccia o non piaccia – ne fa parte. Il fatto che un top come il salentino abbia deciso di non proseguire la sua avventura a Milano in presenza di una situazione societaria così instabile, francamente, non è strano. Ciò che dovrebbe interessare ai tifosi è che Conte, nei suoi due anni in nerazzurro, abbia dato tutto – e forse anche di più – per l’Inter. Ne ha indossato la casacca e l’ha portata a primeggiare, ricollocandola al top, riportandola ad annusare il profumo della vittoria al primo anno, centrando 91 punti nella seconda stagione e annientando ogni concorrenza in Serie A, instaurando uno straordinario legame con una leggenda come Javier Zanetti (non facile, arrivando da nemico) e facendosi apprezzare professionalmente e umanamente da tutti coloro che hanno lavorato ad Appiano dal 2019 ad oggi. E vincendo, giusto ribadirlo. Non serve aggiungere altro.

Steven Zhang

Non è un mistero il fatto che Conte abbia deciso di non sposare per la terza volta il progetto Inter a causa dei piani della proprietà. Zhang non ha ritenuto opportuno neanche incontrare il suo tecnico, che sperava in un ravvedimento societario in seguito ad un egregio lavoro svolto. Il gruppo Suning è irremovibile: serve tagliare dovunque sia possibile ed incassare liquidità. Siamo consapevoli del fatto che la crisi economica indotta dal Covid sia un fatto incontestabile, ma è francamente strano che solo l’Inter, fra le big, abbia bisogno di un attivo a bilancio così enorme, dal momento che si parla di una cifra compresa fra gli 80 e i 100 milioni. La trattativa in fase avanzata per Hakimi al Psg ne è un’ulteriore riprova. Conte, d’altronde, non vive in una bolla, ha contezza del momento drammatico vissuto dall’economia in generale e dal calcio nello specifico. Chiedeva semplicemente di confermare i big che lui stesso ha fatto esplodere (vedi Bastoni), maturare (vedi Lautaro e Barella), reso devastanti come mai in carriera (vedi Lukaku). No, impossibile per Suning. Servono le cessioni pesanti.

Da tifosi, abbiamo vissuto momenti terribili, anni di mediocrità, tristezza, sconforto, delusioni e disillusioni. Gradiremmo soltanto un po’ di chiarezza: gradiremmo, per esempio, sapere quali siano i piani del gruppo che controlla l’Inter. Si tratta di un momento di passaggio dovuto alle problematiche dell’azienda, di dinamiche politiche cinesi, di mancate entrate dagli sponsor e dagli stadi che non possono essere compensate da un aumento di capitale da parte di una proprietà che non può al momento sostenere l’Inter? Oppure si punta a vivacchiare, in attesa che un fondo escuta il pegno fra tre anni e nel frattempo si tenta abbattere costi e debiti? Ci dispiace dirlo, ma la seconda ipotesi ci sembra la più probabile. Ed è un vero peccato, visto che l’Inter aveva finalmente messo su (grazie agli investimenti della stessa Suning, all’acume dirigenziale e all’enorme lavoro di valorizzazione svolto da Conte) una base giovane e potenzialmente vincente per tanti anni. L’àncora di salvezza alla alla quale aggrapparci, allora, è l’unica figura che nella società nerazzurra è garanzia di competitività.

Beppe Marotta

Il dirigente varesino si è confermato, anche in questo frangente, un fuoriclasse. È venuto a conoscenza dei nefasti piani di Zhang soltanto pochi giorni prima dello Scudetto, quindi non ha potuto bloccare Allegri per tempo. Trovatosi di fronte all’inevitabile addio di Conte derivante dal drastico ridimensionamento del progetto, ha comunque provato a portare il tecnico livornese a Milano, senza riuscirci. Incassato il preventivabile colpo, si è cautelato con quello che era, fin dall’inizio, il suo piano B, frapponendosi metaforicamente fra Inzaghi, la sua penna, il rinnovo con la Lazio e il faccione sorridente di Lotito. Portandolo il tecnico a Milano. Beppe Marotta si è battuto come un leone per l’Inter nel momento più difficile della sua storia recente, tentando di rassicurare inoltre – per quanto possibile – la Curva Nord giunta sotto la sede per contestare le strategie della proprietà. Il miglior dirigente italiano del momento, forse il migliore di sempre. Soltanto il suo rinnovo garantirebbe all’Inter la credibilità necessaria per i prossimi anni ma, in questa situazione, non escludiamo – nostro malgrado – nuove follie della proprietà anche in questo senso. Zhang ricordi che se Conte è un top coach, Marotta è un top manager. E per i top ci vogliono i progetti top. Beppe ha più pazienza di Antonio, ma la pazienza ha un limite.

Simone Inzaghi

Il tecnico piacentino non è stato ancora ufficializzato a causa di alcune pendenze ancora in corso con Claudio Lotito su alcuni premi. Potrebbero essere necessari più giorni del previsto, poiché il presidente della Lazio non è esattamente l’uomo meno rancoroso al mondo. Di fatto, però, Simone lavora già all’Inter del futuro con la dirigenza e a breve dovrebbe andare in scena un primo meeting operativo per quanto riguarda strategie di mercato, ritiro estivo e amichevoli. Marotta ha scelto la continuità tattica: Inzaghi, infatti, è un fautore del 3-5-2 esattamente come Conte, seppur il sistema di gioco venga interpretato in maniera differente, com’è normale che sia. La strategia interista sembra chiara: preservare i tre difensori e i due attaccanti, oltre a Barella.

Quel che è certo è che Inzaghi raccoglierà un’eredità pesantissima e vivrà la prima, grande opportunità della sua carriera: a 45 anni, il tecnico si accomoderà sulla panchina dei Campioni d’Italia. Simone è valido tatticamente, ha vinto tre trofei a Roma, ha condotto una rosa molto ristretta alla qualificazione in Champions League un anno fa dopo aver sognato anche lo scudetto fino a febbraio, esaltando le qualità di 6 elementi di spessore (Acerbi, Lazzari, Milinkovic-Savic, Luis Alberto, Correa, Immobile) e perfezionando il contorno. Certo, deve dimostrarsi talmente valido da meritarsi l’Inter e, al tempo stesso, caratterialmente fortissimo per non essere inghiottito dalle pressioni della panchina più scottante del calcio italiano, che negli anni ha mietuto vittime illustri. Per questo, meriterà tutto il sostegno del popolo nerazzurro. Presto per parlare di obiettivi, servirà valutare il mercato e le rose delle top italiane ai nostri di partenza.

Un’analogia, per chiudere, nel segno dell’ottimismo. L’ultimo giovane allenatore che allenava la Lazio, aveva vinto la Coppa Italia in biancoceleste e si lasciò male con l’ambiente per sposare la causa dell’Inter lo ricordiamo tutti: era il 2004 e parliamo di Roberto Mancini. Rimasto per quattro anni in sella, è ancora oggi l’allenatore più vincente, titoli alla mano (insieme ad Helenio Herrera), nella storia nerazzurra. Che sia di buon auspicio. E in bocca al lupo, Simone.