E ancora una volta le nostre illusioni settimanali, le nostre speranze, i nostri sogni, vanno a farsi benedire. Vanno a comporre un altro pezzo del triste mosaico che l’Inter ha costruito negli ultimi due mesi, nei quali ha letteralmente frantumato… quanto di buono era stato fatto nel girone d’andata.

Per l’ennesima volta gli avversari hanno approcciato meglio la partita a livello tattico, con la squadra di Inzaghi che non è riuscita – nemmeno ieri – a trovare alcuna contromisura per sopperire all’assenza di Brozovic. Sì, ok le lacune della rosa, ok il fatto che manchi un centrocampista che possa occupare agiatamente la posizione davanti alla difesa, ma non è accettabile che non si riesca in alcun modo a cambiare spartito. Non è accettabile che la reazione del secondo tempo sia stata disorganizzata e frutto di un moto d’orgoglio. Non è accettabile aver vinto due delle ultime nove partite. Non è accettabile aver raccolto 7 punti nelle ultime 7 gare di campionato. Non è accettabile uno score da zona retrocessione nel girone di ritorno. Il tempo delle giustificazioni è terminato. Di fronte allo scempio, poiché di scempio trattasi, al quale stiamo assistendo, tutti sono responsabili. A partire da chi, dall’alto, su questo scempio ha inciso la propria firma fin dall’estate. E no, il riferimento non è ai dirigenti.

L’involuzione è generale, collettiva. Adesso non è più un’ipotesi, non c’è più la scusa della tenuta fisica: qualcosa è successo, ad Appiano Gentile. Perché è impossibile riuscire a razionalizzare, a spiegarsi un tale crollo verticale, una caduta libera solo facendo ricorso alle scuse delle tante partite giocate, al calendario, alle occasioni sbagliate. Basta, basta attenuanti. Non ne possiamo più. Siamo già abbastanza provati e distrutti dal fatto che lo scudetto, con tutta probabilità, verrà vinto dal Milan (o ancor peggio dalla Juventus). Le scuse ce le meritiamo, sì, ma quelle nei nostri confronti. Perché anche ieri, oltre alle migliaia da casa, a San Siro c’è stato uno splendido tifo nerazzurro, nonostante il momento vergognoso, nonostante l’ennesima partita mediocre.

Abbiamo coltivato un sogno: quello della seconda stella. È successo in maniera quasi inaspettata, viste le tempestose premesse estive. Poi, però, c’era una squadra che andava in campo e continuava a convincere. E a convincerci. Ci ha portato a credere che, in fondo, seppur ridimensionati dal mercato, la famosa mentalità vincente fosse ormai radicata, dalle parti di Appiano, e che quella nessuno potesse togliercela, neppure un’offerta da 70 o 115 milioni, neppure da un miliardo di euro. Abbiamo pensato di aver trovato un nuovo condottiero, quello del trionfo più bello poiché attraversato dopo mille burrasche. Poi, però, le nostre speranze hanno cominciato ad incrinarsi da inizio febbraio in poi fino a frantumarsi, con tutta probabilità, dopo il pareggio di ieri. Perché la classifica dice meno di quanto facciano i segnali, i messaggi, la nostra esperienza da tifosi e appassionati: i potenziali 3 punti di distanza dalla vetta dicono meno rispetto all’assenza di precedenti di squadre che, dopo un crollo così fragoroso, abbiano poi vinto il campionato. E non è un caso, perché non è così che si vincono. Lo sappiamo bene: il ricordo di una cavalcata è ancora fresco, splendido, immortalato indelebilmente nelle nostre memorie.

Perché, Simone?

E allora occorre porsi delle domande anche su Simone Inzaghi. Certo, sarebbe disonesto non attribuire la stragrande responsabilità a chi ha ridotto una squadra campione d’Italia a dover incassare più soldi di tutti in Europa, facendo registrare il saldo attivo più alto nella storia. Una cosa che non avevamo mai visto. Per questo motivo, il tecnico nerazzurro non partiva con alcun obbligo di vincere lo scudetto. Ma a questo punto, però, viene da chiedersi se servissero Hakimi o Lukaku per fare più di 7 punti in 7 partite, per evitare un tracollo simile, per riuscire a risollevare la squadra da un vortice, da un loop negativo che sembra inarrestabile. Inzaghi sta gestendo male questo momento, dobbiamo dirlo con tutta onestà: non perché siamo presenti ad Appiano, semplicemente perché osserviamo e analizziamo le partite e le prestazioni ancor prima che i risultati. La confusione, d’altronde, sta tutta nei cambi. Quando l’Inter, seppur spinta da cuore e orgoglio e non da organizzazione, stava nel finale spingendo per ottenere la vittoria sospinta dal succitato pubblico, era proprio il caso di depotenziarne l’assetto offensivo? 

Sostituire i due cannonieri della squadra, due che in area di rigore sanno come muoversi, per inserire due seconde punte che amano svariare. Ma perché, Simone? Perché riconsegnare il pallino del gioco alla Fiorentina, perché diventare sterili davanti? Ma soprattutto, perché continuare a giocare come se Lautaro e Dzeko fossero ancora in campo, con lanci lunghi e cross in area per il signor nessuno? Perché non cavalcare l’ondata di San Siro, aggiungendo ulteriore carburante alla propulsione offensiva nerazzurra, inserendo magari Sanchez (o Correa) giocando a tre punte? Se non ora, se non in questo momento della stagione, quando? E perché le tre punte sono state utilizzate solo nei minuti di recupero, fuori tempo massimo? Perché, tutti insieme, avete prima costruito e poi rovinato un sogno, il nostro sogno? 

A questo punto, avremmo preferito non crederci neppure per un momento. Così, invece, c’è solo tanta rabbia. Perché abbiamo a lungo avvertito l’obiettivo come alla portata e invece, oggi, ci sentiamo lontanissimi: lo siamo psicologicamente, prima che in classifica. Anzi, lo siete. Gli altri hanno più fame di voi e riescono a sopperire ad ogni difficoltà con la voglia, la grinta, l’ambizione di vincere. Quella che lo scorso anno avevate pure voi. È bastato davvero uno scudetto, per saziarvi? Che delusione.