Da ormai due mesi, sin dallo sbarco a Milano di Christian Eriksen negli ultimi giorni di gennaio, ci si interroga su come il suo tecnico, Antonio Conte, possa sfruttarne il potenziale. E così, via alle ipotesi sulle variazioni di modulo per garantirgli una posizione più consona alle sue caratteristiche, fino alla pretesa di un vero e proprio cambio di filosofia da parte del tecnico salentino al fine di adattarsi al suo giocatore di maggior talento. Ora vogliamo però provare a guardare il rovescio della medaglia, a ribaltare la prospettiva: oltre alle mosse (inevitabili) di Conte per sfruttare il giocatore, cosa può – e deve fare – Eriksen per Conte? E questo ci porta ad un nuovo quesito: perché finora il tecnico non gli ha garantito la titolarità, preferendogli il più delle volte Vecino?
CONTE NON È MASOCHISTA
Eriksen finora è stato impiegato in 8 partite fra campionato, Coppa Italia ed Europa League. Di queste, la titolarità gli è stata garantita solo all’esordio in Serie A – a Udine – più per mancanza di alternative che per reale volontà di buttarlo subito nella mischia (sostituito dopo 58 minuti), oltre all’andata e ritorno dei sedicesimi di Europa League, nei quali il danese ha disputato gli incontri per intero, segnando per giunta in Bulgaria il suo primo gol con la maglia dell’Inter. Ma perché Conte non gli ha garantito sin da subito quel ruolo da protagonista che in molti si aspettavano? La prima risposta – se conosciamo un po’ il tecnico nerazzurro – è che nelle sue squadre nessuno si guadagna una maglia da titolare per diritto divino, anche se ti chiami Eriksen e sei riconosciuto come uno dei migliori centrocampisti al mondo. C’è da sudare, integrarsi, lottare per guadagnarsi l’opportunità di partire costantemente dall’inizio con una maglia così importante come quella nerazzurra. E qui veniamo al secondo punto: arrivare nel mercato invernale significa arrivare a stagione in corso. Questo presuppone una osservazione generale e due specifiche: arrivare in corsa significa arrivare in un ambiente in cui ci sono delle gerarchie già delineate sin da agosto e nel quale i tuoi compagni sudano, lavorano e danno l’anima già da cinque mesi abbondanti. Nello specifico, lo sbarco in Serie A può rappresentare per molti giocatori stranieri che non si sono mai cimentati nel nostro campionato un passaggio complicato e che richiede tempi di adattamento. Basti pensare a Bergkamp, giusto per citare un connazionale di Eriksen, che ha fatto faville con Ajax ed Arsenal ma che non è mai riuscito ad adattarsi alla Serie A e all’Inter. In più, arrivare a stagione in corso in una squadra allenata da Antonio Conte rappresenta un ulteriore ostacolo. Il tecnico leccese sviluppa da sempre il suo lavoro tramite dei veri e propri codici e degli schemi ripetuti allo sfinimento, quindi fa della costanza e dell’applicazione certosina i cardini del proprio lavoro. Logico che Conte conosca bene le qualità di Eriksen e sappia che è uomo in grado di garantire il salto di qualità più di quanto non lo faccia Vecino. Allo stesso tempo, Conte pensa che il suddetto salto di qualità si possa compiere solo e soltanto nel momento in cui il danese entrerà nei suoi meccanismi. Altrimenti, si rischia di bruciarlo e di far perdere allo stesso tempo certezze alla propria squadra. Il 3-5-2 tanto criticato negli ultimi tempi, caratterizzato da costante spirito di sacrificio da parte di tutti gli interpreti, ha garantito all’Inter un primo posto in coabitazione con la Juventus fino a metà febbraio, cioè ad una settimana di distanza dalla prima partita rinviata (quella contro la Sampdoria) e l’inizio della tragedia sanitaria. L’Inter di Conte si è guadagnata il vertice della classifica seguendo alcuni princìpi e lo stesso Conte non si è mostrato disposto a snaturarli, scegliendo di inserire gradualmente Eriksen. A questo si aggiunge un altro fattore decisivo, ovvero la condizione fisica del numero 24, che non è sembrato particolarmente tonico. Non è facile, infatti, affrontare i primi sei mesi stagionali come ha fatto Eriksen al Tottenham, ovvero da separato in casa e da sicuro partente, impiegato solo per necessità nei finali di partita e fuori da ogni progetto futuro. Solo una nuova preparazione fisica, quindi un nuovo ritiro, potrà permetterci di rivederlo al top della forma.
DISPONIBILITÀ
Eriksen dovrà mostrarsi ampiamente disponibile e ricettivo. Dovrà, in poche parole, affidarsi a Conte e mettersi al 100% a sua disposizione. Perché la classe del danese è fuori discussione, è sibillina e cristallina, ma fuori discussione sono anche le doti di Conte nel trarre il 100% del potenziale dai propri giocatori e condurli verso un obiettivo comune: la vittoria. La sua ossessione. I grandissimi sono coloro che riescono ad adattarsi alle richieste del proprio allenatore e che hanno l’umiltà di saper apprendere e comprendere a pieno le loro richieste, per poi restituire sul campo delle performance di altissimo livello sfruttando le proprie caratteristiche. Eriksen ha 28 anni, è un giocatore maturo, ma non si finisce mai di imparare. Solo se avrà la capacità di calarsi in un nuovo contesto con la massima disponibilità e capacità di apprendimento potrà essere realmente decisivo per la causa nerazzurra. Eriksen può rappresentare la traslazione in campo di quello che Conte è in panchina: con il suo immenso talento può essere in grado di far rendere al massimo i propri compagni, diventando leader e punto di riferimento per tutti. Ritornando quello che era al Tottenham fino alla finale di Champions League.
SACRIFICIO
Eriksen ha dichiarato – in un’intervista risalente ai primi giorni da giocatore dell’Inter – che non gli piace correre. Il problema è che con Conte correre non è un’opzione, è un obbligo. Eriksen non sarà mai Vidal, tanto per fare un nome della classica mezzala contiana, ma può fare molto meglio in termini di sacrificio. Il danese dovrà fare qualche corsa all’indietro in più ed essere decisivo anche in fase di non possesso, mettendosi a disposizione della squadra come fanno in primis gli attaccanti, Lautaro e Lukaku. Nessuno è esente da compiti specifici – in entrambe le fasi – nelle squadre di Conte. E se ci sarà da fare la mezzala, come il tecnico richiede, bisognerà predisporsi all’apprendimento del ruolo. Fermo restando che, con l’immensa intelligenza calcistica di Eriksen, ogni confronto tra i due potrà essere produttivo. Conte chiede ai suoi giocatori di esporre i propri pareri, sempre e comunque, e per questo la disponibilità sarà reciproca. Questo richiede in ogni caso una grossa mole di lavoro sul campo e in allenamento. In una situazione normale, il ritiro estivo prima della stagione 2020-21 sarebbe il crocevia nel rapporto fra Eriksen e l’Inter. Purtroppo, però, l’emergenza Covid-19 potrebbe costringere a terminare il campionato a luglio inoltrato per poi ricominciare – con la nuova stagione – solo poche settimane dopo. Significa praticamente annullare il classico ritiro in cui si ottiene il rodaggio necessario per predisporsi alla nuova annata. Solo gli eventi ci diranno quali saranno le tempistiche per questa e per la prossima stagione. In ogni caso, il mini-ritiro che sarà allestito prima di un’eventuale ripresa potrebbe rappresentare una preziosa occasione per entrare nei meccanismi nerazzurri.
GARRA
Insieme a compiti ed istruzioni tecnico-tattiche, quello che Conte chiede ad Eriksen è l’atteggiamento giusto, che per il tecnico fa rima con determinazione, rabbia, ferocia agonistica. Il danese, per capirci, dovrà stare meno “sulle punte” perché nel calcio italiano non funziona. La Serie A, e in particolare se hai Conte in panchina, significa non tirare mai indietro la gamba, entrare qualche volta in più in scivolata rispetto agli standard, non disdegnare mai – assolutamente mai – il contrasto. Che riesca o meno. L’importante è lottare su ogni singolo pallone. E se madre natura ti ha concesso la possibilità di disegnare calcio – con quel pallone – sarebbe un peccato sprecare l’opportunità di creare un connubio potenzialmente devastante. Quello fra Conte ed Eriksen. Quello fra Eriksen e l’Inter. Quello fra l’Inter e la vittoria.