Non è stata una partita, è stato un romanzo. Due squadre in vetta alla classifica del campionato condividono la stessa città e si sfidano in un derby di Coppa Italia ad eliminazione diretta. Entrambe arrivano da un risultato deludente in campionato e condividono l’ardente desiderio di vincere per la rivalsa ma non solo: questo match rappresenta una ghiotta occasione per imprimere un colpo psicologico nei confronti dei rivali. È successo veramente di tutto. Il giocatore più importante del Milan porta in vantaggio la propria squadra segnando il decimo gol nel derby di Milano (il primo è Shevchenko a quota 14), peraltro da ex. I simboli, gli uomini-copertina delle due squadre sfiorano la rissa al termine di uno scontro verbale esplosivo promettendo di risolvere la questione negli spogliatoi. Nel secondo tempo il simbolo rossonero si fa espellere, il simbolo nerazzurro segna su rigore, si fa male l’arbitro, viene sostituito, l’Inter dà vita a un assedio (le statistiche a fine partita parlano di 28 tiri a 4 in favore dei nerazzurri) ma non riesce a sbloccarla nonostante ci provi con tutte le sue armi e con tutte le sue forze. Entra in campo il giocatore più discusso, quello che sembrava ai margini del progetto fino a pochi giorni prima, quasi un corpo estraneo: calcio di punizione, pennellata meravigliosa. Gol. Un finale da Oscar. Paura e delirio a San Siro, verrebbe da dire.
Zlatan Ibrahimovic ha oltrepassato un limite
Cominciamo con lo sfatare una falsa convinzione cui si stanno aggrappando i tifosi rossoneri con l’aiuto del loro allenatore, Stefano Pioli. Il Milan, anche in undici contro undici, non meritava il vantaggio. Nel primo tempo il match è stato divertente, ma è stata l’Inter ad andare più vicina al vantaggio e a godere del predominio territoriale, sciupando come di consueto un paio di occasioni. I rossoneri, a parte il lampo di Leao dopo un minuto, hanno lasciato il pallino del gioco ai nerazzurri, colpendo grazie al colpo da campione del singolo. Del solito singolo: Zlatan Ibrahimovic. Il risultato più giusto, all’intervallo, probabilmente sarebbe stato il pareggio. Poi, sul finire della prima frazione, lo scontro fra titani, un’immagine iconica che però rischia di trascendere nella violenza fisica senza l’intervento dei giocatori di ambo le squadre. Ammettiamo subito una cosa, senza ipocrisia: gli insulti alle madri, alle sorelle, alle mogli, su un campo di calcio capitano spesso e volentieri. Fanno parte del trash talking. Sono parole sicuramente da condannare e censurare, ma è qualcosa che si ripete frequentemente. Non sorprende che un giocatore navigato e voglioso di vincere a qualsiasi costo come Ibrahimovic abbia deciso di attingere agli insulti verso il giocatore che temeva di più. La prova è che pochi minuti prima aveva redarguito i suoi compagni urlando “non date spazio a Lukaku!”.
Ma quello di Zlatan Ibrahimovic non è stato l’insulto astratto verso la madre di Romelu Lukaku: nel momento in cui ha parlato di “riti vodoo” ha violato quel limite al turpiloquio che è implicitamente riconosciuto dai calciatori. Ha oltrepassato i limiti di un codice d’onore. Lo ha fatto perché ha attaccato in maniera mirata la madre di Lukaku per le sue origini congolesi, ben conscio – visto che i due hanno condiviso lo spogliatoio per sei mesi a Manchester – del legame molto stretto fra il numero 9 dell’Inter e sua madre. Ibra è andato oltre con i mind games, sia perché voleva mettere ko psicologicamente prima che fisicamente il suo avversario più temuto, sia perché è ormai schiavo del personaggio che si è creato e al quale si sente in dovere di tener fede con tutti i mezzi. Di certo, lo scatto del faccia a faccia furioso tra i due rimarrà negli archivi delle testate sportive per molto tempo, almeno fino a fine stagione. Lo scontro è diventato aspro, senza esclusione di colpi, ed è diretta conseguenza di una tensione che a Milano sale con il passare delle giornate di campionato e dei mesi per uno scontro al vertice come non si vedeva da anni. L’importante è non perdere il controllo alla distanza, far sì che questo scontro psicologico possa diventare fonte di motivazioni, non inficiando sulla prestazione sportiva: rendere la performance migliore, non peggiore. E nel secondo tempo abbiamo assistito alle prime risposte. Positive.
Romelu Lukaku ha vinto il duello
Se a fine primo tempo Big Rom aveva perso il controllo e sembrava destinato a perdere la sfida psicologica contro il rivale (che recitava la parte del provocatore, dall’alto di una maggior esperienza), nella seconda frazione i pronostici sono stati ribaltati. Ibrahimovic ha dato vita al duello anche nel tentativo di far espellere Lukaku toccando un tasto sul quale il belga è molto sensibile. Ma alla fine Zlatan paga proprio quello scontro, che gli costa di fatto la seconda ammonizione nel momento in cui ingenuamente rincorre Kolarov e lo stende intorno al 60′. Voleva provocare l’espulsione di Lukaku, ma alla fine a fare la doccia in anticipo è proprio lui. Dall’altra parte, invece, Romelu Lukaku segna il calcio di rigore che vale il pareggio e vince idealmente il duello: resta in campo e contribuisce alla vittoria finale. Bisogna sottolineare ancora una volta, tuttavia, che a dispetto dei falsi miti compensatori che i tifosi rossoneri si sono creati, l’Inter nel secondo tempo aveva cominciato con intensità e aggressività, chiudendo nella propria metà campo – anzi nella propria area – il Milan nel tentativo di pareggiare. Ovviamente l’espulsione di Ibrahimovic ha esasperato la situazione, fisiologicamente: i rossoneri hanno abbassato ulteriormente il baricentro e, se prima somigliava ad un assedio, in undici contro dieci diventa un vero e proprio tiro al bersaglio.
Nonostante l’Inter abbia creato una quantità enorme di palle-gol, deve far riflettere che i due gol siano arrivati da calci piazzati: gli uomini di Conte continuano a fallire occasioni a ripetizione. Una tendenza masochistica datata che è già costata cara ai nerazzurri in diverse occasioni e che ieri è stata compensata dalla capacità di Nicolò Barella di mandare fuori giri Rafael Leao costringendolo al fatto, dal rigore realizzato da Romelu Lukaku e per ultimo, ma non per ultimo, da un meraviglioso gesto tecnico targato numero 24.
Christian Eriksen ha deciso il derby
Una partita folle non poteva che essere decisa da Christian Eriksen, ormai da mesi tormentone della rosa nerazzurra. Il danese ha regalato all’Inter il pass per le semifinali di Coppa Italia con la specialità della casa: il calcio di punizione. Un fondamentale dal quale l’Inter non riusciva a trarre benefici dall’ottobre 2017, quando a Benevento segnò Brozovic. Eriksen rompe l’incantesimo delle punizioni ma l’augurio è che abbia rotto quello più pesante, quello che finora ne ha fatto un corpo estraneo dall’Inter. Decidere un derby al 97′ non è qualcosa che può passare inosservato, per il giocatore in primis e per un’iniezione di fiducia che può rivelarsi fondamentale in ottica prosieguo di stagione: una serata così ti resta dentro. Bellissimo l’abbraccio di tutti i giocatori al danese inizialmente dichiarato fuori dal progetto ma che sembra destinato alla permanenza. Può cominciare una nuova vita, per Eriksen, come ha sottolineato Antonio Conte:
“È un bravissimo ragazzo, gli vogliamo tutti bene. Spero che questo gol lo renda meno timido ma è un ragazzo davvero perbene, forse fin troppo…”.
La trasformazione del numero 24 da corpo estraneo a risorsa può rivelarsi cruciale per i prossimi impegni nerazzurri.
Se ai nerazzurri era stata imputata l’incapacità di vincere big match, adesso la storia sembra essere cambiata. All’Inter manca oggi come oggi solo quella capacità di fare il passo in più il campionato, quello che regalerebbe il sorpasso e il primato. Di certo, battere Juventus e Milan nel giro di dieci giorni in due competizioni diverse è una soddisfazione per i tifosi oltre che un carico di autostima per tutto l’ambiente nerazzurro. Non male per un mese – quello di gennaio – storicamente maledetto.
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