L’Inter era in bilico fra il baratro e la resurrezione. Nessuna via di mezzo. La squadra di Antonio Conte a Reggio Emilia rischiava seriamente di essere inghiottita nella voragine del tracollo dopo il mediocre avvio di stagione, culminato con la pagina più brutta, quella scritta mercoledì sera a San Siro contro il Real Madrid. Le premesse per lo spietato colpo di grazia inflitto dagli emiliani – bestia nera dei nerazzurri – c’erano tutte. Il Sassuolo è (meglio, era) la squadra più in forma del campionato, l’Inter sull’orlo di una crisi di nervi, con un allenatore finito prepotentemente nel mirino della critica. Insomma, soliti copioni da Inter, ai limiti dello psicodramma. Questa volta no, però. Giunge la risposta tanto attesa, quella che i tifosi nerazzurri attendevano: arriva la scossa, il moto d’orgoglio, la resurrezione. Finalmente.

Eccola, l’Inter!

In una partita spartiacque, Conte sceglie di concedere un turno di riposo a Romelu Lukaku. Può sembrare un azzardo, ma il belga è reduce da un infortunio, cui è seguita la convocazione in nazionale e il doppio impiego contro Torino e Real Madrid. Ma la nota più lieta è che Alexis Sanchez Lautaro Martinez non lo fanno rimpiangere, anzi. I due sudamericani disputano probabilmente la loro miglior prova stagionale e fanno da traino all’intero gruppo fin dai primi minuti. È da una palla deviata dal Toro che nasce lo 0-1 firmato Nino Maravilla, ma è tutta l’Inter a subire una metamorfosi, nella sua connotazione euforica, lampante fin dal primo minuto. Grinta, rabbia, il famoso “furore” richiesto da Conte ma soprattutto tanta, tanta organizzazione. Ai nerazzurri riesce tutto, la squadra di De Zerbi viene limitata nelle sue fonti di gioco più proficue – le vie centrali – e costretta a ricorrere alle corsie esterne che, con un Boga costantemente braccato dalla premiata ditta Skriniar-Darmian-Vidal, si rivelano poco fruttuose. Un dato su tutti è emblematico: l’Inter vince con il 35% di possesso palla, evento che non si verificava dall’ottobre 2012, quando i nerazzurri vinsero il derby di Milano per 1-0. Conte stavolta la prepara alla perfezione telecomandando il pressing e le scelte dei suoi in entrambe le fasi dalla panchina, rispondendo indirettamente a chi lo vede “fuori dal progetto”, “disilluso”, “spento”. E lo dimostrerà, con tutto il pacchetto di pro e contro che da sempre caratterizzano la sua figura, anche nelle interviste post-partita.

Quel vecchio abito che non tradisce…

Quando ci apprestiamo a scegliere l’abbigliamento per una cerimonia, ognuno di noi – quando vuole e sente di dover andare sul sicuro, di non poter sbagliare – possiede quell’abito che è garanzia, quello che non tradisce. Ecco, l’Inter lo ha rispolverato quando si è trovata spalle al muro. È quello indossato per gran parte della stagione 2019-20 ed è quello che si addice di più a lei ed al suo allenatore. Fuor di metafora, significa ritorno al 3-5-2 puro con le due mezzali (Gagliardini a destra, Vidal a sinistra, Barella al centro), rinuncia alla velleitaria e irrealistica pretesa di poter comandare sempre e comunque il gioco: per farlo servono interpreti particolarmente adatti e questa Inter, piaccia o non piaccia, non ne dispone. Le squadre di Conte sono altro e quella vista ieri pomeriggio a Reggio Emilia ne è la perfetta rappresentazione per principi: aggressività, abnegazione, fase difensiva ermetica, perpetua disponibilità ad aiutare il compagno in difficoltà, applicazione e concentrazione costante. Oltre a un pizzico di fortuna, che – come si dice – bisogna meritarsi. Ed è quello che succede in occasione del 2-0, quando Chiriches provoca l’autogol. Se poi Gagliardini segna un gran gol, è naturale che i segnali stanno ricominciando a diventare positivi. Ma deve essere l’incipit di un “nuovo inizio”, che diventa sinonimo di “ritorno al passato”.  Perché l’Inter nella scorsa stagione non avrà portato titoli a casa, ma lo spirito e la mentalità erano quelli di una squadra destinata a vincere in un futuro prossimo.

Il ritorno del vero Skriniar, la sorpresa Darmian…

All’interno di un’ottima prova a livello collettivo, si possono e si devono rintracciare tante note positive a livello individuale. I due attaccanti, come detto, convincono eccome. In particolare Lautaro, oltre al già citato fondamentale contributo sul gol del cileno e ad una prova totale, da vero uomo squadra, sfiora un gol che avrebbe assunto un enorme valore simbolico: il geniale pallonetto con cui lambisce il palo viene realizzato al minuto 10 – dedicato al numero 10 per eccellenza – indossando la maglia numero 10 dell’Inter. Sarebbe stato bello. Sanchez, invece, oltre a rivelarsi spina nel fianco per gli emiliani, segna il suo secondo gol consecutivo in campionato. Anche qui, un piccolo segnale da parte di un giocatore che sembrava aver perso il feeling con il gol, che tanto gli è stato caro invece nel corso della sua brillante carriera.

Ma c’è tanto altro, e in particolare un ingrediente determinante nel pomeriggio di Reggio Emilia: la compattezza difensiva ritrovata, e in particolare c’è l’intera fase di non possesso che funziona benissimo. Si può partire dai tre difensori, cioè da un De Vrij che sembra quello dei giorni migliori – ovvero tutta la passata stagione – e da un Bastoni che assomiglia sempre più ad un veterano della difesa, ma è giusto soffermarsi su un calciatore spesso messo in discussione sia nell’annata passata che durante l’ultima sessione di calciomercato: Milan Skriniar. Sicuramente uno dei migliori in campo, se non il migliore, della partita di ieri. Di fronte ad un cliente particolarmente scomodo come Boga disputa una partita perfetta, ritornando quel difensore roccioso che aveva fatto innamorare gli Interisti, dimostrando di essere in fiducia e rilanciando la sua candidatura, ormai fortissima, al ruolo di titolare fisso. Il terzetto Skriniar-De Vrij-Bastoni è quello partito da titolare a Roma contro la Lazio, a Bergamo con l’Atalanta e ieri: tre trasferte complicate contro attacchi particolarmente prolifici, tre ottime prove difensive.

Ma sarebbe ingeneroso ridurre la prestazione in fase di non possesso soltanto ai tre dietro, perché altri segnali estremamente positivi arrivano dai quinti. Nelle partite in cui Ivan Perisic è partito da titolare, spesso l’Inter ha perso qualcosa in equilibrio: il croato è ai primi mesi in un ruolo nuovo ed è un fattore che non può essere trascurato. Ieri, tuttavia, la sua prova è stata di totale sacrificio e disponibilità, caratterizzata da costanti ripiegamenti e posizionamenti corretti. Ma c’è da segnalare un’altra sorprendente prova di Matteo Darmian. Che fosse molto abile in copertura lo sapevamo, c’è una carriera a parlare per lui e la partita di ieri non fa eccezione: un vero guerriero. Quello che sorprende, semmai, è il costante e utile contributo in fase offensiva. La sua partita è impreziosita da una spinta continua che però non gli costa la perdita di lucidità in fase difensiva. L’assist a Gagliardini è il giusto premio per un calciatore spesso sottovalutato e che, pochi minuti prima, aveva regalato un’altra ottima palla a Lautaro da posizione simile. Hakimi sta attraversando un periodo difficile, ma Darmian si sta rivelando una fondamentale sicurezza. L’esterno di Legnano diventa così simbolo di un’Inter nuovamente gregaria ed operaia, ma che stavolta vuole diventare vincente.

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.