Ogni volta che ricordo Hector Cuper tra i grandi allenatori ammirati nella storia dell'Internazionale di Milano, mi sento sempre, continuamente, ripetere le stesse cose: "era un perdente".
Eppure io non ho ancora capito realmente - e spero di non capirlo mai, a questo punto - cosa s'intenda per perdente e cosa, invece, s'intenda per vincente. Non ho mai capito del tutto quale sia il confine oltre cui un uomo può dirsi vincente e un altro, invece, deve dirsi perdente. Ciononostante, ogni volta che penso ad Hector Cuper, ogni volta che penso a quella pacca sul petto che solo a vederla mi provocava un tremolio d'eccitazione e agonismo davanti alla TV, ogni volta che penso allo scudetto rubatogli alla penultima e alla terzultima giornata da un sistema antisportivo di stampo mafioso - come accertato da oltre trenta sentenze di condanna divenute oramai definitive - e ogni volta che penso alla finale di Champions sfiorata schierando in attacco la coppia Martins-Kallon, beh... faccio davvero tanta tanta fatica a definirlo "perdente".
Perché ben prima di José Mourinho, Hector Cuper è stato l'allenatore - Uomo, prima che allenatore - che più di tutti ha anteposto il bene dell'Internazionale di Milano, fatto di regole regole e di parità umana, ai capricci di pochi viziati.
Perché ben prima di José Mourinho, Hector Cuper è stato l'allenatore che più di tutti ha insegnato, agli sportivi in generale e a noi interisti in particolare, a non arrendersi: non arrendersi alle ingiustizie, non arrendersi al destino.
Perché, soprattutto, Hector Cuper è stato l'allenatore che più di tutti ha insegnato a noi Interisti il concetto di dignità: la dignità nella caduta, la dignità nella sconfitta.
Eppure sono certo che se soltanto De Santis non avesse venduto anima, culo e portafogli al diavolo di Moggiana memoria, oggi si parlerebbe di Hector Cuper in maniera totalmente diversa, così come diversa sarebbe stata la sua storia sportiva.
E allora, in questa era di tifosi - rectius, tifoidi - dal 22 maggio, in questa era in cui tanto va di moda la favola dell'allenatore vincente che di vincente ha poco o nulla, se non il passato giudiziario, il mio pensiero non può non ricordare Hector Cuper come una delle figure più importanti per la recente storia dell'Internazionale di Milano. Un uomo defraudato, umiliato e sportivamente distrutto da un sistema mafioso eppure rimasto, nonostante tutto, sempre dignitoso.
Hector Cuper, Uomo fiero che ha rivestito il proprio ruolo con orgoglio, culto del lavoro e senso d'appartenenza nerazzurra. Uomo che ha trasmesso amore ed entusiasmo anche nella più becera delle sconfitte.
Perché la differenza tra quelli per cui "vincere non è importante, ma è l'unica cosa che conta" e tra noi che "vincere è importante, ma non è l'unica cosa che conta", è proprio questa.
E allora, Mister, augurandoti buon compleanno oggi sono io a dirlo a te: yo estoy contigo.