Walter Sabatini

Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport





Va veloce. Come sempre. L’urgenza lo divora. Lo incrocio in un ristorante al centro di Salerno, «L’Unico», nome che gli si addice parecchio. Non mi lascia nemmeno il tempo di salutarlo. «Posso fare una premessa? Sono un uomo felice, tardivamente felice. Io adoro essere amato e, qui a Salerno, mi sento amatissimo, senza riserve, senza distinguo». Walter Sabatini non vuole nessuno vicino. Non gli piace sentirsi fisicamente assediato. Assegna i posti a tavola, Un triangolo, lui, io e il giovane assistente Pietro Bergamini ai tre vertici.



Sei capace di ricambiare quando ti si ama così tanto?

«No. Ma sto contraendo un debito che mi peserà tutta la vita».








Puoi migliorare sotto questo aspetto…

«Escludo. Però, il debito con Salerno so di doverlo onorare e farò di tutto perché succeda».



Quanto è stato difficile dire sì a Iervolino?

«Tanto. Ero terrorizzato all’idea di retrocedere, paura tutt’ora attiva. Non sono mai retrocesso nella mia vita. Ha prevalso il senso della sfida. Di atti incoscienti ne ho fatti tanti. Perché non farne un ultimo?».



Perché ultimo? Non darti limiti.

«Un’incoscienza simile non avrà eguali».



Credi nella salvezza?

«Ciecamente».





Hai il contratto fino a giugno. Resterai anche in caso di retrocessione?

«Sarebbe doloroso, ma mi sono impegnato verbalmente a rimanere con il presidente e con la gente. Da parte mia rispetterò la parola, poi dipenderà dal club».



Nicola fece un’impresa simile al Crotone in una situazione ancora più estrema.

«Ha replicato col Genoa. Nicola è un fenomeno. Un uomo che va raccontato oltre che un grande allenatore».



Quando l’hai scoperto che è un fenomeno?

«Sempre saputo. È un uomo intelligente, colto, sensibile. Un leader naturale. Mi piace l’osmosi che ha con i suoi collaboratori e i giocatori. Sa quello che dice e sa come dirlo».



Perché allenatori come lui non accedono ai top club?



«Purtroppo, è schiavo del cliché che lo vuole specialista in salvezze miracolose. Una trappola. In effetti, non si capisce che ***** ci faccia a Salerno o a Crotone. Allena la Salernitana ma potrebbe allenare l’Inter».



E tu che ***** ci fai a Salerno invece che in un club da scudetto?

«Te l’ho detto, Salerno mi ha ridato il senso ormonale della sfida… Vuoi sapere quando mi ha stregato definitivamente Nicola? Questa mattina nell’allenamento. Quando ha urlato a un giocatore, Kastanos: “Rincorrilo ferocemente con felicità!”».



La storia di Pirlo. Era lui la tua prima scelta?

«Era un’ipotesi. Non decollata, non per colpa sua. Ero alla ricerca di entusiasmo. Pretendevo entusiasmo. Era difficile, mi rendo conto. I dubbi prevalenti di Andrea erano legittimi».



I tuoi rapporti con il presidente Iervolino?



«È uno special one. Un imprenditore giovane, pieno di risorse. Ha energia, intelligenza, coraggio. Sarà un presidente che segnerà il calcio italiano nei prossimi dieci anni. Troppo orgoglioso per essere uno di passaggio».



Mercato funambolico il tuo. Andato esattamente nella direzione in cui volevi che andasse?

«Le ho fatte tutte le operazioni che volevo. Ha prevalso il mio leggendario buco di culo. Traduci tu per la carta stampata. Sono un uomo fortunato».



Il caso più eclatante?

«Ho agganciato questo Ederson, un giocatore di 22 anni che presto andrà a fare la mezzala in un grande club. Oggi gli ho visto fare due accelerazioni impressionanti».



Ne hai presi due di brasiliani. Anche un centravanti. Hanno capito bene in che mondo sono finiti?

«Mikael l’ha capito soprattutto a tavola. Ha perso comunque tre chili. Un ragazzo volenteroso, ha bisogno di tempo, farà bene. Mazzocchi e Verdi sono state due operazioni brillantissime. Ci aiuteranno molto».





Reazioni al secondo gol di Verdi su punizione contro lo Spezia?

«Ero impassibile di fuori, ma mi si è rotta una bottiglia dentro. Ti si è mai rotta una bottiglia dentro? Verdi è un grande talento, ma deve essere benvoluto, al centro di una storia. Se lo emargini diventa un giocatore normale».



Fazio e Perotti. Due giocatori con una storia importante nella tua Roma.

«Una meraviglia averli qui. Sono venuti a stupire. Fazio è un capo, ha già superato le ruggini. Perotti, imprevedibilmente, è stato subito in grado di giocare. Era fermo da un anno. Ci sta mettendo un entusiasmo infantile».



Dimmi di Ribery.



«Il giorno dopo il mio arrivo, mi fa: “Direttore, io non ce la faccio più a stare a Salerno. La gente ride quando perdiamo. A me non viene da ridere quando perdo”».



E tu?

«Dove ***** vai, Franck, te ne vai ora che arrivo io? Il giorno dopo mi dice: “Ci ho ripensato, resto”. E io: “Guarda che lo scenario è cambiato, ho preso tanti giocatori nuovi, potresti non essere sicuro del posto”. “Vorrà dire che mi batterò…”. Capisci che umiltà? I grandi come lui odiano perdere».



Perché cambi undici giocatori e, all’inizio, non cambi l’allenatore?

«Mi dai la possibilità di ristabilire la verità su Colantuono. Lo vedevo lavorare ventre a terra, con entusiasmo, mi sembrava corretto dargli una chance. Se ci salveremo sarà per un punto e dovremo ringraziare Colantuono, i due punti presi con Spezia e Genoa in una situazione drammatica. Prima perché c’erano pochi giocatori e poi perché troppi».



Perché allora l’hai esonerato?

«Perché si doveva completare un’operazione così radicale. Gli sono grato, ci ha consegnato un gruppo attendibile. Lui di questi tempi è in una grande sofferenza, anche perché il presidente ha detto sbadatamente una cosa che non doveva dire: “Preferisco lottare disordinatamente per restare in serie A, che andare ordinatamente in serie B”. Ripeto, se ci salviamo sarà anche merito suo».


Domani si torna da avversari a Bologna. Stato d’animo?

«Avevo deciso di non andarci. Poi ho detto ai ragazzi: “Voglio bene ai giocatori del Bologna, ma in questi giorni ho capito che voglio più bene a voi, quindi verrò allo stadio”. Sarà una tempesta emotiva, ma io vivo da sempre nella tempesta».



Cosa non ha funzionato nella storia di Sabatini a Bologna?

«Userò una citazione da Troisi: Pensavo fosse amore e invece era un calesse»



Da parte della società?

«Sono stato dimesso da Saputo dopo una brutta sconfitta in casa. Gli avevo comunicato che ero a sua disposizione per qualunque decisione volesse prendere. La mattina dopo è venuto in ufficio: è meglio che le nostre strade si dividano».





A distanza di mesi ti sei dato una spiegazione?

«L’unica è che gli stavo sul *****. Perché, complessivamente, sono un uomo che sta sul *****, alle persone, spesso ai presidenti».



I presidenti sono uomini pragmatici.

«Quando hanno la cultura e la conoscenza per capire. Il calcio con me a Bologna poteva prendere una direzione che non ha avuto il tempo di prendere».



Un Bologna che senti ancora molto tuo.

«Resta fortissimo il legame con la città. Anche perché mio figlio ha una storia d’amore e tutti i sabati va a Bologna dalla fidanzatina».



La squadra fa una grande fatica. Alti e bassi.



«Alcuni giocatori non stanno rendendo all’altezza delle loro possibilità. Arnautovic è un fenomeno, l’ho voluto fortemente, ma non ha risposto al cento per cento».



Dimmi di Mihajlovic.

«Uomo meraviglioso. Insospettabilmente sensibile e tenero. So che è anche un ottimo allenatore».



Lo è o potrebbe diventarlo?

«Lo è già, ma è ora che stringa i cordoni. Deve arrivare a raccogliere qualcosa. Scegliere una società che allestisca una squadra per fare i 65, 70 punti per uscire dal grigiore».





Tipo?

«L’avrei visto benissimo alla Lazio».



Peggio Saputo o Pallotta?

«Per lungo tempo ho pensavo meglio Saputo, poi ho dovuto ricredermi. Con Pallotta litigavo, ma almeno ci sentivamo. Con lui abbiamo messo su una Roma che ha giocato un grande calcio. E comunque non mi ha scandalizzato essere dimesso. Mi è successo anche con Zamparini».



Il tuo Zamparini.

«Un presidente meraviglioso, fatto salvo l’essere un turbolento incredibile, immarcabile. Ho imparato tantissimo da lui. Mi ha trasferito il suo coraggio e la non sopportazione delle sconfitte».



Pregio o difetto?

«Chi fa il nostro mestiere deve saper convivere con la sconfitta, io ancora oggi, alla mia età, rimango paralizzato dalla sconfitta. Allargo questo sentimento anche al comportamento dei giocatori quando sono sotto il livello che mi aspetto. Sentimenti che ti stremano. Sono stato stremato dal calcio».





Nicola e Mihajlovic a parte, l’allenatore con cui hai avuto il più grande feeling?

«M’è successo di parlare molto con Spalletti, ma lì il livello delle nostre discussioni era sempre confinante con la follia».



L’esonero più doloroso?

«Tutti. Quando si esonera un allenatore è sempre una sconfitta personale. In assoluto, dico Rudi Garcia. Ma era un esonero inevitabile e giusto, aveva perso la spinta, l’appeal con la squadra».



Hai detto: un errore non prendere prima Spalletti.

«Mi spiace averlo detto, non si danno bastonate a chi sta fermo, mi ha dato fastidio averlo fatto. Ma era la verità. Se prendo Spalletti un mese prima, forse vinco il campionato con la Roma. Quell’anno aveva fatto 87 punti».



Bene Spalletti a Napoli.

«È sotto gli occhi di tutti. Nonostante un presidente che non gli concede tutto quello che gli serve. La convivenza con De Laurentiis non deve essere semplicissima».





Doloroso anche il tuo addio all’Inter.

«Il più grande errore professionale della mia vita. L’accettare una richiesta interna che prevedeva io fossi fuori dall’organigramma».



Non dovevi fare ombra a qualcuno…

«Non so. Un errore tragico, il mio. Dovevo rescindere il contratto prima di cominciare. Una situazione insostenibile».



Dzeko con la maglia dell’Inter?

«Orrido. Io ho solo pensieri stupendi per lui. Gli auguro sempre il meglio. I tifosi della Roma non hanno capito che erano due o tre anni che lo volevano cacciare».



Alisson, Marquinhos, Benatia, Castan, Emerson Palmieri, Nainggolan, Pjanic, Salah, Dzeko.

«Perché mi fai questo?»



Che ti suscita?



«Niente. Sai perché? La mia vita è stata la versione umana del mito di Sisifo. Io non sono Sisifo inviso a Zeus, sono il macigno che perpetuamente arriva in cima a e poi cade a fondo».



Chi è Sisifo?

«La mia virtù che mi spinge su insieme alla mia ostinazione e la voglia di farmi male. O forse perché il piano della vita è inclinato».



L’esperienza più stremante.

«La Roma, nessun dubbio».



Finita perché?

«Pallotta aveva nominato Baldini come suo consulente personale. Può un direttore sportivo serio accettare una cosa del genere?».



Interferiva molto Baldini?

«Non ci riusciva neanche a farlo, ma era un bordello. Gli agenti non sapevano da chi andare. Pallotta mi lasciò libero solo dopo aver portato a termine il mercato».





Il giocatore della tua storia di dirigente?

«Pastore. Giocatore e ragazzo meraviglioso. Una sconfitta penosa che la sua storia si sia interrotta. Sfortuna nera e lui s’è un po’ lasciato andare. Mi ha fatto male che i tifosi della Roma non l’abbiano conosciuto al suo meglio. Pastore non era un giocatore. Era un sogno in movimento».



Gioco di fantasia. Mourinho e Sabatini insieme alla Roma.

«Come ti può venire in mente?»



Addirittura?

«Mourinho è un teatrante di successo, io invece voglio fare il calcio vero. Lui potrà rispondere che ha vinto tutto e io niente. Avrebbe ragione, ma non cambio la mia risposta».





Non gli riconosci competenze calcistiche da allenatore top?

«Lui va bene per un certo tipo di squadra, un certo contesto, un certo tipo di obiettivo».



Sbagliato dunque per la Roma?

«Guardo i risultati. Lascia stare le partite perse. I giocatori messi al rogo, declassificati. Mi pare tutto molto discutibile».



Ti arrivasse una telefonata dai due americani: “Vieni alla Roma, a lavorare con noi e Mourinho?”

«Gli farei un applauso, gli darei ragione, ma risponderei: “Rimango qua Salerno dove la gente mi ama”».



Definisci la stagione di Mourinho fin qui.



«La considero un’annata interlocutoria. Roma è una realtà speciale. Va studiata, capita. Ora che l’ha fatto, Mourinho proverà a fare meglio, non certo con giocatori come Oliveira».



I tifosi lo amano senza riserve.

«Anche per colpa tua… *****…Quell’Ave Mourinho…».



Sarri alla Lazio?

«Quando la Lazio gioca, lo fa davvero bene. Maurizio è un lavoratore del calcio, sta in campo, bestemmia, s’incazza, gli viene la polmonite ma se ne frega. E fuma più di me. Ci siamo detti un giorno: come mai non abbiamo mai lavorato insieme. Pensa che disastro».



La cosa più ignobile che hai fatto per portare a casa un giocatore?



«Ne ho fatte tante. Finte, bugie gravi, magheggi. Non farò nomi. Posso dire che per portare Salah alla Roma ho fatto un magheggio fantastico. Mentre gli altri dibattevano sul che fare a Firenze, io ero a Londra a chiudere con il giocatore».



Il colpo di cui vai più fiero?

«Marquinhos. Franco Baldini cercò di boicottare l’operazione. Lo fecero passare per uno troppo magro, fisicamente inadeguato. Non sapendo che avevo già concluso l’affare».



Plusvalenza notevole.

«M’ero impegnato con un obbligo d’acquisto a 4 milioni con il Corinthians. Quando ricevemmo un’offerta di 30 milioni dal Paris, la disapprovazione diventò gaudio».



Un rimpianto ce l’hai?

«Cos’è il rimpianto?»





Mi basta come risposta. Dimmi di Ilicic.

«Un ragazzo tendente alla depressione, un solitario che fa fatica a ridere. Quando ci si mette un fattore esterno, nella sua testa si scatena il peggio. Ne ho uno così anche a Salerno».



Chi è?

«Federico Bonazzoli. Un campione. Si nasconde la faccia sotto collari, berretti, orpelli vari. “Ma che ***** ti nascondi”, gli faccio, “sorridi alla vita, sei bello, sei bravo, sei ricco”. Un giocatore con dei colpi sublimi».



I guai di Ferrero ti hanno turbato?

«Né caldo né freddo. Mi sono lasciato convincere quella volta da Carlo Osti, un fratello. Lui e Giampaolo mi hanno accerchiato»



Dimmi di Vlahovic alla Juventus.



«Una roba ignobile. Insopportabile. Come fai a non avere nessuna riconoscenza per la società che ha creduto in te? Lo stesso vale per Donnarumma con il Milan. Qui entrano in gioco le qualità umane».



Il tuo pupillo Massara al Milan.

«Sono orgogliosissimo di lui. Competente come pochi. Uomo leale. Per tentare di difendere Monchi, ci ha rimesso la poltrona di direttore sportivo alla Roma».



Avverti pregiudizi nell’ambiente legati alla tua salute?

«Molti ci giocano sopra. Qualcuno ha detto di me che sono un morto che cammina».



Come stai?



«Da dio. So che certe cose posso farle, altre no, sono prudente. Posso fare quello che so fare meglio: il dispensatore di felicità. È, in fondo, il segreto del calcio, dare felicità alla gente».



Come ti è cambiata la vita dopo la malattia ai polmoni e il coma?

«A volte non capisco bene se sto vivendo o sognando. Non è male…».



Cosa dà dignità alla vita?

«L’onestà e il far felici gli altri. Nel caso mio anche l’esistenza di Santiago, mio figlio. Lui ha dato un senso alla mia vita. L’unica persona che voglio abbracciare e toccare. Quando è nato scricciolo settimino, me lo mettevo sul petto per farlo addormentare. Si addormentava ascoltando il rumore del mio corpo, i polmoni che graffiavano e il cuore che batteva».
 
Grazie per aver fatto spazio a beppe

Non c'e' paragone fra i due - mi tengo non stretto, ma strettissimo Marotta - dirigente capace, pragmatico, diplomatico, esperto a tutto tondo. Sabatini e' un nevrastenico, un ottimo talent-scout, ma di dirigenziale non ha nulla - e' inaffidabile come tutti gli impulsivi. Non poteva durare con i cinesi o con qualsiasi gruppo d'investimento. E' uno da sotto-padrone e nemmeno un padrone-manager (vedi Pallotta o Saputo), ma da padrone delle ferriere come Zamparini ... non credo duri a lungo pure a Salerno. Ma e' indubbio che ha occhio con i calciatori ... ecco perche' lo vedono fuori dagli organigrammi aziendali
 
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