Werckmeister Harmonies

ufo club

Vice capitano
io ci aggiungerei un bel
"... e scorreggiai sull'autobus all'imbrunire, provocando la fuga dei convenuti. siamo tutti piccoli borlotti che vagano tra le ombre di questa metropoli grigia e incombente, cosa ne sapete voi dello sguardo adirato e indispettito dell'autista, impossibilitato alla fuga, unica verità di un divenire mai così offuscato da quel bicchiere di gin bevuto in quello squallido bar situato di fianco al nulla ?"
 
Sasha si guarda le braccia. La pelle chiara le sembra un paradosso per una che vive a trenta metri dal mare.
Ma l'estate è la stagione più dura.
E' costretta a chiedere ad ogni cliente cosa fa nella vita. Se lavora, se c'è un motivo per cui non lo fa.
Le domande sono una routine. Come tenere due preservativi sul comodino, di fianco al deodorante e alle salviette.
Sasha è russa. Ha i polpastrelli arrossati, gambe snelle, un culo sodo. Quest'ultimo per i clienti migliori. Sulla lista ne ha segnati una quindicina, rigorosamente a stampatello con tanto di evidenziatore rosa.
Il giallo è per quelli che non telefonano negli ultimi 3 mesi.
Sasha ha due parrucche. Le tiene nell'armadio; un caschetto castano e una sorta di permanente rossa.
Le usa poco, due o tre volte al mese.
Lunedì non ha avuto clienti.
E' rimasta collegata su internet, ha ascoltato qualche canzone ed ha contattato per mail il ragazzo delle foto, perché le aggiornasse sulla bacheca degli annunci.
Nelle sere morte si raggomitola sul divano, trova la prima *****ta in tv e rimane ad osservarsi lo smalto dei piedi.
Il rosa non rende.E' troppo materno, forse.
Il rosso ha un'aggressività congenita, va bene per le richieste specifiche.
Un cliente le ha chiesto espressamente se fosse disponibile a farsi legare. Un cinquantenne dalla voce calda.
Quando l'ha visto scendere dalla macchina, pettinarsi prima di richiamarla per la conferma, ha avuto paura.
Si è ritrovata nei suoi sedici anni, con addosso l'odore di candeggina di sua nonna.
Ha dato un'occhiata al terrazzo.
Le è sempre piaciuto sporgersi. Accattivarsi quell'istante di vento e vertigine, lasciare i capelli dondolanti nel vuoto e le mani, serrate alla balaustra, a protezione di chissà cosa.

L'ha immaginato salire le scale. Il ricordo dell'odore di candeggina le ha impregnato il viso in maniera più forte. E il vento, lì, sul terzo piano, non aveva argomenti migliori.

Sasha ha lasciato la porta socchiusa. Si è nascosta dietro l'uscio, per l'ultima occhiata inconsapevole a disposizione.
La barba curata, la timidezza di sostare qualche metro prima: le è sembrato più giovane dell'età che ostentava nella voce. La valigetta semigonfia l'ha costretta ad un sorriso goffo.
Il ciao è stato disarmante. Come gran parte dei saluti occasionali.
Il tono sobrio l'ha privata di una riposta.
Gli ha indicato il bagno, l'interruttore della luce da spegnere successivamente. L'ha visto sicuro di sé mentre si chiudeva alle spalle la porta e sorriderle con la minaccia camuffata da un falso buonsenso.

Sasha collezionava bambole di pezza. Non le sono mai piaciute.
Quelle vecchie bambole conservano la tragedia del sudore. Mani arrossate che si sono sacrificate al dovere, nel gesto di un'artigianeria immanente, un testamento di sangue rappreso che ha avuto l'accortezza di non sprecare mai cinque centimetri di garza ospedaliera.
Quel sacrificio atavico le disegna sul volto rughe inconcepibili.

Le ha fatto i complimenti per il culo. Poi ha aperto la valigetta, lentamente, come si rivela un segreto da ubriachi.
Con la stessa voce suadente.
La finestra ben serrata del balcone era ormai un cartello stradale sbiadito; un'indicazione ormai per pochi, un mistero di viandanti. Per lei c'erano soltanto autostrade illuminate dal dovere, percorsi prestabiliti e sottoscritti più forti della voglia di ribellarsi a qualsiasi "contro".

Le corde le stringono il collo ed i fianchi. Sono ben serrate, sembra che siano state allacciate con rabbia. Ma Sasha sa che non è così.
La rabbia deriva dal sangue, dall'istinto. Sasha ha davanti agli occhi un'orrenda programmazione.

Le tremano le caviglie.

Vorrebbe piangere, ma sa che peggiorerebbe la situazione.

Il cellulare per chiamare il suo protettore è lì. A cinque centimetri. Ma le sue dita sono carne bruciata, sostanza molle ed inutile. Qualsiasi tentativo di allungare le deboli braccia le sembra un rischio, una speranza infantile, una vergogna ingestibile.
Lo sente sopra di sé, ansimante, nella foga di concludere. Il sangue le pulsa ed è un concerto di inconsapevolezza.
La barba non sembra più così curata. Il sudore l'ha disfatta, così come i capelli.
Sente sulla pelle le sue gocce di carne irruente, la sua fame.
Lei, che si limitava alla speranza di essere corpo.
E quella valigetta nell'angolo, così volgarmente ribaltata.

Ora la sua voce le copre le spalle, una mantella ghiacciata che non riesce a scrollarsi di dosso imprigionata lì, in quella stupida stanza seminuda. Sulla punta delle labbra conserva il terrore di dirgli basta, terrorizzata dalle conseguenze.
Confida nella sua voce sempre più grottesca.

Le corde stringono. Vede le sue mani carnose stringerle in punti stabiliti dal desiderio.
Gli chiede di non togliersi il preservativo. Nel punto sotto i seni sente le ossa messe in discussione, ha appena la forza per gridargli di non farlo.
Lì vede davvero i suoi occhi.
E sa che è finita.
Ed inizia finalmente a sorridere.

Pensa a come sarà dopo. Mentre il suo sperma caldo le cola sulle labbra tenute ferme, mentre le sue dita arrossate la costringono ad ingoiare anche gli schizzi finiti tra i capelli.
Fissa per un attimo il preservativo finito ormai sul bordo del letto. E' il simbolo del suo percorso di aerei improvvisati, speranze senza futuro, scelte perse in partenza con l'orrenda consapevolezza camuffata da libertà.

Pensa a come sarà dopo.

Quando riabbraccerà quel balcone.
Con una forza nuova tra le braccia morte.
 
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