Werckmeister Harmonies

Le risate non hanno più suono. Restano soffocate, lì, tra le discariche d'odio che perseguitano questi poveri passi blasfemi.
Le persone sono fatte di tradimenti, menzogne e malagrazia; il mare mi fa un inchino sublime mentre affondo il viso ed è un freddo conquistato.
Versamene un altro, anzi; faccio da solo.
Ho imparato il disincanto e non ho alcuna intenzione di tramandarlo: ho imparato la disgrazia e non ho nessuna voglia di mostrare gli occhi gonfi. Ho imparato la distanza dall'infinito e non ho proprio alcun desiderio di mescolare le carte.
Non è necessario inseguire la sincerità, non serve piegarsi al manifesto cattolico dell'altrui stupore; serve, invece, camminare senza méta, non avere inclinazioni né speranze fosse solo un attimo di ardére, lì, in sconclusionati emisferi di innocenza d'occhi persi.
Un uomo vestito di morte mi accarezza le gambe senza parlare. Un altro mi perseguita con la propria disamina vittimistica del creato. Non ho tempo, né voglia di perdonare nessuno.
Sono nato con l'odio nel petto e respiro più forte di quanto avrei mai potuto immaginare.
Costruirono una casa di legno, tempo fa, arricchita di rugiada, foglie pavimentali, racconti ignobili; la abitarono pazzi, drogati, filosofi dell'ovvio, mercenari di attenzioni e via dicendo.
Le foglie morivano giorno dopo giorno.
Sempre piu' deboli, sempre piu' inutili.
Nel tempo impararono il trucco della calce, l'arte di incollare, gli infiniti deliri tramandati da chissà quali Padri.
Non rimase nulla.
Se non i nostri occhi spalancati ed impotenti, a cercare, ad insistere, ad ardere.
Nel fuoco morto della notte più buia delle nostre stesse meraviglie.
 
Il penultimo scalino ha una preoccupante vocazione verso il vuoto, lo evito in punta di piedi prima di ammorbidire i passi sulla sabbia ancora bagnata dalla pioggia notturna.
Guardo questo stabilimento sepolcrale piantato di fronte alla scogliera, una pallida montagna sdentata circondata da residui di bottiglie, cartoni di vino, cordami sfilacciati e ritagli grezzi di fiancate appartenute a barche divorate dall'inverno.
L'umidità insiste stuzzicandomi dall'interno del giaccone fino a sentirla là, dispettosa, a disegnarmi non so quale diavolo sul collo avvolto da un'inutile sciarpa ingrigita: vecchio regalo di Adele, questo straccio di piscio, vomito ed eventuali.
Siedo in uno spazio asciutto della piccola gradinata protetta dall'insegna “Il Veliero” 06, il numero di riconoscimento, estraggo dallo zaino la birra e la lascio per qualche minuto piantata nella sabbia.
Troppo presto e troppo freddo per i pescatori, troppo tardi e desolato per il resto dell'umanità, fisso senza interesse la schiena disarticolata di questo piazzale algido avvolto nella monotonia dell'acqua nera bestemmiata in aria. Più avanti, nelle possibilità di uno sguardo ridestato dai primi sorsi alcolici, c'è un uomo che cerca di avvicinare una barca alla battigia facendola avanzare, metro dopo metro, usando come scivolo dei cilindri di plastica.
Una volta spinta in mare, l'uomo salta su e rema tenendo le spalle all'orizzonte, testa bassa, superando a fatica la fila di scogli e andando oltre, allontanandosi dalla riva al punto da non distinguerne più i movimenti.
La luce magra del mattino di gennaio sparge flebili ritagli di pace, definendo con lentezza i profili della mercanzia maldistribuita a disposizione di chi, come me, viene qui per accontentarsi di una quiete spettrale.
Mi incammino per qualche decina di metri, trascinando le scarpe nei punti sabbiosi più lisci e duri, a ridosso della riva, bevendo gli ultimi sorsi e lasciandomi guidare nel vuoto, senza alcuna direzione, invaghito dalla consapevolezza di non poter essere in un posto migliore di questo.
Dalla fila di scogli vedo riemergere la figura della barca sbattuta tra le onde ed ora, più distintamente, riesco a notare l'espressione arcigna ed affaticata del pescatore; sta armeggiando con qualcosa, vedo il suo capo sparire verso il fondo dell'imbarcazione per pochi secondi per tornare faticosamente in superficie.
Continuo ad osservarlo fino a vedergli sollevare un fagotto, legarlo ad un grosso masso di pietra e lasciarlo cadere in acqua.
 

Numerodue

Leggenda
  Moderatore
  Supporter
  Mod dell'anno
Due sportivi, due ragazzi per il calcio sono pazzi
son portiere e attaccante Holly e Benji due speranze
Loro vogliono sfondare e campioni diventare
per poter cosi' giocare nella squadra nazionale

Holly si allena tirando i rigori
Benji si allena parando i rigori
sembran partite gli allenamenti
tanta e' la classe dei due contendenti
Holly rincorre ogni pallone
Benji lo segue con attenzione
e questa sfida senza vincenti
fa i due ragazzi felici e contenti

Due ragazzi, due sportivi con due candidi
una palla come un lampo attraversa tutto il campo
Holly corre, salta e calcia
Benji salta, ferma e para
ma che grinta ma che classe son due veri fuoriclasse
son due veri fuoriclasse

Holly si allena tirando i rigori
Benji si allena parando i rigori
sembran partite gli allenamenti
tanta e' la classe dei due contendenti
Holly rincorre ogni pallone
Benji lo segue con attenzione
e questa sfida senza vincenti
fa i due ragazzi felici e contenti

Holly si allena tirando i rigori
Benji si allena parando i rigori
sembran partite gli allenamenti
tanta e' la classe dei due contendenti
Holly rincorre ogni pallone
Benji lo segue con attenzione
e questa sfida senza vincenti
fa i due ragazzi felici e contenti

Holly si allena tirando i rigori
Benji si allena parando i rigori
sembran partite gli allenamenti
tanta e' la classe dei due contendenti
Holly rincorre ogni pallone
Benji lo segue con attenzione
e questa sfida senza vincenti...
 
L'uscio notturno sono volti sbiaditi che si sono arresi prima della mia testa posata sul tavolo. Versamene un altro.
L'Islanda, le tue scarpe perfette, i telefoni lasciati chissà dove e quella voglia di morirsi addosso; quando la passione cede c'è spazio solo per una democratica follia.
Una città, un sole battente, una borsa che contiene ciò che non dovrebbe contenere; un incontro inutile, una ricorrenza sfilacciata, un groviglio di errori senza nessuna pietà ed il delirio di onde calde che non sanno cosa travolgere.
Da una donna si puo' prendere tutto, ma non si otterrà mai nulla. Certe regole sono scritte nel disarmo e nella malagrazia che ci portiamo sulla pelle nuda.
Quello che fa male è vedere questo albergo vuoto, le persiane posate come scheletri arresi, le luci che non hanno più vita e nemmeno un braccio dimagrito a chiedere pietà.
Quello che fa male insiste oltre lo sguardo e le voci, le parole e tutto ciò che ci ha trovato con un coltello rovente, lì, in cerca di una dolcissima pazzia.
Se potessi lamentarmi lo farei di questo orrore che mi morde i polsi e non ne vuole mai sapere; se potessi districarmi lo farei con il mio stesso errore di averti dove non dovresti essere mai.
In fondo non c'è motivo di riabilitare schermaglie; non c'è diatriba né sangue, non ci sono polsi piegati, non c'è la stanza chiusa.
Quello che c'è sono questi respiri sempre più sottili, chissà quanti anni avrai ora?
L'Islanda e le sue luci assurde, il ghiaccio caldo e la bocca bianca, i fuggitivi ed i testardi, il permesso per avere lo stomaco pieno; Cèline e Rimbaud, le cotolette alle sei di mattina, i pugni rotti contro un vetro ed un carnevale di demenza mentre attraversiamo abbracciati l'ultimo spiraglio di vita, e lì, fronte contro fronte e poi schiena contro schiena, disintegrati, persi, lontani e finalmente nemici.
Versamene un altro.
Ora taci.
Sui pezzi di vetro non me la cavo bene.
Ma d'altra parte non so sollevarmi.
Quello che rimane si conserva nello sforzo dell'eco inutile; ho carte truccate ma tavoli troppo zuppi per poterle girare nel verso giusto e non ho alcun desiderio di soddisfare la tua dimestichezza con il rimpianto.
Quindi baciami bene e chiudi gli occhi e sogna lontano, fin dove puoi arrivare.
 
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