Tre giorni segnati da un clima pesantissimo, come normale che sia quando arrivi da un’eliminazione ai gironi di Champions League da ultimo in classifica e ti chiami Inter. Questa extra-pressione rende fortemente probante il test a cui la squadra di Conte è chiamata in quel di Cagliari. Sono due, infatti, gli scenari possibili in un tale contesto, guardando specialmente al futuro visto che siamo ancora a dicembre: i nerazzurri restano sotto shock per il flop europeo e ricominciano ad arrancare anche in campionato, dando “il via libera” ad una stagione mediocre; l’Inter si rialza, si compatta, dimostra di voler reagire e rispondere alle pesantissime critiche fin qui rivolte. Per nostra fortuna sembra manifestarsi il secondo, anche se l’andazzo per 77 minuti ricorda sinistramente quello di mercoledì contro lo Shakhtar Donetsk. Con l’aggravante del gol subito.

Ancora miracoli…

Se nella triste, ultima notte di Champions a San Siro contro gli ucraini era stato Trubin(insieme ai legni) a negare fattivamente ai nerazzurri la qualificazione agli ottavi, ieri in Sardegna è Alessio Cragno a meritarsi la palma di man of the match per distacco nei suoi. L’Inter è la prima squadra in stagione a calciare ben 4 volte verso la porta nei primi 15 minuti, a testimonianza di un approccio furioso, orgoglioso, dirompente, che compendia tutta la voglia di rivincita che anima gli uomini di Conte. Sono ben 5 i miracoli di Cragno nei primi 24 minuti: due su Lukaku, due su Sanchez, uno su Eriksen. Occasioni alle quali si aggiunge la conclusione di Bastoni che – ben servito dal danese – spara di poco alto. Giusto sottolineare i meriti per gli interventi prodigiosi al portiere avversario, ma è altrettanto corretto pretendere che questa squadra cresca in killer-instinct, peculiarità che troppo spesso non appartiene ai nerazzurri. E questa lacuna può far male, malissimo, come successo ieri alla Sardegna Arena. L’Inter rivede i fantasmi di mercoledì e la situazione – da frustrante e snervante – diventa presto surreale, visto che il Cagliari passa addirittura in vantaggio alla prima occasione grazie a Sottil che batte un Handanovic non irresistibile. Gli uomini di Conte rischiano addirittura di andare incontro al doppio svantaggio, venendo però graziati da Pavoletti. Il fato sarebbe stato eccessivamente crudele, anche per un’Inter abituata a vederlo costantemente avverso.

Baratro?

Abbandonata la Champions, l’Inter che nel secondo tempo non riesce a scardinare il muro sardo eretto da Di Francesco è potenzialmente a -8 dal Milan. Ma oltre alla classifica, è di fronte ad un’altra cocente delusione che avrebbe un devastante contraccolpo psicologico. Hakimi – inserito all’intervallo per uno spento Perisic – non fornisce il contributo sperato e crea più confusione alla propria squadra che pericoli a quella avversaria; a centrocampo Brozovic ed Eriksen perdono colpi, non riuscendo a incidere. Il croato si limita al compitino ed appare stanco, in costante ritardo. Il danese nei primi 45 minuti era stato utile in fase offensiva, servendo due ottimi palloni a Lukaku e Bastoni, anche se nelle situazioni di non possesso lascia sempre ampiamente a desiderare per caratteristiche. Dopo l’intervallo, invece, fa perdere le proprie tracce e così Conte lo sostituisce con Stefano Sensi. Sanchez è il solito trequartista aggiunto, ma proprio per questo abbandona le zone prettamente offensive lasciando Lukaku a combattere con i difensori avversari, ed anche il belga appare poco lucido, proprio come contro lo Shakhtar. Serve una scossa, qualcosa di diverso.

Piano B o…D?

Al minuto 71, entra Lautaro per Bastoni e l’Inter cambia modulo, passando al 4-3-1-2. Ma oltre all’assetto tattico, a cambiare sono molti interpreti. Prima del Toro entrano Young e i già citati Hakimi e Sensi, e così i nerazzurri possono cercare trame diverse. Conte lo ha detto, nel post-partita: “Il piano B sono sempre le sostituzioni”. E l’Inter ieri aveva alcune carte da giocarsi dalla panchina. Ma in una partita così stregata, il gol liberatorio dell’1-1 non può che arrivare dal leader caratteriale di questa Inter, uno che nelle ultime due partite è sceso in campo malconcio, ha continuato a prendere botte, si è accasciato ma si è sempre rialzato: Nicolò Barella. Nella sua Cagliari, il numero 23 nerazzurro prova una volta in più di essere diventato grande e di poter guardare ai top del ruolo europei senza timori di sorta, pur con la consapevolezza di dover e poter crescere ancora tanto. Le potenzialità sono enormi, ma questo Barella è già una delizia. Proprio come il destro al volo con cui trafigge la sua ex squadra.

E a proposito di piani, quelli tanto cari ad ex allenatori che, in attività, non erano certo famosi per la malleabilità e per la flessibilità nelle scelte, l’Inter sfodera la sua D, quella che quando conta è sempre letale. Il destino vuole che Hakimi accusi un problema alla caviglia al minuto 83 e che Danilo D’Ambrosio possa subentrare nella situazione a lui più congeniale: quella in cui la squadra è alla disperata ricerca della zampata, dell’inzuccata vincente. E in meno di un minuto il numero 33 ci riesce ancora. Lukaku la chiude nel recupero e l’Inter si riprende la sua stagione, nella speranza di dar vita ad una cavalcata che però deve necessariamente passare, in via preliminare, dal mercato di gennaio, come ha fatto capire Conte nel post-match.

La funzionalità per vincere

Il tecnico nerazzurro ha espresso un concetto che, letto fra le righe, riguarda principalmente un reparto. “Andiamo avanti sperando di poter migliorare qualcosa, che qualche giocatore possa poter andare a giocare e diventare più snelli ma più funzionali a ciò che vogliamo”. E quel reparto è il centrocampo. In mediana, infatti, l’Inter è sulla carta numericamente coperta, visto che figurano ben 8 centrocampisti a disposizione. E quindi in molti potrebbero dire: “Cosa vuole di più Conte?”. Il problema è che, da questi 8 centrocampisti, ne vanno di fatto depennati alcuni, come Nainggolan e Vecino, di fatto mai disponibili. Ed è proprio a loro, oltre che probabilmente a Pinamonti in attacco, che il tecnico si riferisce quando afferma, a proposito della possibilità di cambiare la partita in corsa, “devi avere a disposizione tutti i calciatori per poterlo fare, se hai infortunati o gente fuori forma che non può giocare non si può fare. Capisco però che dall’esterno si diano dei giudizi, chi è dentro non può dire tutto”. Se a Vecino e Nainggolan aggiungiamo la fortissima tendenza di Sensi agli infortuni e le enormi difficoltà di Eriksen, a centrocampo restano ben poche scelte. Insomma, bello leggere sulla carta i nomi dei centrocampisti nerazzurri, ma la realtà – fatta di quotidianità e contesto nei quali i calciatori si trovano – racconta ben altra storia. Allo stesso tempo, in attacco continua a sentirsi fortemente la mancanza di un vice Lukaku, specie nei periodi – come quello attuale – in cui il belga avrebbe bisogno di rifiatare.

In sintesi: l’Inter può puntare allo scudetto? Non solo può, ma deve. Ci riuscirà con questa rosa? Difficile, se lasciamo che a parlare sia il campo e non la carta. A gennaio servirà innanzitutto sfoltire per liberarsi di ingaggi – come quelli di Nainggolan e Vecino – che pesano come un macigno visto il contributo nullo dei due giocatori. Poi ci sarà da valutare la situazione Eriksen. Di certo, l’Inter dovrà puntare sulla funzionalità piuttosto che sull’apparenza, in ottica scudetto. Perché tutti sanno che è il vero obiettivo, ma ognuno deve dare il 100% per poterlo raggiungere, pur riconoscendo le gigantesche difficoltà che la crisi Covid impone ai club da un punto di vista finanziario. Servirà intelligenza, ora più che mai. Adesso, però, l’Inter è attesa da un trittico di partite fondamentali: Napoli, SpeziaVerona. Chiudere bene per ripartire meglio. Con un unico obiettivo.

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.