Prefazione di Giuseppe Marotta

Inizia con un’introduzione di Beppe Marotta l’avventura di Simone Inzaghi da nuovo allenatore dell’Inter come accadde con Conte e, per alcuni aspetti su cui ragioneremo dopo, ci sono delle similitudini nelle modalità di approdo al mondo nerazzurro da parte dei due tecnici.
Le prime parole sul nuovo allenatore interista sono semplici, ma significative, Marotta definisce Inzaghi un “allenatore giovane, ma già vincente” e quindi un “profilo adatto” per il progetto portato avanti dalla società.

Sul primo aspetto, sì, perché Inzaghi è l’allenatore che ha vinto di più negli ultimi cinque anni dopo coloro che si sono seduti sulla panchina della Juventus, il che non è poco e si tende a dimenticarlo, errore.
Per quanto riguarda l’essere un profilo adatto per la continuità degli intenti nerazzurri, Marotta ha voluto comunicare sicurezza rispetto a chi storce un po’ il naso o a chi critica la scelta di Inzaghi pensando che il predecessore venga da un altro pianeta e che il neo-allenatore, al contrario, non sia all’altezza.
Inoltre l’a.d. della sezione sportiva interista si è soffermato ampiamente sulla situazione finanziaria del club, fornendo dei numeri importanti: ha parlato di 700 milioni di euro investiti dalla società a partire dalla sua acquisizione e di 100 milioni persi dalla stessa in un anno e mezzo di inattività degli stadi.
Perché lo avrebbe fatto e soprattutto perché rimarcare su un aspetto già abbastanza chiaro?
A mio avviso, Marotta ha voluto sottolineare lo sforzo fatto da Suning fino all’arrivo della pandemia e cioè uno sforzo significativo sotto il punto di vista degli investimenti e “giustificare” (termine usato senza alcuna malizia) il cambiamento di rotta in numeri, per darci una dimensione, una tangibilità della perdita subita dalla chiusura degli stadi ad oggi, portando una dichiarazione d’intenti netta: voler rinforzare la squadra ma con mezzi economici ridimensionati, un concetto che ha voluto far entrare bene nella testa dei tifosi e che per la sua sincerità, sicuramente, verrà apprezzato.

Il mercato di Inzaghi

Ieri Conte, oggi Inzaghi si son trovati a dover ormeggiare in porti non sicurissimi in termini di mercato, non soffiava buon vento all’arrivo del primo con le pratiche Perisic, Nainggolan ed Icardi da dover sbrigare e la non certezza, ai tempi, dei nuovi innesti. Per fortuna sappiamo come è andata a finire e ce la siamo cavata.
Simile, seppur in termini differenti (non ci sono particolari situazioni disciplinari da gestire), la circostanza nella quale si è ritrovato il secondo nel pronunciare le prime, ufficiali, parole da interista.
Ha parlato della partenza di Hakimi come persona informata dei fatti ed effettivamente era cosa ormai certa e nota ai più figuriamoci a lui, e nel momento stesso in cui il tecnico piacentino ha accettato l’incarico era certamente conscio di questa partenza dolorosa ed è qui che ci sembra di vivere un déjà-vu con Conte, giocatori che partono e devono essere rimpiazzati ma stavolta con una forza economica non paragonabile ad appena due estati fa.

Ora la posizione vacante è solamente una ma in uno dei ruoli fondamentali per l’idea di calcio di mister Inzaghi: “gli esterni sono giocatori importanti” per citare le sue parole in conferenza.
I quinti nel suo 3-5-2 sapevamo già essere vitali, lui lo ha ribadito creando una certa aspettativa in tal senso, o meglio: il sostituto di Hakimi per tutto ciò di cui abbiamo già discusso non potrà essere un calciatore della stessa importanza (altrimenti tutte le chiacchiere sull’aspetto finanziario sarebbero state inutili) ma semmai l’Inter dovesse fare un investimento deciso, certamente lo farà in quella posizione.
Allo stesso modo Inzaghi è sembrato piuttosto sicuro nel dire che gli è stato assicurato che nessun altro pezzo pregiato verrà ceduto, ci fidiamo (come d’altronde dovrà fare lui).
Altra considerazione importante in uscita, o meglio in non-uscita, su cui riflettere è Perisic: Simone ci conta e lo vuole per il prossimo anno, con ogni probabilità sarà sua la maglia da titolare sulla fascia sinistra.
Conclusioni sul mercato: uno, l’entusiasmo per l’arrivo di Calhanoglu in Inzaghi è evidente. Il giocatore lo stuzzica vista, come immaginavamo, la somiglianza per caratteristiche con Luis Alberto e il possibile schieramento copia e incolla dello spagnolo.
Due, l’allineamento con la società si percepisce e memore dell’esperienza contiana la cosa non dispiace affatto.

Niente paura

Durante la conferenza stampa alcuni giornalisti hanno fatto riferimento alla pressione con cui dovrà convivere Inzaghi all’Inter, ma questa non sembra suscitare alcun timore riverenziale per il neo mister nerazzurro.
Rimarcando la sua volontà di dare continuità al lavoro che ha portato a vincere il campionato è sembrato più che consapevole delle difficoltà in questo nuovo cammino e nonostante sia stata una conferenza cauta nei toni, Inzaghi ha, in realtà, rilanciato, dichiarando quanto sia importante non solo confermarsi in campionato, quindi implicitamente trasmette la volontà di volerlo vincere, bensì porsi l’obiettivo di un cammino più incisivo in Champions League, traguardo che i suoi ultimi predecessori hanno raggiunto non oltre la partecipazione del torneo stesso (né Spalletti né Conte hanno superato i gironi).
Il che dimostra la “sfrontatezza”, se così possiamo definirla, nel tentar di entrare in casa Inter a piedi uniti, per lasciare il segno e non come semplice sostituto di chi non voleva più starci in quella casa.
Tanta quindi la consapevolezza dell’impresa postagli davanti agli occhi ma allo stesso modo è percepibile l’eccitazione per la nuova sfida e il desiderio di convincere che è un signor allenatore anche fuori le mura Aureliane.

Ricerca di un’alchimia

L’aspetto che più di tutti è emerso da questo primo ballo interista dell’ex-tecnico della Lazio è stato la ricerca di una coesione e dialogo con i propri calciatori.
Pur non conoscendoli ancora personalmente, tranne alcuni (De Vrij che ha già allenato alla Lazio e Handanovic e Kolarov con i quali è stato addirittura compagno sempre della squadra capitolina biancoceleste), è apparso con positiva sorpresa il forte contatto che il tecnico ha già avuto con la maggior parte dei giocatori.
Ha citato l’amarezza di Lukaku per l’eliminazione dall’Europeo e con il belga aveva avuto contatti appena arrivata la firma come allenatore dell’Inter, ha sentito Eriksen prima che gli accadesse quello che tutti oramai sappiamo benissimo, la dichiarazione di stima nei confronti di Sensi.
Significativo è stato anche motivare i giocatori che stanno ancora disputando le rispettive coppe internazionali: Barella, Bastoni e Lautaro definendoli “vincenti” e dichiarando che tiferà per loro nelle finali.
Fin qui solo bei segnali, conditi da un “avrò un bel rapporto con tutti”.
La comunicazione semplice ma efficace del neo-tecnico è stata la parte più interessante dell’intera conferenza stampa che presume oltre al lavoro tattico un lavoro umano, basato sulla creazione di un gruppo solido, cosa che era riuscita benissimo a Conte e che lascerà in eredità ad Inzaghi.
Quest’ultimo è sembrato avere una grande certezza, quella sull’aspetto caratteriale della squadra e di conseguenza cosa vorrà in campo sotto il profilo emotivo e psicologico: “vorrò avere una squadra intensa, sempre dentro la partita, una squadra forte capace di reagire e di non abbattersi davanti ad episodi sfavorevoli”.

Si dice che la prima impressione è quella che conta e nulla di tutto ciò sarebbe più sbagliato ma in questa circostanza possiamo dire che, nonostante non sia stata una presentazione con i fuochi d’artificio come quella di Mourinho o partecipata come con Spalletti, Inzaghi è sembrato edotto di cosa andrà ad affrontare e non ne è sembrato preoccupato, il che ci fa ben sperare.