Prima di soffermarci sulla (deleteria) partita di San Siro, è giusto dedicare un pensiero e un ricordo alla leggenda, per eccellenza, del calcio mondiale. Chi scrive non ha mai visto Maradona, è vero, ed è un cruccio inestinguibile per un appassionato di calcio. Chi scrive si è dovuto accontentare di una carrellata di video su YouTube. Ma ieri ha avuto ugualmente la sensazione di aver perso qualcuno di caro. Già, perché quel cruccio, quel rimpianto è stato da sempre attenuato dal ricordo delle sue gesta, dai discorsi di chi Maradona ha avuto la fortuna di vederlo. Il suo nome si è insinuato nel gergo comune, nelle metafore, il più delle volte come riferimento di eccellenza: “Non sei mica Maradona”, “sembri quasi Maradona…”, “questo non sarebbe riuscita neanche a Maradona..”. Presente, ubiquo nei nostri discorsi. Il Pibe de Oro è stato icona del calcio in tutto il mondo, ma come Muhammad Ali per la boxe il loro nome non si è fermato allo sport, travalicandone la dimensione e diventando punti di riferimento. Globali. Appare difficile in questo caso affermare che da ieri Maradona sia diventato immortale: lo era già. Quel che possiamo dire è che si intensificheranno le occasioni per ricordare le sue gesta sul campo di gioco, in modo che tutti i bambini del mondo – ancora per tante generazioni – possano sapere, appena si apprestano a seguire il calcio o a giocare a calcio, chi era Diego Armando Maradona. Il calcio in persona, appunto.

The show must go on. L’Inter affronta il Real Madrid a San Siro in una notte decisiva per il futuro dei nerazzurri in Champions League. Le premesse per fare bene c’erano tutte, o quantomeno per aspettarsi una partita rabbiosa, di orgoglio. Conte dopo il Torino e prima della sfida ai Blancos ha strigliato la squadra pungendo anche l’orgoglio di alcuni dicendo che “chi non regge le pressioni può trasferirsi in qualche squadra medio-bassa”. La vittoria in rimonta contro il Toro, inoltre, poteva rappresentare uno di quegli spartiacque utili per il prosieguo della stagione. E poi la situazione particolarmente complicata nel girone di Champions richiedeva l’assoluta necessità di fare punti per essere ancora padroni del proprio destino. I giocatori entreranno in campo iper motivati, vogliosi di “mangiare l’erba” e di rimettere la situazione europea sui binari giusti, vero?

Inspiegabile

Non ci sono altri aggettivi per descrivere l’approccio dell’Inter alla partita. Almeno per i primi 20 minuti sembra di rivedere l’atteggiamento mostrato contro il Torino per la prima ora di gioco. Ma se lì, pur rimanendo grave e preoccupante, poteva esserci l’attenuante dei giocatori appena tornati dalle nazionali e la leggera “arroganza” di chi si sente superiore in casa propria contro il Toro che può portare a sottovalutare l’avversario, qui non c’è alcuna scusa. Si affronta il Real Madrid, a San Siro, in Champions League, in una situazione di classifica già disperata. Non si può sbagliare. A livello psicologico in primis. Invece l’Inter sembra clamorosamente non essere in campo, subisce un calcio di rigore contro dopo pochissimi minuti per un’ingenuità di Barella ma, ancora peggio, in seguito al gol del Real non ha alcun impeto di reazione, nessun sussulto d’orgoglio. Rimane abulica, apatica, inspiegabilmente demotivata e fuori dalla partita. Poi, quando dopo i primi 20-25 minuti comincia a mettere uno spicchio di testa fuori, ecco la mazzata che la decapita.

Il tradimento

A proposito di testa, Arturo Vidal la perde completamente e colpevolmente dopo 33 minuti. Vero che l’arbitro Taylor non concede neanche il beneficio del dubbio (che si chiama consulto al Var) per il possibile rigore nerazzurro, vero che l’arbitro Taylor tira fuori il primo cartellino giallo senza un apparente motivo, visto che Vidal non compie alcun gesto plateale e non dice nulla di grave (altrimenti sarebbe stata espulsione diretta). Minuto 33, però, come gli anni del cileno. Uno come lui, nel momento in cui riceve la prima ammonizione, non può perdere la testa e scagliarsi minacciosamente contro l’arbitro consentendogli di estrarre il secondo cartellino che condanna lui all’espulsione e l’Inter, quasi certamente, all’eliminazione dalla Champions League. È un’ingenuità troppo grave per essere perdonata a cuor leggero e per essere definita tale: è un tradimento. A noi tifosi nerazzurri, ai suoi compagni ma soprattutto al suo allenatore, Antonio Conte, che tanto lo ha desiderato. Il tecnico, non esente da colpe, viene condannato proprio dal suo uomo di fiducia, che già aveva macchiato il percorso europeo con errori grossolani nella prima uscita contro il ‘Gladbach, commettendo un insensato fallo da rigore e sbagliando clamorosamente in marcatura sull’altro gol dei tedeschi. Vidal diventa così il volto di quella che al 99% è la terza eliminazione consecutiva ai gironi di Champions League per l’Inter.

L’Inter non c’è più

Mai la squadra nerazzurra, nella sua storia, non aveva vinto partita alcuna nei primi 4 impegni nel girone di Champions League. È un record negativo e tutti devono prendersi le proprie responsabilità. Ognuno ha il suo parere sull’operato di Antonio Conte e sui (tanti) problemi che affliggono l’Inter in questo momento, ed è sacrosanto che sia così. Chi vi scrive pensa fermamente che non sia un problema di scelta degli uomini, né tanto meno di modulo. Il problema sta nella tenuta mentale della squadra, che ancora una volta ieri ha approcciato la partita in maniera folle e superficiale, e questo non è giustificabile. Perché, a prescindere dalla scelta di schierare Gagliardini a discapito di un Eriksen ampiamente fuori dal progetto, a prescindere dalla difesa a tre o a quattro, è lo spirito e l’organizzazione con cui scendi in campo a determinare il tipo di partita che disputerai. La prova indegna andata in scena ieri sera non può essere ricondotta ad un uomo schierato al posto di un altro, a un uomo in più o in meno in difesa. Sarebbe una giustificazione e una semplificazione troppo ingenua e generica. E l’allenatore, in questo senso, ha il preciso compito di essere anche psicologo, motivatore, e se la squadra scende in campo con questo atteggiamento ingiustificabile tante responsabilità sono anche del tecnico.

L’Inter vista lo scorso anno, quella piena di grinta e vogliosa di vincere ogni partita dimostrandolo fin dal primo minuto, non c’è più, è svanita. Conte, insieme a tutti i giocatori, dovrebbe assumersi le responsabilità per il fatto che la squadra non sia apparsa motivata in un tipo di partita in cui le motivazioni arrivano da sole. Anzi, dovrebbero essere extra. Il percorso dell’Inter appare giunto in un binario morto e bisogna inventarsi qualcosa per riprendere il cammino, cercare una scossa. La ricerca ossessiva e continuata della verticalità che caratterizzava l’Inter 2019-20 è scomparsa a discapito di un possesso palla prolungato e orizzontale che non è mai stato, storicamente, nelle corde della squadra nerazzurra. Il monologo madridista è andato in scena fin dal primo minuto, non si può fare dell’espulsione l’attenuante principale, nonostante abbia avuto un peso specifico enorme nell’economia della partita. La situazione nel girone di Champions è adesso disperata, la qualificazione appare quasi utopia: servirebbe una doppia vittoria negli ultimi due match e che, nell’ultimo turno, il Real superasse il ‘Gladbach. Ciò che riassume il momento dell’Inter, però, è che l’ostacolo insormontabile in questo senso sia l’Inter stessa, perché si fatica ad immaginare una squadra in queste condizioni che possa uscire vincitrice dagli ultimi due impegni. E anche se lo facesse e dovesse uscire per il risultato di Madrid, non potrebbe prendersela con nessuno, perché si è autocondannata a dover dipendere da terzi. Zero alibi: uscire dalla Champions così è un fallimento vero e proprio.

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.