E’ dura commentare una partita del genere.
Arranchi, ti organizzi, controlli, sprechi, sui 75’ sei superiore poi immancabilmente crolli e così svanisce la magia di una possibile impresa.
Perché se giocare alla pari del Liverpool, cosa di per sé impensabile alla vigilia della partita, può già considerarsi come un’impresa, pensare di andare in Inghilterra e passare il turno ora vorrebbe dire avere un conflitto aperto con la realtà ma nulla è impossibile e sognare non costa nulla.

L’Inter gioca una partita vera, da Champions, per concentrazione e ritmo contro un avversario candidato ad arrivare in fondo alla competizione e tutto ciò nonostante diverse lacune e mancanze tra infortuni e squalifiche. La squadra di Inzaghi non raccoglie quando seminato, la sconfitta per due reti a zero è roboante in un San Siro dimezzato causa covid ma la consapevolezza di essere riusciti a disputare una gara a viso aperto contro l’armata di Klopp non può che rendere soddisfatti. Il gap tra le due squadre è tangibile, basti guardare i cambi effettuati da parte del tecnico dei Reds per rendersene conto e constatare immediatamente che la rosa dell’Inter, considerata lunga in Italia, in Europa si accorcia soprattutto a centrocampo dove, sì, mancava Barella, ma oltre Vidal troviamo uno strapiombo, il vuoto.

La differenza la fanno i cambi

Cambi che sicuramente hanno fatto la differenza, vedi Firmino che entra e sigla la rete del vantaggio per gli inglesi ma c’è pur da dire che se il Liverpool sulla carta era favorito e superiore all’Inter lo era anche per questo motivo quindi per essere competitivi in Europa servirà uno sforzo in più anche sotto questo aspetto, ma la società sembra ci stia lavorando ad esempio con l’acquisto di Gosens e la voglia di proseguire il cammino insieme a Perisic (chi sarebbe il cambio dell’altro?).
Proprio come contro il Real ai gironi, dimostriamo di essere all’altezza dell’avversario, a tratti superiori per gioco ma ancora acerbi sotto il punto di vista del controllo e della freddezza, insomma nella mentalità.
Nonostante la sconfitta, dolorosissima per come è arrivata, l’Inter si deve nutrire della consapevolezza che questa partita le ha dimostrato di poter essere una squadra competitiva ad altissimi livelli.

Inter, 75’ di superiorità

In partenza era sembrata un’Inter impacciata, paurosa nel fraseggiare come è abituata a fare oramai con scioltezza in campionato, con un possesso palla frenetico nella propria metà campo che in un paio di occasioni ha lasciato possibilità di far male al Liverpool. Quest’ultimo al contrario sembrava spavaldo, convinto dei propri mezzi e di come usarli per far breccia nella difesa interista. Il tutto invece si fermerà ad un paio di guizzi di Mané, di testa e di rovesciata, uno alto e l’altro a lato.
Dopo questa primissima fase di assestamento e l’aver capito che difronte si avevano undici uomini e non alieni (seppur fortissimi nel gioco del calcio) l’Inter ha iniziato ad esplicitare le proprie capacità.
Alza il ritmo, prende coraggio e nonostante l’altissimo pressing delle tre punte guidate da mister Klopp riesce ad uscire palla al piede e ripartire. Arriva la traversa di Calhanoglu, l’Inter controlla e il primo tempo tra rammarichi e sospiri di sollievo finisce a reti bianche.
Il secondo invece è tutto a tinte nerazzurre, almeno fino alla rete di Firmino.
L’Inter gioca, e lo fa bene, tanto da mettere in difficoltà il Liverpool con Perisic immarcabile a sinistra e un instancabile Dumfries a destra. Però i nerazzurri non trovano il vantaggio e i cambi effettuati da Klopp (come poi ammesso dopo la gara dallo stesso allenatore della squadra inglese) danno freschezza al Liverpool che una volta riuscito a non subire al primo mini-affondo si porta in vantaggio.
Lì l’Inter crolla emotivamente e il fatto che la partita sia finita solo 0-2 è un dato positivo, non perché la squadra di Inzaghi si sia poi difesa da chissà quali arrembaggi da Salah&co ma semplicemente perché un gol preso dopo una prestazione del genere avrebbe tagliato le gambe a chiunque.
Questi settantacinque minuti di superiorità sul Liverpool devono rimanere ben impressi, sia per il ritorno, complicatissimo, sia per il prosieguo della stagione.

Attacco deludente e Handanovic in calo

Se per certi versi da tempo ci si sia abituati a delle prestazioni altalenanti da parte di Samir Handanovic, forse ci si aspettava qualcosina in più da parte di Dzeko soprattutto in partite del genere.
Non che la sconfitta sia giunta per colpe evidenti dell’uno o dell’altro ma sicuramente all’Inter è mancata quella giocata determinante da parte di entrambi che avrebbe potuto indirizzare la gara verso un’altra via.
Partiamo dall’estremo difensore.
Sul primo gol subìto lo sloveno non è reattivo: la girata di testa di Firmino non è irresistibile e quel passetto in avanti fatto dal portiere nerazzurro fa sì che non riesca ad arrivare a raggiungere il pallone; sulla seconda reta invece è posizionato male ed il tiro più che parabile di Salah diventa improvvisamente irraggiungibile.
Ripetiamo, non errori eclatanti né tanto meno papere indiscusse ma oramai da diverso tempo dopo alcuni gol presi viene da chiedersi al termine della partita: come sarebbe finita a portieri invertiti?
Il calo di Handanovic è evidente e razionalmente fisiologico però, preso atto di ciò, che l’arrivo di Onana sia accompagnato dalla volontà di affidargli le chiavi della porta nerazzurra e dal coraggio di far fare un passo indietro (stavolta indietro) a Samir.
Dzeko.
L’attaccante è apparso spaesato, rigido, di sicuro non nella sua miglior forma, non solo fisica, e probabilmente non meritava di restare in campo tanto più di Lautaro, anzi.
Praticamente nullo sotto porta (zero tiri nello specchio della porta difesa da Alisson) è risultato assente anche in fase aerea (mai vinto un contrasto con Van Dijk) e non è riuscito mai ad impensierire, fosse stato anche solo con il far sponde o salir la squadra, la difesa del Liverpool.
Oggettivamente, da un giocatore del suo calibro qualcosa in più avremmo voluto vederlo a maggior ragione in partite importanti come quella di ieri sera dove lui ha dimostrato di saper esprimere un gran calcio in passato.
E’ pur vero che l’attaccante da quando è approdato in nerazzurro non ha mai avuto la possibilità di riposarsi e forse ora con l’avvento di Caicedo avrà l’opportunità di recuperare tra un impegno e l’altro.
Handanovic e Dzeko hanno rispettivamente 37 e 35 primavere e il campo non lo nasconde, potrebbero essere entrambi padri di Elliot (classe 2003) schierato a sorpresa titolare da Klopp e anche questo aspetto è significativo nella fase di crescita di un club.

Andiamo avanti

Di solito, dopo una sconfitta non si è mai rasserenati ma magari tutte le sconfitte fossero così.
Usciamo dalla partita con il Liverpool battuti nel risultato ma vincenti nelle potenzialità di un gruppo che Inzaghi guida neanche da un anno. Quindi, al di là, del rammarico prendiamoci quel che di buono abbiamo visto e riversiamolo per la partita di ritorno e soprattutto per il cammino in campionato, cammino che questo mese nefasto di febbraio ci ha inguaiato non poco.
E soffermiamoci soprattutto sulle buone prestazioni di Vidal, Perisic, Dumfries e Skriniar.
Quest’ultimo in particolare ha fatto un’altra prestazione eccezionale, il che oramai non fa neanche più notizia.
Ma vedere un rendimento del genere da parte di alcuni elementi fa capire che l’Inter si sta costruendo con delle ottime fondamenta e quel livello lì, quello del Liverpool per intenderci, non è un obiettivo lontano.
Prendiamoci quel che di positivo ci ha lasciato questo ottavo di Champions che non vivevamo da 11 anni e che poteva farci sorridere di più ma anche farci versare tante lacrime.

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