L’Inter arrivava benissimo alla partita di Roma. Era lecito attendersi un’ottima prestazione, i nerazzurri partivano da favoriti, alla Roma mancavano giocatori chiave. Sì, ma una superiorità così schiacciante, una prova così autoritaria era difficile da immaginare. Perché – anche se “non se n’è accorto nessuno”, per citare Inzaghi – pure l’Inter difettava di due uomini importanti come De Vrij e Darmian, perché a Roma (giallorossa) negli ultimi tre anni non era mai riuscita a vincere, perché dall’altra parte c’era l’uomo della storia: José Mourinho. È andato tutto alla perfezione: 3-0 senza appelli, con i nerazzurri che nel secondo tempo non hanno voluto forzare, forti di una manifesta superiorità, limitandosi a controllare per non rischiare nulla e per risparmiare energie psicofisiche in vista di Madrid (peccato per l’infortunio di Correa, unica notizia negativa del viaggio a Roma). E così, nella seconda frazione, c’è stato tempo anche per dedicare striscione e coro a José. Come a dire: oggi siamo più forti, stiamo dominando, ma non dimentichiamo un passato che, più di ogni altro, è indimenticabile e continuiamo a rendere omaggio al condottiero. Con la speranza che, oggi come ieri, stia nascendo davvero qualcosa di grande. Suggestivo che i gol rifilati al grande ex siano stati tre: tre come Triplete.

Gol simbolici

Tre come Triplete, ma anche tre come i giocatori campioni d’Italia che l’Inter ha perso in estate: Lukaku, Hakimi, Eriksen. Nel pomeriggio in cui funziona tutto, è particolarmente simbolico che i marcatori siano stati i sostituti – sulla carta – di belga, marocchino e danese. Calhanoglu continua a volare e va in gol addirittura da calcio d’angolo: testimonianza di un momento magico che ormai dura dalla partita contro la Juventus. Del turco colpisce non solo la qualità (quella era arcinota, il problema semmai è stato sollevato sulla continuità), ma soprattutto la quantità. Hakan rincorre gli avversari, entra in scivolata con furore agonistico, è completamente dentro i meccanismi di squadra.

Poi segna Dzeko, undicesima rete stagionale, bomber senza tempo, nel giorno per lui più speciale. La straordinaria azione del 2-0 è arrivata dopo un’altra serie impressionante di passaggi consecutivi, sulla scia di quanto avvenuto a Venezia e con lo Spezia mercoledì scorso: azioni che risulterebbero difficili da realizzare pure alla PlayStation. È il manifesto dell’Inter di Simone Inzaghi, ed è particolarmente simbolico che a siglarlo sia l’attaccante arrivato per sostituire Lukaku ma che col belga è agli antipodi per caratteristiche. La qualità di Edin condensa il nuovo volto di questa squadra.

E infine la terza rete di Dumfries. L’olandese, che sembrava l’unica nota stonata dal mercato, sta provando a ribaltare l’opinione diffusa, influenzata – ad onor del vero – soprattutto dal fatto che sia lo “sfortunato” successore di un fenomeno come Hakimi. Denzel, messo alle strette dall’infortunio di Darmian e chiamato a dare una risposta forte, ha vissuto due minuti che possono rappresentare delle sliding doors nella sua avventura in nerazzurro: prima salva un gol fatto di Vina immolandosi da difensore vero, poi va dall’altra parte, anticipa lo stesso uruguaiano e valorizza con uno splendido stacco la pennellata che arriva direttamente dal mancino di Bastoni. Se quello di Dzeko è il manifesto della nuova filosofia di gioco, il gol di Dumfries è simbolo di una squadra in cui funziona tutto, nella quale l’inserimento è facilitato da una tavola già apparecchiata dove bisogna solo accomodarsi per mangiare di gusto, insieme a tutti gli altri.

Non smettere di stupire

La partita, di fatto, è terminata già sul gol di Calhanoglu: il resto del primo tempo è stato un capolavoro per gli occhi degli interisti, ma dovrebbe esserlo per tutti gli amanti del calcio. La verità è che questa squadra sta sorprendendo anche i più ottimisti. Simone Inzaghi si presentava senz’altro come un ottimo, giovane tecnico, arrivato però nell’estate più tortuosa e drammatica nella storia recente del club. Non si è perso d’animo, ha fatto quello che sa fare meglio: lavorare. E lavora benissimo, eccome. La sua impronta su questa Inter è ora chiaramente riconoscibile: è vero, Conte ha lasciato una squadra vincente nella testa, giocatori migliorati, una cultura del lavoro forte. Ingredienti fondamentali per vincere ancora. Ma l’Inter di Inzaghi gioca diversamente, lo fa per forza di cose, avendo ingaggiato giocatori con caratteristiche differenti. Ed è questo il più importante merito del tecnico: aver dovuto cambiare e averlo fatto alla grande, in maniera rapida ed efficace. È una fisarmonica che si allarga e restringe all’unisono, una macchina che ad oggi sembra quasi perfetta. Ed ovviamente la classifica è ulteriore testimonianza di questo percorso virtuoso: nel primo tempo di Inter-Napoli, al minuto 25, i nerazzurri erano sotto di un gol e a -10 dai partenopei. Parliamo del 21 novembre. Sono passate due settimane e Inzaghi ha piazzato il sorpasso su Spalletti, prendendosi la seconda posizione nella graduatoria a quattro che costituisce la corsa scudetto.

Era difficile immaginare una rimonta in tempi così brevi, con l’Inter che ora è a un solo punto dal primo posto occupato dal Milan. Questa squadra sta stupendo tutti per qualità di gioco prima che per risultati, e allora non vuole smettere, perché ci ha preso gusto. Con gli ottavi di Champions già in cassaforte, i nerazzurri andranno al Bernabeu con nulla da perdere e tutto da guadagnare: se non dovesse arrivare un successo, sarà secondo posto come da pronostico. Ma una squadra che sta così bene in campo, è così affiatata, ha un’autostima così elevata, non può non provare a fare il colpo grosso a Madrid. Per stupirci ancora.

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.