Cara Inter,

quattro anni fa, dopo un periodo di enorme confusione societaria, si è insediata una nuova proprietà. È finanziariamente solida, con propositi vincenti, e ci ha consegnato quella stabilità della quale avevamo tanto bisogno. Un anno e mezzo fa è arrivato un nuovo dirigente, probabilmente il migliore italiano, al quale sono stati delegati enormi poteri – e quindi responsabilità – per tutto quello che riguarda il fronte sportivo. Un anno fa è arrivato un nuovo allenatore, fra i migliori al mondo, conosciuto globalmente per entusiasmo, voglia, determinazione e ambizione. Le basi per un progetto solido, vincente, sono state poste. E, piaccia o non piaccia, si vede. Già, perché l’obbligo di vincere subito, in un ambiente che non conosce vittoria – nostro malgrado – da 9 lunghi anni, era quanto meno pretenzioso e capzioso. La realtà dice che l’Inter è al secondo posto, un piazzamento che non si vedeva, da queste parti, dal 2011. Era ancora la squadra del Triplete, c’era ancora quel gruppo di uomini, di leader, che ci consegnò le soddisfazioni e le emozioni più belle della nostra vita da tifosi. Già, i leader, quelli che oggi servono e mancano per poter puntare seriamente e concretamente alla vittoria. La realtà dice che l’Inter è a quota 68 punti, due in più della miglior stagione della nostra storia a questo punto. La realtà dice che l’Inter è ad 8 punti di distanza da quella squadra che – nostro malgrado – vince da 9 anni. In questo disgraziato periodo, tuttavia, ci siamo tristemente abituati ad un gap fisso di 25, 30, addirittura 40 punti. Come si fa a non parlare di miglioramento? Certo, inutile negarlo, nel momento in cui è arrivato l’annuncio di Antonio Conte come nuovo allenatore dell’Inter, considerando i suoi precedenti, tutti noi tifosi abbiamo fatto un pensierino allo scudetto al primo anno, conoscendo la sua storia, fatta di successi fulminei, immediati. Un click che conduce al subitaneo trionfo. Ma un conto è sognare, un conto è scontrarsi con la realtà, che parla ancora di una distanza netta nelle rose fra noi – secondi – e la prima in classifica. Specie se consideriamo il fatto che la nostra, di rosa, è stata costantemente falcidiata dagli infortuni. Pretendere un miracolo è malafede. Guai, però, a sottovalutare o a buttare per aria le basi che sono state poste in questa stagione disgraziata, segnata dalla pandemia mondiale che l’ha resa quanto meno diversa. Il miglioramento è sotto gli occhi di tutti, i numeri parlano chiarissimo. Certo, i margini di miglioramento sono enormi, così come i difetti di questa squadra, che spesso si mostra immatura e poco incline a vincere cinicamente, perdendosi in un bicchier d’acqua e costringendo l’intero ambiente a vivere di rimpianti, per quello che poteva essere e non è stato.

Quello che vorremmo vedere sempre è quello spirito resiliente mostrato ieri sera, nel secondo tempo. Perché quando parti benissimo, l’approccio è ottimo, il tuo avversario non esce dalla metà campo e poi, al primo casuale corner avversario, ti trovi sotto per un clamoroso errore del tuo portiere, il contraccolpo ci può stare. Specie in un momento di fragilità e di tensioni generali. Ecco, sono quelle che dobbiamo evitare. Perché l’Inter ieri nella ripresa ha risposto alla grande, dando prova d’orgoglio e prendendosi di forza il secondo posto, ma a lungo andare un ambiente contaminato dal nervosismo crolla. Per questo, in ottica futuro, è necessario che ogni “pezzo” di questa Inter remi nella stessa direzione: la vittoria. Proprietà, dirigenza, allenatore: serve piena unità d’intenti, perché è l’unico mezzo per ritornare campioni. Alzare nuovamente un trofeo, per poi alzarli con regolarità, deve essere l’unico obiettivo a muovere i cuori e le menti di tutti. E per questo serve uno sforzo collettivo.

Siamo certi che il gruppo Suning, che in estate e nello scorso gennaio non ha fatto mancare gli investimenti, continui a supportare l’Inter da questo punto di vista. Quello che chiediamo, ai nostri proprietari, è di essere più flessibili nella strategia (vedi: “non si investe per giocatori con più di 30 anni”) e accontentare, in alcuni casi, le richieste di un allenatore che sa come si vince. Perché per vincere serve anche l’esperienza (a proposito, ieri gol del pareggio e del vantaggio firmati da Young e Godin, 69 anni in due). E i leader, che mancano. Marotta, a capo della gestione sportiva, avrà il compito, insieme a Piero Ausilio, di ottimizzare le risorse messe a disposizione dalla proprietà, investendo in maniera intelligente, per perseguire un unico obiettivo: vincere. E provare a farlo già dal prossimo anno. Ultimo, ma non per ultimo, Conte. Ieri sera ha detto di essere soddisfatto del progetto e che non ha intenzione di lasciare, specie al primo anno: questo ci fa enorme piacere. Un altro cambio di guida tecnica è l’ultima cosa di cui l’Inter ha bisogno in questo momento: chi ci spera, vuole il male del club. Al mister chiediamo di non farsi prendere dal nervosismo – che assale lui e tutti noi dopo i risultati negativi – e di non prendere decisioni avventate, che farebbero male tanto al nostro futuro quanto alla sua carriera. Sarebbe un peccato buttare alle ortiche tutto il buon lavoro fatto in quest’annata per motivi di orgoglio o per incomprensioni. “La strada è quella giusta”, ha ripetuto ieri. E ne siamo convinti anche noi. Ci aspettiamo che questa strada venga percorsa tutti insieme, lasciando da parte ogni sorta di personalismo, agendo di gruppo, guardando dritti verso il traguardo: la vittoria, i titoli. Ci mancano tanto.

In attesa di riscontri, con l’Inter nel cuore.

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.