I tifosi dell’Inter erano ben consci del fatto che non si sarebbe rivelata un’estate facile. E già questo, di per sé, era un elemento sospetto: dopo la vittoria di uno Scudetto al termine di 10 anni di agonia, infatti, il sentimento prevalente – quando ci si appresta ad affrontare una stagione con il tricolore sul petto – dovrebbe essere quello di entusiasmo, orgoglio, leggerezza, serenità. Niente di tutto questo. Dopo il trofeo sollevato al cielo il 23 maggio scorso, è successo letteralmente di tutto, e nel “tutto” sono compresi soltanto eventi nefasti. Ma nessuno, nessuno pensava si sarebbe arrivati a tanto. Le voci sull’interesse del Chelsea per Lukaku, inizialmente provenienti dall’Inghilterra, avevano tutti i tratti dei tipici rumors estivi, di quelli che “se, vabbé…”. E invece, a partire dalla serata di lunedì, si è registrata un’escalation di paura, rabbia, malinconia e tristezza pensando a quello che è stato, appena tre mesi fa, e quello che è oggi. E anche, se non soprattutto, a quello che poteva essere.

Questa è smobilitazione

L’Inter ha perso in primis il suo condottiero, l’uomo che ha tenuto il gruppo unito a fronte delle enormi difficoltà societarie (oggi, forse, la situazione è più chiara anche a chi si illudeva che andasse tutto bene…) e lo ha portato addirittura a stravincere uno Scudetto: l’addio di Antonio Conte rappresentava un campanello d’allarme assordante. Ma in molti si sono ostinati a tapparsi le orecchie.

Si è riusciti addirittura a prendersela con una bandiera, una leggenda come Lele Oriali, a dargli del “contiano” e non dell’Interista qual é, soltanto perché l’Inter l’ha difesa e ha preteso rispetto per il blasone e la nobile storia che quel nome contiene, evidenziando la totale assenza di un progetto e delle condizioni ideali per lavorare e vincere. Quelle che in questo club dovrebbero essere sempre garantite. Ancora una volta, ci si è tappati occhi e orecchie e si è continuati imperterriti nella difesa a oltranza del gruppo Suning.

Poi si è accettata la cessione di Achraf Hakimi per ragioni di bilancio: un’operazione da provinciale, non da top club, poiché l’esterno destro più forte al mondo era arrivato solo un anno prima per 45 milioni ed è stato venduto a 65, senza realizzare neppure una corposa plusvalenza. Era un disperato bisogno di liquidità da parte di chi non ha la possibilità di immetterne. Un vero delitto, ma si è accettato pure quello in nome della crisi Covid. Peccato che nessun altra squadra italiana, per non andare a scomodare l’universo a parte chiamato Premier League (o Super League), si sia privata di un big semplicemente per fare cassa. Citare il Milan e Donnarumma, in questo caso, è un insulto all’intelligenza di chi ascolta e di chi pronuncia una tale inesattezza: i rossoneri si sono privati del loro miglior portiere non per necessità di liquidità, ma per frizioni con l’agente Raiola e le sue continue pretese. Ognuno ha la propria idea sulla decisione presa dal Milan, può essere considerato folle privarsi del portiere più forte al mondo a zero euro, ma non è questo il punto: parliamo della situazione esattamente opposta rispetto a quella nerazzurra.

E passi anche Hakimi, perché in fondo è sempre colpa di qualcun altro: di Mancini, di Sabatini, del Governo cinese, del Fair Play Finanziario, dei giornalisti, del Covid, di Eder, di Oriali e di Conte (a proposito, società Inter: davvero non si meritava neppure gli auguri per il compleanno lo scorso 31 luglio? Che caduta di stile!). Ma guai a toccare chi questo club dovrebbe mantenerlo ad alti livelli ed evidentemente non ne è più in grado. Guai a toccare chi continua a smobilitare ed autodistruggere un gruppo vincente, che deriva da un progetto vincente – costruito grazie agli investimenti di Suning, giusto ricordarlo – i cui simboli erano calciatori forti, giovani e ambiziosi con i quali l’Inter avrebbe potuto dar vita ad anni di successi. Adesso è stato superato il limite, un confine già sfumato è stato abbattuto con avarizia, sete di denaro che non guarda in faccia a nessuno, arroganza e prepotenza, con il delitto per eccellenza. Sì, venderanno anche lui.

L’insostituibile

Romelu Lukaku non è (era..) solo l’attaccante dell’Inter, il numero 9 che si è posto agli antipodi – per atteggiamento, attaccamento e dedizione – rispetto a chi portava il suo stesso numero di maglia prima di lui. Romelu Lukaku ne era l’anima, leader dello spogliatoio che riusciva sempre ad apportare quel pizzico di serenità, di goliardia (ricordate l’incontro di boxe organizzato da lui fra Conte e Lautaro) e di spirito positivo. È stato il giocatore simbolo del 19esimo Scudetto, e non solo per i 30 gol stagionali conditi da 10 assist. Per tanto altro. E doveva essere anche il simbolo di un’Inter che riparte, più debole dell’anno scorso a causa della cessione di Hakimi, ma che comunque poteva contare sul suo totem. Non succederà. E le conseguenze saranno devastanti.

Cedere Lukaku ad agosto, con il campionato alle porte, è semplicemente folle e denota, come detto in precedenza, un disinteresse verso la gestione e lo sviluppo del progetto sportivo nerazzurro. Perché per l’Inter era il cardine, il fulcro di un gioco tagliato su misura per lui e per esaltarne le caratteristiche. Era il faro a cui la squadra nerazzurra si appoggiava nei momenti di difficoltà. Semplicemente insostituibile, o almeno non così tardi e non in questo momento nel quale l’Inter ha già perso due certezze come Conte e Hakimi. Cedere Lukaku significa dover rivoluzionare i concetti di gioco collettivi: sarebbe bastato a stento un ritiro intero per farlo, figuriamoci dover provare il nuovo assetto – chiunque sia il sostituto o i sostituti – in partite ufficiali, fra Serie A e Champions League. È qualcosa di imperdonabile. Ma se c’è una cosa ancor più irritante della cessione stessa, è il modo con il quale la società Inter sta gestendo la trattativa a livello mediatico.

Quell’insopportabile scaricabarile…

Alcune narrazioni giornalistiche stanno provando a farci credere che sia stato Lukaku a forzare la cessione verso il Chelsea. Davanti a questo presunto fatto, bisognerebbe porsi due domande.

La prima: ammesso che fosse vero, bisognerebbe chiedersi perché Lukaku abbia scelto di andare. È ora cominciare a cogliere i segnali che da più mesi ci giungono. Per i soldi? Probabile, ma bisognerebbe ricordare che Big Rom percepisce già uno stipendio da big che sfiora i 9 milioni di euro. Più credibile, invece, che si sia reso conto di qualcosa che a noi tifosi nerazzurri fa male ma che bisognerebbe dire chiaro e tondo: l’Inter oggi non ha un progetto. E l’addio di Conte ha certamente influito nel lanciare il messaggio anche ai giocatori stessi. Lukaku, che è ormai giunto nella piena maturità calcistica, potrebbe aver scelto legittimamente un’avventura diversa, nel club campione d’Europa che desidera rinforzarsi ulteriormente e che – non guasta – gli garantisce un ingaggio superiore. Troppo facile, però, dire anche questa volta “colpa di Lukaku, mercenario…”. Non continuiamo a tapparci occhi e orecchie, dovremmo averlo imparato.

La seconda: davvero è stato Lukaku a chiedere la cessione? Big Rom, nel ritiro del Belgio, diceva di voler rimanere all’Inter, di aver già conosciuto Simone Inzaghi ed è tornato addirittura in anticipo dalle vacanze per ricominciare a lavorare ad Appiano Gentile in vista della prossima stagione. E allora cresce il sospetto, che assomiglia ad una certezza, che sia stata la proprietà ad accettare l’idea di cederlo non appena è venuta a conoscenza dell’importo a tre zeri. E questo ha fatto comprendere, anche a Lukaku, come la priorità non sia il campo, ribadiamolo ancora una volta. Poi, come ha promesso anche Pastorello nella giornata di ieri, sarà lo stesso giocatore a fare chiarezza una volta che il trasferimento sarà definito. Ma, oltre al sospetto che somiglia a certezza, c’è anche un indizio che somiglia tanto, tantissimo a una prova. Se è vero che la proprietà si limiterà ad accettare la volontà del giocatore e non ha necessità di ottenere ulteriore liquidità, c’è solo una cosa che può fare per dimostrarlo: reinvestire l’intera somma incassata. Succederà? Permetteteci di dubitarne. E permetteteci di dubitare, allora, anche della versione fornita a proposito della presunta ferrea volontà di Lukaku di diventare Blues. Perché assomiglia, pure questo, a uno scaricabarile e a una strategia per nascondere un fatto incontrovertibile.

“Suning al capolinea”

Così recitava ieri pomeriggio uno dei manifesti affissi sulla sede dell’Inter, in Viale della Liberazione, insieme a quelli della Curva Nord, che non avevano altro bersaglio all’infuori di Steven Zhang. I tifosi nerazzurri, con la cessione di Lukaku, non solo perderanno il giocatore più forte della squadra, ma si sono resi conto che chiunque può partire in presenza di un’offerta: Barella, Bastoni, De Vrij, Skriniar, Lautaro. L’Inter non ha più una proprietà ed il suo futuro dipende dalle intenzioni delle altre squadre, che possono privarla di un giocatore in qualsiasi momento. E sarebbe ingenuo, ottuso pensare che i big in rosa non si stiano ponendo delle domande a proposito di un futuro in nerazzurro: i segnali sono pessimi, inutile nasconderlo, e dobbiamo partire dal presupposto che i tifosi dell’Inter sono quelli allo stadio o davanti alla tv, non in campo. Per questo, non bisogna aspettarsi che i giocatori si comportino da tali. Normale, dunque, che possano decidere di vivere nuove avventure professionali in un momento in cui l’Inter tira semplicemente a campare ed è considerato ora il supermercato d’Europa.

No, sappiamo che lo starete pensando e ci starete tacciando da tali: non siamo disfattisti, siamo realisti. Raccontiamo fatti senza prese in giro che farebbero ancora più male. E siamo certi che l’unica soluzione, in questo momento, sia un cambio di proprietà, o meglio trovare una proprietà, perché non esiste da più di un anno. Per restituire (o quanto meno tentare di farlo) all’Inter una programmazione, una visione, voglia di primeggiare, orgoglio, onestà e desiderio di vittoria: i valori che dovrebbero contraddistinguere sempre, ogni giorno, la squadra più bella del mondo.