La vittoria in rimonta dell’Atalanta a Parma metteva l’Inter in una situazione di win or win per conservare il secondo posto. La squadra di Conte ha risposto presente nella penultima recita di questa anomala edizione della Serie A, battendo un Napoli che – pur senza particolari motivazioni di classifica – è sempre avversario temibile, per qualità dei giocatori in rosa e per organizzazione tattica del suo allenatore. Ed infatti la partita è stata dura: soprattutto nel primo tempo è segnata da grande intensità, una vera battaglia agonistica. L’approccio dei nerazzurri è stato ottimo: vantaggio siglato in apertura di match da D’Ambrosio e poi altre occasioni per raddoppiare. Nella seconda parte della prima frazione è uscito fuori il Napoli, costringendo Handanovic a due parate su Zielinski e Politano. Nella ripresa, ancora meglio l’Inter nelle fasi iniziali ma Napoli che esce alla distanza. Da sottolineare le buone prove di Brozovic e  (San) Borja Valero, un po’ meno Barella che è apparso poco lucido (come nell’occasione in cui ha sbagliato un controllo che presumibilmente avrebbe portato l’Inter sul 3-0). Sanchez con la consueta straripante carica agonistica ma meno efficace rispetto a Genova, Lukaku con il solito enorme lavoro per la squadra e un duello mastodontico con Koulibaly. Ma a chiudere la partita, con una prodezza, è l’uomo che entra a mezz’ora dalla fine. Quello che ultimamente ha spesso deluso, ma che questa volta risponde presente e lo grida forte e chiaro.

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Riecco il Toro

Dopo il nervosismo pre-lockdown, le prove incolori successive alla ripartenza del calcio, ma soprattutto dopo che si sono ricondotte le sue scarse performance alle voci di mercato che vogliono un Barcellona fortemente interessato. Dopo tutto questo, Lautaro Martinez, che dal 13 giugno in poi aveva segnato solo due gol (uno a porta vuota e l’altro favorito da una deviazione), questa volta si mette in proprio e realizza un gol straordinario dai 31 metri a seguito di una splendida progressione palla al piede. Il Toro mette in ghiaccio la partita, perché da quel momento il Napoli non ha più la forza per reagire e rendersi nuovamente pericoloso, ma soprattutto si riprende di forza l’Inter e si candida ad un ruolo da protagonista per l’Europa League che partirà fra una settimana. Già, perché uno come Lautaro al 100% alza di parecchio le possibilità di far bene nella competizione europea, specie se consideriamo il punto interrogativo che ancora aleggia sulla permanenza di Sanchez dal 6 agosto in poi. E allora il messaggio del Toro è chiaro: “Io ci sono!”. L’esultanza, polemica a seguito delle numerose critiche ricevute – che ne hanno anche messo in discussione la professionalità – testimonia quanto l’argentino abbia sofferto per questo momento difficile.

Un altro clean sheet

E siamo a tre partite di fila senza subire gol: non accadeva da settembre e dal trittico Udinese-Milan-Lazio. Questa volta è Fiorentina-Genoa-Napoli, partite con le quali la squadra di Conte riesce a confermarsi miglior difesa del torneo ad una giornata dalla fine. Per onestà, però, bisogna riconoscere come la fase difensiva dell’Inter non sia immacolata da errori e neanche particolarmente solida: quando gli avversari controllano palla sulla trequarti, c’è sempre la sensazione di netto pericolo in vista. E bisogna sottolineare un vistoso calo delle difese italiane: quella dell’Inter ha subito 36 gol in 37 partite, pur essendo la migliore della Serie A. Parliamo quasi di una rete subita per match. Tuttavia, il primato della retroguardia nerazzurra fa morale e può essere un’altra base di partenza per crescere, contando anche in un miglioramento della fase difensiva per il prossimo anno, quando Conte conoscerà ulteriormente i suoi uomini e il suo assetto.

Utopia Messi

Marotta e Conte, sabato scorso, a domanda su Messi avevano parlato di “fantacalcio”. Ieri, tuttavia, la pubblicità di presentazione mostrata dalla tv di proprietà Suning, PPTV, con l’ombra di Leo che si staglia sul Duomo, ha nuovamente acceso la fantasia dei tifosi. Il tecnico salentino ha usato l’ironia: “È più facile spostare il Duomo che portare Messi all’Inter…”; l’amministratore delegato, invece, ha messo in evidenza come nessuna squadra italiana possa permettersi questo enorme investimento, parlando di utopia. Probabilmente il termine più adatto, per tre motivi. Il primo è che Messi è legato al Barcellona sin da quando aveva 13 anni: parliamo di un ventennio da simbolo e leggenda dei catalani. Per questo motivo, non si può paragonare l’argentino, per esempio, all’eterno rivale Ronaldo, da sempre più incline ai trasferimenti. L’impressione netta è che Messi chiuderà la carriera al Barcellona. Non solo, sarà lui a decidere quando smettere e in quali modalità. In molti tralasciano l’enorme status del quale la Pulce gode all’interno del Barça: è il leader assoluto. Il secondo motivo è che, qualora Leo dovesse decidere clamorosamente di lasciare la Catalogna, ci sarebbero svariati top club europei a fiondarsi su di lui, quindi la destinazione Inter rimarrebbe sempre parecchio complicata. Nonostante quello nerazzurro sia un club in crescita, come testimoniano i recenti colpi Lukaku, Eriksen e Hakimi, non è al momento nell’élite europea: l’Inter gioca la Champions, dopo sei anni di assenza, da sole due stagioni (l’anno prossimo sarà la terza volta consecutiva) ed è uscita per due volte nella fase a gironi. Messi, con il Barça, ne ha vinte quattro. La terza ragione è che l’ingaggio dell’argentino corrisponde a circa 54 milioni netti all’anno, e in caso di trasferimento sarebbe ulteriormente destinato ad aumentare. Risultato? Un’asta per accaparrarsi il miglior giocatore al mondo e uno dei migliori nella storia del calcio. Utopia ci sembra proprio il termine giusto. A meno che, come ha detto Marotta, non subentrino “fattori straordinari”, che corrispondono ad un enorme extra-budget fornito da Suning, insieme alla volontà del giocatore.

Conclusioni

L’Inter si conferma al secondo posto, che dovrà difendere nell’ultimo atto sabato prossimo a Bergamo. Una situazione paradossale, perché i nerazzurri in una singola partita potrebbero confermarsi secondi, scendere al terzo posto o addirittura chiudere quarti. A testimonianza che giudicare una stagione guardando esclusivamente al piazzamento finale, senza analizzare come è maturato, non è un esercizio corretto. Anche se fosse quarto posto, non si potrebbe paragonare con quello dello scorso anno, per esempio: un conto è chiudere quarti dopo esser stati fino a metà febbraio tra prima e seconda piazza, poi terzi per qualche partita e successivamente di nuovo secondi, senza aver mai messo in discussione il piazzamento Champions e ottenendolo con quattro giornate d’anticipo. Diverso è il discorso se pensiamo alle ultime due stagioni, quando l’obiettivo fu in discussione fino all’ultimo secondo dell’ultima giornata. L’Inter ha fatto dei passi avanti, questo è fuor di dubbio: ieri ha toccato quota 79 punti, superando il rendimento del 2011 con Leonardo e stagliandosi definitivamente come miglior Inter post-Triplete in fatto di punteggio in classifica (con la possibilità – in caso di vittoria a Bergamo – di raggiungere gli 82 punti del 2010). Arrivare secondi “non cambia la vita”, come ha messo in evidenza Conte. Né a lui, né a noi. Non può essere qualcosa da festeggiare. Ma può rivelarsi un ottimo punto di partenza, dopo un decennio disastroso. Ed aprire una nuova pagina della storia dell’Inter.

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24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.