“It’s coming home” is the new “remuntada”
La storia ci insegna che un determinato evento, non è importante dopo quanto tempo, dieci, venti, cinquant’anni, prima o poi, si ripresenterà così come nel passato.
La storia è ciclica, perché lo è la vita dell’uomo e perché, nonostante intorno ad egli il mondo cambi continuamente, i suoi bisogni restano sempre gli stessi e l’unico modo per sfuggire al vortice della ripetitività temporale è tramite l’esperienza.
E’ così la storia, la vita ed è così anche lo sport, in primis il calcio.
Ma non tutti hanno la capacità di padroneggiare una situazione già vissuta e portarla a proprio vantaggio, noi italiani sì.
Lo hanno dimostrato i nostri azzurri la domenica vincendo l’Europeo in una finale sofferta, a tratti drammatica, che avevamo visto sfuggirci proprio perdendo ai rigori nell’ultima partecipazione (nessuno dimenticherà i tiri dal dischetto rivedibili di Pellè e Zaza), riportando a casa un trofeo che mancava da cinquantatre anni. Gioia, festa, estasi.
Al contrario, dal canto loro, gli inglesi hanno dimostrato di non saper dominare la storia, di non riconoscerne il ciclo e di conseguenza di non riuscire a cambiarne il corso.
L’aver giocato praticamente tutto il torneo in casa (sei su sette gare le hanno disputate a Londra), l’ossessione di vincere un Europeo ancora mai aggiunto in bacheca e il voler riportare una coppa internazionale dopo il Mondiale del ’66, ha generato un entusiasmo che si è trasformato in una malsana sicurezza nella vittoria generando il famoso motto “it’s coming home” che si è scaraventato contro di loro come un boomerang.
Per noi interisti, è impossibile non trovare una certa familiarità nei comportamenti degli inglesi con la “remuntada” di Barcellona, in quell’impresa indelebile di una squadra, che proprio come l’Italia, ha voluto cambiare la sua storia e non esserne succube.
Bastoni e Barella: i nostri giovani campioni
Per quanto riguarda l’Inter, questa estate calcistica a ritmo europeo e sudamericano ha portato solo buone notizie e più consapevolezza nei nostri ragazzi.
Barella ha confermato di essere quel giocatore di spessore internazionale che già conoscevamo ma ricordarcelo con i fatti in un Europeo non ci è dispiaciuto, non ha guastato.
Nonostante il calo, soprattutto fisico, evidente, nelle ultime due gare, Barella ha certificato una maturazione sotto il profilo caratteriale decisiva per il salto di qualità verso il quale un giocatore come lui deve aspirare.
La Nazionale in semifinale e finale ha sofferto in diversi momenti e lui, Nicolò, non si è lasciato travolgere dalle emozioni, non ha preso ammonizioni inutili, anzi, concediamoci il termine, sciocche ed è riuscito a gestire questo aspetto emotivo che troppe volte all’Inter è trasceso.
Sotto il punto di vista tecnico, tattico, d’intelligenza calcistica e sacrificio non è un giocatore da discutere, tornerà dall’Europeo con una crescita tale da poter essere un giocatore ancora più cardine dell’Inter d’Inzaghi di quanto non lo fosse nell’Inter di Conte.
— Interfans (@interfansorg) July 12, 2021
Bastoni, classe 1999 fresco campione d’Italia con l’Inter ed Europeo con gli azzurri. Il giovane difensore nerazzurro non è stato un protagonista del torneo per ovvie ragioni anagrafiche, ma quando è stato chiamato in causa non ha deluso. L’esperienza raccolta che porterà con sé non ha eguali, alla sua età è già un vincente ed il rinnovo fino a giugno 2024 è un capolavoro della dirigenza interista.
Oracolo Oriali
Le chiacchiere stanno a zero: dove c’è Lele Oriali si vince, sempre.
Perderlo per l’Inter sarebbe oggettivamente un danno, non irreparabile certo, ma come abbiamo potuto vedere in Nazionale, e nella Beneamata, un ruolo del genere a volte può essere determinante e in un periodo di cambiamenti la sua personalità potrebbe essere decisiva, anche solo per far entrare al 100% Inzaghi nel mondo Inter.
Figure interiste che possano sostituirlo nel futuro staff di Inzaghi non ce ne sono, il doppio impegno Inter-Nazionale probabilmente non sarà più sostenibile da parte sua ma con una spinta da parte della società, almeno per un altro anno, per le motivazioni di prima, forse potrebbero spingerlo a stringere ancora per poco i denti e rimanere.
Non ci resta che attendere e sperare in una buona volontà da entrambe le parti.
Il destino di Mancini
Roberto Mancini ha avuto la sua rivincita.
Quella tra Mancini calciatore e la Nazionale è stata una storia travagliata, con la maglia azzurra il Mancio non riuscì mai ad incidere quanto nei club e quei rigori funesti in Italia ’90 sono stati goduria ora che è c.t. consegnandolo eternamente nella memoria tricolore.
A livello personale Wembley è uno stadio che tormentava il tecnico Jesino, l’abbraccio con Gianluca Vialli dopo la parata decisiva di Donnarumma è esplicativo, lì, insieme, ci persero una Coppa dei Campioni e un’altra delusione in quel di Londra sarebbe stata ingiusta.
Per l’Inter Mancini è stato Rinascimento: dopo aver riportato lo scudetto che mancava da diciasette anni, alla seconda esperienza nerazzurra ha cercato di ridar voce ad una squadra, in quel periodo, totalmente fuori da qualsiasi tipo ambizione, in parte riuscendoci.
Lo stesso è riuscito a fare a Manchester, sponda City, lì la Premier League mancava addirittura da quarantacinque, lunghissimi, anni e identico discorso, riuscendo a trionfare da calciatore (e non solo), con Lazio e Sampdoria.
Il completamento del lavoro del c.t. con l’Italia non è dato solamente dall’esser riuscito a raggiungere l’obiettivo massimo, aver vinto l’Europeo, bensì dal percorso e dalle idee attraverso i quali è arrivata la vittoria: bel gioco, coesione, tempo (che nel calcio è una parola tabù, lo sappiamo).
La storia è ciclica, il destino no.