L’Inter non vinceva a Firenze – in campionato – dal lontano 15 febbraio 2014. Era il primo anno di Mazzarri. Un’era geologica fa. Da lì in poi, un paio di imbarcate e tanti gol-beffa subiti all’ultimo minuto. Solo negli ultimi tre anni, nei minuti di recupero hanno segnato Simeone, Veretout su calcio di rigore in seguito al fallo di petto di D’Ambrosio, Vlahovic nella stagione passata. Tante, troppe delusioni e docce fredde. È per questo che vivere una serata tranquilla e portare a casa tre punti senza attraversare vie impervie era il miglior auspicio dei tifosi nerazzurri. Desiderio realizzato: 0-2 senza appelli e prova da grande squadra: corale, autoritaria, determinata. Dal primo all’ultimo minuto. L’Inter è scesa in campo al Franchi aggredendo l’avversario che – seppur privato di uomini chiave come Milenkovic, Castrovilli e Ribery – contro le big è sempre temibile, specie in casa. L’impressione è che, con la mentalità che l’Inter ha manifestato ieri sera, avrebbe vinto in ogni caso la partita. I nerazzurri hanno cercato con fame, grinta ma senza ansia e nervosismo il primo gol. Poi – una volta in vantaggio – hanno continuato a macinare gioco, arretrando leggermente il baricentro ma risultando devastanti in contropiede, con il solito Hakimi che, in una delle numerose discese straripanti, manda in gol l’altro “quinto”, Perisic. Nel prosieguo del match c’è spazio per la gestione, l’ordinaria amministrazione, il possesso palla, la consueta quantità di occasioni sbagliate (il match sarebbe potuto terminare tranquillamente 0-4). Ma in un’Inter che riposa a tratti con la sfera tra i piedi, risulta semplice individuare una costante: si tratta di un ragazzo sardo, con la maglia numero 23, che non si ferma letteralmente mai.
Tutti pazzi per Nicolò Barella
C’è Alessandro Cattelan che nel post-partita in diretta su Sky gli dichiara il suo amore, c’è uno storico simbolo della Juventus come Claudio Marchisio che durante il match non può fare a meno di dedicargli un tweet di complimenti, c’è il riconoscimento unanime che lo elegge a miglior centrocampista italiano, ma c’è soprattutto il campo, il suo terreno di battaglia: Nicolò Barella è uno spettacolo per gli occhi. Se nella passata stagione si era fatto apprezzare ed era risultato uno dei migliori interpreti dell’annata, quest’anno è quello della consacrazione definitiva. Perché il centrocampista sardo è migliorato nell’intelligenza calcistica, nella capacità di capire il match, ma soprattutto in un fondamentale decisivo per un centrocampista totale come lui: il gol. Siamo già a 3 in questo campionato, ed il girone di ritorno è appena cominciato. Sarebbe ridondante soffermarsi sull’abilità di essere onnipresente in entrambe le fasi, sul suo temperamento, sulla sua immensa grinta.
Urge piuttosto sottolineare un dato, a proposito delle sue reti in maglia nerazzurra, e fare un breve recap. Nella passata stagione, Barella è andato in gol per quattro volte: il primo gol con l’Inter viene siglato in Champions League ed è quello che evita alla sua squadra la sconfitta interna contro lo Slavia Praga; c’è la rete al Verona in campionato che permette ai nerazzurri di vincere una partita fondamentale; il gol del 2-1 alla Fiorentina che regala all’Inter la semifinale di Coppa Italia; la firma che sblocca i quarti di finale di Europa League contro il Bayer Leverkusen. Quest’anno? Meraviglioso gol dell’ex al volo nella sua Cagliari nel primo match susseguente alla dolorosa eliminazione dalla Champions League, rete del 2-0 alla Juventus che chiude i giochi, perla di ieri sera che sblocca il match di Firenze e che consente all’Inter di trascorrere due giorni in testa alla classifica. Barella ha segnato in tutte le competizioni nelle quali l’Inter è stata coinvolta in questo anno e mezzo e soprattutto le sue reti si sono rivelate sempre decisive all’interno dei match. Un predestinato, un leader dalla personalità straordinaria nonostante la giovane età, un giocatore che tutti invidiano all’Inter, un vincente nell’animo che meriterebbe di sollevare il primo trofeo della sua carriera. Barella è il simbolo di un’Inter che non vuole arrendersi al corso degli eventi e continuare a lottare.
Non è solo il clean sheet…
L’Inter ha subito l’ultima rete in campionato il 10 gennaio contro la Roma all’Olimpico, da Mancini. È trascorso quasi un mese e la fase difensiva nerazzurra è migliorata di partita in partita, concedendo pochissime conclusioni agli avversari. Una sola alla Juventus, nessuna ad Udinese e Benevento, una vera palla gol alla Fiorentina, seppur spezzettata in due conclusioni di Bonaventura e Biraghi con doppia parata di Handanovic. Non si tratta del mero dato delle quattro partite consecutive senza gol subiti: quello può essere episodico, effimero, ma nell’Inter attuale è tutto fuorché casuale. Si tratta della capacità sistematica di non concedere. Sembra lontanissimo l’inizio della stagione, quando gli uomini di Conte pressavano in maniera scriteriata prestando il fianco alle sanguinose ripartenze degli avversari, che andavano in rete con la stessa facilità con cui Barella recupera palla. Conte in primis ha capito che la sua squadra non può permettersi questo stile di gioco soprattutto poiché non dispone di difensori particolarmente veloci: bravissimi nel posizionamento e nella capacità di anticipare l’avversario, meno nel correre all’indietro. Soprattutto, il tecnico salentino è tornato alla filosofia di gioco che tante gioie gli ha regalato in carriera. Il vestito migliore anche per questa Inter, che è entrata in simbiosi con la propria guida, e che con lui si appresta a vivere tre mesi e mezzo di fuoco.
Il bunker di Antonio Conte
La situazione societaria precaria è ormai di dominio pubblico, fra ricerca di azionisti per una quota (probabilmente) di maggioranza, impossibilità di esportare capitali dalla Cina, dunque estrema difficoltà nel pagare gli stipendi ed assolvere agli obblighi e alle pendenze del club nerazzurro. Il fatto che la squadra possa inevitabilmente risentire di questa situazione caotica rientrerebbe nel normale ordine delle cose. Di storie così ce ne sono a bizzeffe, nel calcio italiano e internazionale. Il rischio di affondare è dietro l’angolo. Ma questa è un’Inter che la storia vuole cambiarla. Questa è una squadra che, affidandosi in toto al proprio allenatore, in grado di mantenere la barra dritta tramite un lavoro sulla psicologia dei calciatori prima che sui corpi, si è isolata ed ha deciso di andare in trincea, senza cadere nella facile tentazione della distrazione. Perché qui si parla di professionisti seri, di un gruppo dai forti valori umani con un senso di appartenenza che forse è più forte di quel che si crede.
A memoria, nel calcio italiano non si ricordano gruppi che abbiano vinto in circostanze simili, quando la proprietà stava per passare di mano nel bel mezzo della stagione, con tutto il caos e le incertezze in ottica futuro che questo comporta. L’Inter di Conte vuole essere la prima a riuscirci. Nonostante la marea di voci che ogni giorno colpiscono direttamente il club nerazzurro, nonostante una proprietà totalmente assente, nonostante le insensate e capziose pressioni mediatiche. Già, perché non si può non rintracciare della faziosità quando si parla di una società allo sbando, che fa fatica a pagare gli stipendi, il cui futuro è nebuloso e, nello stesso tempo, si afferma con protervia che l’Inter “è obbligata a vincere lo scudetto”. No, gli obblighi cercateli altrove. Gli obblighi riguardano coloro che dispongono di una rosa nettamente superiore, poiché – piaccia o non piaccia – la rosa dell’Inter è vistosamente lacunosa, specialmente in attacco e a centrocampo. Gli obblighi riguardano chi vince da nove anni e nonostante questo in estate ha speso 160 milioni sul mercato, il quadruplo rispetto all’Inter. Gli obblighi riguardano coloro che possono contare sulla più potente famiglia italiana e su una stabilità societaria garantita per l’eternità. L’Inter non ha nessun obbligo: l’Inter cerca l’impresa, l’Inter rincorre un meraviglioso sogno. L’Inter, questa Inter, vuole ribaltare la storia.