Non potevamo chiedere di più. La partita interna contro la Salernitana era diventata – incredibile ma vero – quella della verità per il prosieguo della stagione nerazzurra. La pressione si attestava su livelli altissimi, com’è normale che sia quando non vinci in campionato da più di un mese, non fai gol da tre settimane e – di conseguenza – stai vivendo il momento più difficile. L’Inter, d’altronde, ha tradito un po’ di tensione nella fase iniziale, quando ha concesso una palla gol a Verdi dopo uno svarione difensivo, accusando il colpo per qualche minuto.

Poi, però, come una scarica elettrica, ecco la resurrezione nerazzurra. La squadra di Simone Inzaghi si desta dal torpore di febbraio grazie a una rete dell’uomo più criticato, Lautaro Martinez, servito splendidamente da Nicolò Barella: è una rete simbolica, poiché siglata da due pezzi pregiati della casa, messi in discussione nell’ultimo periodo a causa di diverse prove insufficienti. Tutto il resto è una conseguenza: del gioco espresso (di nuovo ad alti livelli), della rabbia coltivata dai nerazzurri nell’ultimo mese, della voglia di vincere ancora. Il gol del 2-0 è una fotocopia: stesso marcatore, stesso assist-man; il terzo arriva invece – per la prima volta – con un assist sull’asse Dzeko-Lautaro, grazie al bosniaco che mette palla in mezzo e l’argentino capace di infilare Sepe con un grande anticipo sul difensore avversario in scivolata. Un altro segnale importante: non sarà la coppia meglio assortita del mondo, i difetti strutturali non si cancellano, ma il fatto che Edin sia il primo ad abbracciare il Toro (e lo stesso accade dopo, in occasione della doppietta del numero 9 nel garbage time) è il segnale più importante. Tanto quanto l’abbraccio fra Lautaro e Inzaghi, sul cui rapporto si era detto molto, negli ultimi tempi: la risposta offerta dai diretti interessati è la più convincente possibile.

Certo, non bisogna esaltarsi eccessivamente: la Salernitana non è avversario che autorizza voli pindarici, anche in presenza di una larga vittoria. Bisogna tener conto del fatto che, solo a dicembre, un altro 5-0 contro i campani (in trasferta) era stato accolto come qualcosa di normale. Ieri, però, è emerso l’aspetto liberatoriol’Inter aveva bisogno di tutto questo. Dopo settimane di aspre critiche, dopo un periodo nel quale l’unica domanda che ci si poneva era “ma è una crisi fisica o mentale?”, i nerazzurri hanno orientato la risposta verso la seconda opzione, come confermato da Farris nel post-partita. Perché un calo atletico può anche essersi verificato, ma non tale da giustificare prove così brutte come quelle offerte contro Sassuolo, Genoa e Milan in Coppa Italia. L’Inter aveva bisogno di sbloccarsi, lo ha fatto dopo 426 minuti e, messaggio ancor più importante, ha interpretato la gara con la ferocia che vogliamo vedere: anche sul 5-0, gli uomini di Inzaghi raddoppiavano, triplicavano le marcature sugli avversari. Va benissimo così.

L’unica strada per vincere

Non è un caso che la notte della resurrezione sia coincisa con il ritorno al gol, ma soprattutto alle prestazioni che tutti ci attendiamo da un giocatore del suo livello, da parte di Lautaro. L’Inter non può farne a meno, se vuole coronare il sogno della seconda stella a maggio: non può fare a meno di un Toro sempre coinvolto nella manovra, di un Toro in fiducia, di un Toro che determina le partite e dunque i destini nerazzurri. È l’unica strada per vincere. Dzeko e lo stesso Sanchez possono essere degli ottimi sparring partners, ma la carta d’identità ci dice chiaramente che – seppur ancora validi – si tratta inevitabilmente di due giocatori sul viale del tramonto. Discorso diverso per Lautaro, che a 24 anni è pronto per prendere in mano le redini della squadra ed esserne il leader tecnico riconosciuto. Ieri, anche grazie a una disposizione tattica leggermente differente che gli permetteva di abbassarsi sulla trequarti – con Dzeko prima punta -, è rimasto sempre nel vivo del gioco. Vero, ha sbagliato dei gol, ma ne ha fatti tre, regalando inoltre colpi di classe a liberare i compagni, dimostrando che la qualità – quella no – non è mai stata un problema.

Il blocco era evidentemente mentale, come ha ammesso lui stesso dopo la partita, confessando di parlarne anche a letto con la moglie (!) e di aver sofferto parecchio. Starà a lui guidare l’emozionante cavalcata, imprimendo la direzione che tutti ci auguriamo: il tricolore.

Due mesi e mezzo tutti da vivere

Non si ricorda più l’ultima volta che, all’inizio di marzo e con due mesi e mezzo da giocare, c’erano ancora cinque squadre in lotta per il titolo. Il campionato è sicuramente emozionante e lo sarà probabilmente fino alla fine anche se, diciamocelo chiaro, dopo la sosta di gennaio ci auguravamo una corsa solitaria come quella dell’anno scorso e avremmo fatto volentieri a meno di questa multi-lotta serrata, punto a punto. Tuttavia, come ha sottolineato anche Farris ieri davanti alle tv ed in conferenza stampa, l’Inter è l’unica squadra che – vincendole tutte – potrebbe dirsi sicura di essere campione. Non è un dettaglio da poco. Certo, pesano particolarmente i passi falsi contro Sassuolo e Genoa, ma i nerazzurri non hanno comunque perso la possibilità di determinare autonomamente il proprio destino.

 

Il trittico che attende Inzaghi e i suoi ragazzi non è esattamente dei più semplici: Torino, Fiorentina e poi, dopo la sosta, Juventus. Qui si deciderà tantissimo, ma sono impegni che – rispetto a due giorni fa – ci fanno un po’ meno paura. Perché abbiamo riconosciuto la nostra Inter, dopo un mese intero a cercarla vanamente. E adesso ci aspettiamo di non perderla più.

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.