Ai microfoni di Gazzamercato, Sandro Mazzola si confessa parlando di passato, presente e futuro dell’Inter:

“A me Pioli piace molto, anche lui merita fiducia e soprattutto va fatto lavorare con continuità. E’ arrivato a stagione in corso e nonostante ciò ha dato segnali più che incoraggianti. Ha delle idee innovative e intelligenti, sa gestire il gruppo e motivarlo in modo produttivo”.

TERZO POSTO –“Con l’Inter non si sa mai. Quando le cose sono impossibili riesce a farle, è quando sono semplici che hanno timore e perdono!”.

PIOLI UOMO GIUSTO? –“Pioli ha la personalità giusta per vincere. Non fa trasparire il suo spessore all’esterno ma con il gruppo so per certo, avendo parlando con persone a lui vicine, che tiene alta la concentrazione e sa gestire qualsiasi tipo di situazione. Ha carattere e qualità, queste sono caratteristiche rare da trovare in giro. Lui è l’uomo giusto per riportare l’Inter a trionfare. La squadra, per essere competitiva ad ogni livello, ha solo bisogno di mantenere i pezzi pregiati e acquisire qualcuno nei punti giusti, a parte il solito Verratti, ci sono talenti italiani interessanti da comprare senza spendere esageratamente”.

NAZIONALE –“Credo che il gruppo sia fondamentale per raggiungere qualsiasi traguardo. Verratti su tutti è e risulterà il più importante nella nostra Nazionale. Ha qualità importanti che possono servire sia in fase difensiva che offensiva. E’ un momento positivo per il calcio italiano a mio modo di vedere, ci sono dei giovani interessanti che si stanno mettendo in mostra anche con le maglie di club blasonati, come ad esempio Gagliardini all’Inter e tanti altri. Ventura dovrà continuare a scovare ragazzi talentuosi e a provarli fino a trovare la quadratura del cerchio. Siamo un cantiere aperto”.

RONALDO –“Ronnie era la fine del mondo. Prima di acquisirlo su di lui c’era moltissima diffidenza, in pochi credevano che in Italia sarebbe riuscito a fare la differenza tanto quanto era riuscito a fare in altri campionati. Nei primi mesi dette già modo a tutti di ricredersi, aveva solo il limite di passare poco la palla e io glielo facevo notare. A questa mio osservazione lui rispose degnamente quando nel 1998 segnò un gol decisivo per il passaggio del turno in Coppa Uefa. Fu incredibile, partì da metà campo dribblando tutti, compreso il portiere, ma prima di mettere in rete si girò per guardarmi poi mi corse incontro ridendo e urlando: “Allora Direttore adesso che mi dici?” Un vero fenomeno, non ho mai più visto un calciatore così devastante!”.

ADDIO CON MORATTI –“Non ho mai capito nemmeno io il perchè ma rimasi molto colpito. Negli anni mi ero accorto che Moggi era diventato un suo consigliere facendogli credere ogni anno che sarebbe venuto all’Inter, ma non credo che questo sia stato decisivo per la nostra separazione. In realtà Moggi non ha mai voluto il bene dell’Inter, è sempre stato un grande manovratore”.

ADDIO DA GIOCATORE? –“Ci andai vicino più volte, mi cercarono la Roma, la Fiorentina…ma non ho mai ceduto perchè tenevo all’Inter. Capitò anche che mi volesse la Juventus era il 1967 (ride, ndr). In base a una nuova disposizione della Federazione ogni anno scadevano i contratti. Era maggio e io stavo uscendo dall’allenamento ad Appiano Gentile. Mi avvicinai alla mia macchina e mi accorsi che di fianco ce ne era un’altra targata Torino. Da questa scese un autista, era la prima volta che vedevo una macchina col telefono. Mi passò l’Avvocato Agnelli, che mi diede appuntamento per una colazione a Villar Perosa. Dopo avermi parlato di mio padre e del “Grande Torino”, visto che a fine anno sarei stato svincolato, mi offrì un’agenzia Sai, una concessionaria Fiat e il doppio dell’ingaggio per trasferirmi alla Juve. Mi tremavano le gambe. Chiesi un giorno di tempo”.

NIENTE TORINO“Il Torino si era dimenticato di tutti gli eredi delle vittime di Superga. Un giorno sentimmo che alla sera ci sarebbe stata l’inaugurazione di un Inter Club in zona e che a questa avrebbe presenziato Benito Lorenzi. “Veleno”, come veniva soprannominato, sapendo che in zona abitavano i figli del grande Valentino Mazzola volle conoscerli a tutti i costi. Lui adorava mio padre perchè grazie alla sua intercessione con l’allenatore, Luigi Ferrero, era riuscito ad esordire in Nazionale nel 1949 in quella che fu l’ultima presenza in azzurro di Valentino Mazzola. Inoltre era molto religioso e pensava che, facendo del bene ai figli del grande capitano, lui, dal cielo, gli facesse vincere gli scudetti. E così prese per mano me e mio fratello e ci portò settimanalmente in panchina a vedere l’Inter con tanto di completo ufficiale. A fine partita Lorenzi, quando arrivava il presidente Masseroni, faceva dare anche a noi le 30 mila lire di premio partita se vincevano e 15 mila se pareggiavano”.

NIENTE TORINO E POI INTER“C’è stato anche il Toro… Avevo 18 anni e, nonostante tutti mi dicessero che ero molto bravo, non riuscivo a debuttare nell’Inter. Questo mi provocava grande dolore. All’epoca, quando a 14 anni firmavi il cartellino a vita con le società, ci voleva il benestare di entrambi i genitori per diventare professionista. Il mio patrigno firmò con la condizione scritta che io a 18 anni fossi libero di cambiare club qualora volessi. Infatti un giorno mi disse: “Così non va bene. Vado da Novo (presidente del Torino, ndr) a proporti”. Io ero spesso a casa di Ferruccio Novo a giocare con la moglie, ero il figlio che non avevano. Ma, quando il mio patrigno si presentò alla sede dei granata, non lo ricevettero in quanto pensavano che fosse venuto a riscuotere gli arretrati degli stipendi che dovevano a mio padre. Lui però non si arrese, e si nascose dietro una delle maestose colonne di Via Roma aspettando l’uscita di Novo dalla sede per placcarlo. Così fece, ma il presidente non mi volle tesserare. 15 giorni dopo, miracolosamente, esordii con la maglia dell’Inter (ride, ndr)”.

INTER A VITA –Eh sì! Lorenzi mi prometteva quotidianamente che mi avrebbe portato in prova con le giovanili, ma puntualmente se ne dimenticava. Ci pensò il mio patrigno, mi portò lui al campo da Giovanni Ferrari, due volte campione del mondo e allenatore dei ragazzi dell’Inter, per convincerlo a farmi un provino. Per non condizionarlo non disse al mister come mi chiamavo. Il test fu un successo, decise di prendermi e disse: “Come si chiama il ragazzo?” e il mio patrigno rispose: “Mazzola…” Ferrari rimase scioccato, da quel giorno mi insegnò tutto ciò che un giovane calciatore deve sapere permettendomi così di esordire nell’Inter nel 1961″.

Redazione
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