Mentre l’Inter si appresta a riprendere il cammino in Europa League, fanno ancora clamore le parole di Antonio Conte lanciate come macigni, qualche minuto dopo la fine di Atalanta-Inter.
Uno sfogo davvero necessario?
Dopo le bordate sparate da Conte nel post-partita di Atalanta-Inter, la stampa e gli addetti ai lavori hanno letteralmente scatenato l’inferno presupponendo l’addio del mister. Ripercorrendo mentalmente la stagione personale di Antonio Conte e quindi comprendendo a pieno le difficoltà vissute dal punto di vista personale (le minacce di morte ricevute su tutte) non possiamo comunque giustificare in toto la sua uscita di Bergamo. Conte ha parlato per amor proprio e del proprio lavoro – cioè l’Inter – ma lo ha fatto in modo travisabile, dal momento che ha parlato apertamente di una società latitante nei confronti del mister e della squadra.
Puntualissimo è scaturito dalle dichiarazioni del mister il classico polverone mediatico. Il concetto è stato univoco: Conte ha rotto con la società e saluterà l’Inter. Ma perché? In fondo andando a scavare un pochino nel recente passato nerazzurro non è la prima volta che Antonio Conte attacca la dirigenza in modo estremamente diretto, eppure è arrivato saldamente al comando delle truppe a (quasi) fine stagione. Ecco quindi i nostri 5 motivi per tenerci stretto Antonio Conte.
1) Obiettivo raggiunto: Gap con la Juve colmato
Il “gap” è uno dei concetti più cavalcati da Antonio Conte nelle sue dichiarazioni. Fin dai tempi della Juventus, dove il gap era da ridurre con le migliori d’Europa, ad oggi che quella distanza fa riferimento proprio ai bianconeri. Fatto sta che, con un mercato esigente, Conte ha saputo ridurre il distacco in classifica di ben 20 punti: dal -21 del 2019 al recentissimo -1 che da un lato fa ben sperare e dall’altro lascia più di un rammarico in casa nerazzurra. La fase difensiva, già punto forte della squadra, è stata ulteriormente migliorata, diventando la migliore del campionato nonostante l’impatto di Godin non sia stato quello che tutti si aspettavano. Il vero capolavoro forse è stato l’attacco: secondo migliore dietro la super Atalanta, grazie ai bomber della Lu-La ma non solo. Gli esterni hanno saputo dare un contributo importante nel computo dei gol segnati con 11 reti totali. Interrompere il rapporto con Conte dopo un annata tutto sommato positiva, con l’Europa League come possibile ciliegina, sarebbe una follia.
2) Prossimo obiettivo: un trofeo per crescere
Vincere aiuta a vincere. In un ecosistema calcistico – quello italiano – in cui la Juventus fa la voce grossa da ormai 9 anni lasciando le briciole agli avversari, raggiungere un traguardo importante in Europa League sarebbe fondamentale per l’Inter. In casa nerazzurra non si vedono trofei dalla Coppa Italia vinta con Leonardo in panchina nel 2011, troppa acqua è passata sotto i ponti da allora. L’Europa League al netto di valutazioni snob è un trofeo di grande prestigio e vincerla – o quantomeno arrivare in fondo – sarebbe sicuramente uno step in più nel processo di crescita del gruppo e un motivo di orgoglio. L’impresa non è impossibile, sulla carta le maggiori rivali per la vittoria sono il Manchester United degli ex Lukaku, Sanchez e Young, il Bayer Leverkusen dei giovani rampanti Havertz, Diaby & company e chi passerà il turno tra Roma e Siviglia. Tuttavia con le partite secche per arrivare alla finale, tutti quelli che sono i pronostici potrebbero facilmente venire ribaltati da qualche sorpresa.
3) La mano dell’allenatore
L’affaire Eriksen ha probabilmente tolto inchiostro e parole su un argomento che ai nostri occhi appare più che legittimo: l’Inter – anche senza il danese in campo – gioca più che bene. A Bergamo, contro la miglior squadra vista nel post-lockdown, l’Inter ha giocato una partita pressoché perfetta. Difesa immacolata contro uno dei migliori attacchi d’Europa, buona fluidità di manovra e due gol di scarto rifilati all’Atalanta che non perdeva da 19 partite tra Champions e campionato. Tutti i tifosi vorrebbero logicamente Eriksen al centro del progetto nerazzurro, ma evidentemente il tempo del danese deve ancora venire. In più c’è bisogno di fare chiarezza: il bene della squadra viene prima di tutto per Conte. Con Eriksen non rendiamo al meglio? Allora il “24” si può accomodare, momentaneamente, in panchina. Almeno finché non riuscirà ad integrarsi al meglio con i compagni. Un po’ di panca non ha mai fatto male a nessuno, anzi potrebbe spingere Christian ancora di più a volersi migliorare per conquistare quel posto da titolare che al momento non si è garantito.
4) La spinta motivazionale
Antonio Conte d’altronde ha costruito la sua carriera anche su questo: spingere sempre al limite. Sia da giocatore che da allenatore Conte è sempre stato un “motivatore”, una figura capace di tirar fuori il carattere di guerriero da ogni singolo calciatore, spingendolo a migliorarsi. Questo discorso molte volte finisce nella retorica, ma se analizziamo le prestazioni dei singoli assume un valore reale. Un esempio potrebbe essere Brozovic, giocatore dall’indole decisamente slava: talentuoso ma svogliato il più delle volte, quest’anno – episodi fuori dal campo permettendo – è diventato uno dei leader dell’Inter. Lukaku è un altro giocatore da citare in questo contesto: non è un caso se proprio quest’anno Big Rom ha vissuto la sua miglior stagione dal punto di vista realizzativo. Ha ricevuto qualcosa da Conte che gli altri allenatori non hanno saputo dargli, e in cambio gli ha restituito moltissimo, così come gran parte dei giocatori dell’Inter. A questo elenco vorrei personalmente aggiungere Antonio Candreva, capace di riscattare la disastrosa stagione dell’anno scorso, mettendo grande impegno e gettando sempre il cuore oltre l’ostacolo si è riguadagnato la maglia da titolare quest’anno. Effetto Conte.
5) Per migliorarsi serve l’autocritica
Conte non è mai stato sdolcinato in pubblico, è il suo carattere ed è ciò che l’ha portato fino ad essere allenatore dell’Inter, non lo cambierà di certo ora. Conte è prima di tutto un professionista, lo ha sempre ribadito. Come tale, punta sempre a migliorare quello che ha intorno lavorando duramente per raggiungere il suo obiettivo: vincere. Le sue recenti dichiarazioni non lasciano scampo: è all’Inter per vincere e non vuole mollare. Per arrivare a questo serve mettere in dubbio le qualità della rosa? Lo ha fatto. Per vincere è necessario avere unità di intenti con la società ed ecco che le ragioni del suo sfogo appaiono più comprensibili allora.
Antonio Conte non è interista nel più puro senso del termine, ma è un professionista serio come pochi ed è un professionista legato all’Inter. Antonio Conte vuole il bene dell’Inter come pochi altri al mondo – tifosi esclusi. Ha dato tutto in questo campionato, ma non è bastato e forse anche per questo si è voluto sfogare: non ha visto la sua stessa voglia in tutte le componenti societarie. Fossero tutti come Conte, l’Inter avrebbe parecchi problemi in meno.