La doppia cifra di vantaggio pone l’Inter in una situazione di comfort, quella che ti consente di non convivere la pressione di non poter sbagliare mai, ma che al tempo stesso non deve condurre ad adagiarsi sul vantaggio accumulato. Può essere pericoloso, anche se adesso il margine su Milan e Juventus è senz’altro cospicuo. Gli uomini di Conte, nel pomeriggio di ieri, erano chiamati ad un’altra prova di maturità: sopperire all’assenza di due elementi cardine nello scacchiere nerazzurro, ovvero Bastoni Brozovic, che si aggiungevano alla mancanza di Perisic, fuori per la seconda partita consecutiva a causa di un affaticamento muscolare. Conte ha scelto Darmian Young, i quali hanno dato risposte estremamente convincenti: il primo è stato schierato per la prima volta stagionale nella difesa a tre ed ha disputato un’ottima prova in entrambe le fasi, mentre il secondo – apparso appannato a Bologna – ha brillato nel primo tempo, impreziosendo la sua prova anche con l’assist dell’1-0 a Lukaku. L’ennesima conferma che la fiducia collettiva di Conte nell’intera rosa è ben riposta.

Si tratta di un gruppo che dà l’idea di essere sempre più maturo, nonostante evidenzi ancora alcuni difetti ed appaia provato fisicamente, a causa di una stagione logorante. Ma sono le motivazioni a spingere l’Inter verso la vittoria, che negli ultimi impegni – Torino, Bologna e Sassuolo – è sembrata giungere quasi per inerzia. E quando la sensazione è questa, è certamente un segnale positivo e dal sapore sopraffino. E va benissimo se l’Inter non dà spettacolo come avvenuto in altre occasioni, specialmente tra gennaio e febbraio. È il momento dei punti: brutti, sporchi e cattivi.

Centro estetico o trofei?

Chiariamo una cosa: concedere il possesso palla all’avversario, esattamente come successo contro Atalanta, Bologna e nel match di ieri contro la squadra di De Zerbi, era chiaramente una scelta di Antonio Conte. L’Inter si nutre di ripartenze e di campo aperto, e ieri l’ha fatto ancora una volta in entrambi i gol: il primo nasce da una straordinaria apertura di Lautaro Martinez verso Ashley Young, chirurgico nel servire Romelu Lukaku, che fra l’altro mette a segno il suo primo gol stagionale di testa. E la seconda rete non può che essere segnata dal suo gemello, Lautaro Martinez, proprio su assist di Big Rom: è l’ottava partita nella quale uno dei due attaccanti nerazzurri serve almeno un assist all’altro. È ancora la Lu-La a firmare l’ennesimo successo dell’Inter in campionato, il 22esimo in 29 partite.

È vero, i nerazzurri in altre partite – per esempio contro Juventus, Lazio e Milan – sono stati più convincenti e hanno corso meno rischi, vincendo largamente. Negli ultimi match, invece, il risultato è rimasto in bilico fino all’ultimo secondo. Ma l’Inter è in grado anche di gestire un vantaggio, seppur minimo, grazie ad una encomiabile difesa posizionale: anche ieri, infatti, il Sassuolo non ha saputo tradurre il largo dominio nel possesso di palla in occasioni da gol. Ciò non toglie che nel match di San Siro siano venuti a galla alcuni difetti ed ingenuità, come quella commessa da Hakimi in occasione del gol del Sassuolo: in quelle occasioni, specie con un uomo in meno (Skriniar era uscito per un colpo subito), bisogna essere concreti e buttare la palla lontano. Il marocchino non lo ha fatto ed è costato ai nerazzurri il gol che ha riaperto la partita e che è costato minuti di enorme sofferenza nel finale. Hakimi sta oggettivamente vivendo un periodo di appannamento: è macchinoso in attacco, i costanti errori nelle scelte evidenziano mancanza di lucidità ed è anche spesso impreciso e distratto in fase difensiva.

In molte fasi della partita, comunque, l’Inter è risultata troppo schiacciata e non è riuscita a ripartire con continuità, nonostante Conte chiedesse a gran voce di alzare di qualche metro la linea difensiva, spesso posizionata a ridosso del limite dell’area. Ciò non toglie che i nerazzurri abbiano avuto alcune ghiotte possibilità per chiudere il discorso: hanno peccato di concretezza, per esempio, nel riuscire a mettere a segno il gol del 3-1, con Sanchez e ancora Hakimi che hanno sbagliato rispettivamente un gol facile ed una scelta decisiva. Difetti da correggere, per il presente e per il futuro. Ma adesso, lo sappiamo, contano solo ed esclusivamente i punti, come ha sottolineato Antonio Conte dopo la partita.

Se non devono sorprendere le critiche provenienti dai nemici, fa quanto meno sorridere che a storcere il naso siano alcuni stessi tifosi nerazzurri, che reclamano il mitologico gioco. Già, dopo 10 anni senza annusare l’odore di un trofeo, c’è qualcuno che lamenta la mancanza di una manovra altamente spettacolare. Paradossale. Detto che una difesa ben posizionata ed ermetica è anch’essa uno spettacolo, bisognerebbe ricordare qualche numero in proposito.

Cifre da record

Mai nessuno, nell’era dei tre punti in Serie A, era riuscito ad ottenere dieci vittorie nelle prime dieci partite del girone di ritorno: l’Inter ha sconfitto più di mezzo campionato italiano nella seconda parte del torneo. Una squadra micidiale. E, quanto alle accuse di praticare un gioco improntato sulla difesa, appare fin troppo lapalissiano ricordare che l’Inter ha il miglior attacco del campionato a pari merito con l’Atalanta (68 gol in 27 partite), da sempre decantata come squadra dalla fase offensiva super. Sicuramente vero, ma stride la differenza di giudizio fra la squadra di Gasperini e quella di Conte, numeri alla mano. Forse l’Inter ha la colpa di accompagnare, ad un’enorme efficacia realizzativa, anche una difesa da big: sono 27 i gol subiti, dei quali solo 4 nelle ultime 12 partite. Conte, d’altronde, ha messo in evidenza come in Champions League l’Inter abbia giocato delle ottime partite, dominando spesso e volentieri, ma “a nessuno fregava niente del bel gioco“. Già, perché probabilmente l’Inter della difesa alta, della caterva di gol subiti piaceva a molti. Non incappiamo, però, nell’errore di farci trascinare in questo gioco maldestro e disonesto: rispondiamo con i numeri, con i fatti. Perché di questo gruppo, di questi uomini, di questa Inter c’è da essere soltanto orgogliosi. Non c’è tempo e non c’è neppure spazio, in questo momento della stagione, per la presunta estetica, ammesso che esista. La verità è che dopo un decennio di attese, di mediocrità, di brutte figure, questa splendida armata – guidata da un condottiero più che mai affamato di vittorie – ci sta consentendo di sognare il trionfo. E adesso il traguardo non è poi così lontano.