Ansia, timore, rabbia, scoramento, speranza, impazienza: in questo turbinio di emozioni e di sensazioni che attanagliano il tifoso nerazzurro nella settimana più importante, si stagliano prorompenti sullo sfondo due colori magnifici. Quelli che da soli parlano, e raccontano una storia. Il nero e l’azzurro, ovviamente. Quelli a cui da sempre associamo le nostre emozioni sportive più violente, più invasive, quelle maledettamente capaci di cambiare il nostro umore. La settimana di vigilia della notte più importante, dell’ultima giornata di campionato che deciderà il nostro futuro prossimo è naturalmente all’insegna della tensione, come l’anno scorso, d’altronde. Le differenze, però, proprio con la stagione 2017-18, non sono mai apparse così evidenti. La percezione, nel calcio, svolge un ruolo fondamentale: se un anno fa era sì arrivata la sconfitta con il Sassuolo, si era però verificato il pareggio fra Crotone e Lazio a sollevarci dall’Inferno e garantirci un’ultima chance per un biglietto direzione Paradiso. Diverso stavolta, è il modo con il quale si arriva all’ultima sfida: lo scorso anno la squadra era viva, in primavera era stata in grado di disputare prove importanti. Quella di quest’anno viene da mesi di pareggi con “calcolatrici in mano”, è spenta, c’è la netta percezione, appunto, che molti dei suoi interpreti siano con le valigie in mano. E proprio da qui proviene la disillusione del popolo Interista, quel sentirsi tremendamente distanti da chi l’Inter in questo momento la rappresenta sul campo. Ed è proprio per questo motivo, però, che c’è bisogno di riavvicinare in questi ultimi giorni di stagione l’Inter e i suoi tifosi. Concentrandosi sull’identità e sulla storia del club più folle ed affascinante del globo.

Ognuno di noi, da bambino, ha scelto. E ha scelto l’Inter. Decidendo di accollarsi, per giunta consapevolmente e quindi colpevolmente, il pacchetto completo. E facendolo ha deciso di sposare quell’insieme di schizofrenia, imprevedibilità, travolgente passione ma soprattutto tanto, tantissimo orgoglio. Giurando, in maniera implicita, di essere pronto a salire idealmente sulla montagna russa per eccellenza del tifo calcistico. Chi vi scrive si è innamorato dell’Inter nel quinto giorno di maggio del 2002, e quindi sa, come tutti voi sapete, cosa significa la sofferenza, la disperazione calcistica. Ma è anche conscio della libidine che soltanto noi, popolo nerazzurro, abbiamo provato nel momento in cui quella stessa sofferenza e disperazione hanno assunto a posteriori un ruolo “preparatorio” per le gioie più belle della nostra vita da tifosi (a proposito, oggi è il nono anniversario…). “Nobody said it was easy”, cantavano i Coldplay nel brano “The Scientist” (anno di uscita non casuale: 2002…): nobody said it would be easy, diremmo noi. “Nessuno ha detto che sarebbe stato facile”, quel giorno in cui abbiamo scelto l’Inter. Chi per un padre, chi per un nonno, uno zio, chi per puro e semplice amore verso i colori, nessuno di noi ha scelto l’Inter perchè è quella che vince. Il sentimento che sta dietro è più forte, più nobile, più puro. Di un’altra categoria. Ed è con questo spirito che dobbiamo avvicinarci alla notte più importante dell’ennesima, sofferta stagione.

Adesso…e mai più

Quell’adesso o mai più che in tante occasioni, nello sport o anche nella vita quando c’è la sensazione di dover cogliere quell’occasione che non si ripresenterà, può essere modificato, nel caso dell’Inter 2018-19, in adesso e mai più. Già, perchè alcun degli interpreti principali di questa squadra e di questa fase storica, reciteranno probabilmente la loro ultima recita con la maglia nerazzurra e in quel di San Siro. Pensiamo a Mauro Icardi, il numero 9, l’attaccante che in questi anni ha rappresentato per molti tifosi e bambini nerazzurri un idolo, una speranza cui aggrapparsi, potrebbe calcare per l’ultima volta il prato del Meazza. Una storia bella quanto tribolata, a partire dal rapporto con la Curva Nord. Ognuno, in questa vicenda, ha l’intelligenza e la capacità di farsi la propria idea scindendo l’Icardi uomo e l’Icardi calciatore, con un’unica consapevolezza: si tratta di una storia da quasi 130 gol in sei stagioni che meriterebbe, a prescindere da tutto, una conclusione con il sorriso. Magari l’ultimo contributo, quello decisivo, al raggiungimento dell’obiettivo. Pensiamo a Ivan Perisic, l’uomo che ad Icardi ha fornito una miriade di assist in questi anni di Inter, tanto da meritarsi un apposito hashtag: #PerisictoIcardi. Pensiamo all’allenatore Luciano Spalletti, probabilmente nel momento più difficile della sua carriera, in balia delle critiche più feroci. Sono stati tanti, indubbiamente, anche i suoi errori in questo secondo anno di Inter e in questo finale di stagione. Sarebbe ingiusto, però, non riconoscerne il merito di aver riportato l’Inter in Champions League nella passata stagione. Quasi sicuramente anche per lui sarà l’ultima a San Siro: lasciare con una nuova qualificazione gli garantirebbe un ricordo positivo da parte dei tifosi nerazzurri.

Pensiamo però anche a Milan Skriniar, il vero volto dell’Inter attuale, quello che nell’immaginario collettivo si staglia come il giocatore simbolo del presente e da cui ripartire per un futuro radioso. Già, proprio il futuro, inevitabilmente condizionato dal risultato di domenica sera: la Champions League, nel calcio di oggi, rappresenta veramente tantissimo a livello di immagine, di entrate, di appeal. Ma soprattutto, non riuscire a qualificarsi rappresenterebbe un grave passo indietro nel progetto Inter. Riuscire a farcela, invece, metterebbe il nuovo allenatore nelle migliori condizioni per cominciare a pensare nuovamente alla vittoria, così come permetterebbe alle componenti dirigenziali dell’Inter di poter agire in maniera più libera per avvicinarsi a tale obiettivo. Per ricordare, magari, anche questi anni di difficoltà come qualcosa di “transitorio” e di “preparatorio” per futuri successi. Sempre e comunque belli, eleganti, meritati. In stile Inter. Perchè è proprio questa prospettiva a permetterci di accettare quest’enorme tensione prima di un Inter-Empoli con obiettivo…quarto/terzo posto.

E poi ci siamo noi, gli Interisti, pronti a colorare San Siro di nerazzurro perchè, proprio in stile Inter, passeremo tutta la settimana a rimuginare e a criticare chi scende in campo ma poi saremo lì, a San Siro, oppure davanti alla tv già da un’ora del calcio d’inizio con una sorta di rito preparatorio verso la nostra, blasfema e personalissima, celebrazione eucaristica settimanale. Perchè in fondo l’Inter non la rivedremo più fino ad agosto, perchè la Champions è troppo importante, perchè “se non ci andiamo noi ci vanno i cugini”, perchè in fondo ci piace così, perchè…

per noi niente è mai normale

nè sconfitta nè vittoria

che tanto è sempre la stessa storia

un’ora e mezza senza fiato

perché…

C’è solo l’Inter.

 

 

Redazione
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