Ancora una rimonta, ancora emozioni forti nel pomeriggio di San Siro. L’Inter recupera da una situazione di svantaggio per la quarta volta in questa stagione: Fiorentina (vittoria), Borussia Monchengladbach (pareggio), Parma (pareggio). Cinque se ci aggiungiamo la trasferta di Madrid, quando però non arrivarono punti. Troppe occorrenze per non definirlo un vero e proprio trend, che se da un lato testimonia il fatto che la squadra ha carattere e che è ancora saldamente in mano al proprio allenatore, dall’altro evidenzia un’immaturità tipica delle “non-grandi squadre”, come ha ben evidenziato Romelu Lukaku a caldo. Una presa di posizione abbastanza forte che però il belga, considerato il suo status da leader ormai acquisito nello spogliatoio, si può ampiamente permettere. Specie se corrisponde al vero, visto che il suo stesso allenatore, Antonio Conte, ha ribadito il concetto davanti ai microfoni nella mixed zone di San Siro. Il concetto è semplice: una grande squadra è quella che punta a vincere titoli, una squadra che vuole vincere titoli – specialmente se parliamo di campionato – deve fare della continuità di rendimento un suo assoluto punto di forza. Cosa che è tutto sommato riuscita nella scorsa stagione (pur non bastando per la vittoria finale) e che deve rapidamente riuscire anche in questa. Non si può vivere di rimonte.

Un’ora da horror

Fino al minuto 63 la prova dell’Inter è sconfortante. La prima partita dopo la sosta nazionali, si sa, è sempre particolare. Se c’è una cosa che questa stagione ci ha finora insegnato è che vengono privilegiate le compagini che concedono meno giocatori alle proprie selezioni. L’Inter, in questo senso, è l’esatto opposto, essendo l’organico più privato dei propri effettivi durante le (nefaste) soste. E così Lukaku nel primo tempo appare appesantito, Bastoni perde in velocità come testimonia l’episodio in cui viene bruciato da Zaza, che fortunatamente si porta la palla avanti con le mani, solo per citare due nomi fra quelli più utilizzati dai propri ct. Tuttavia, non è accettabile che l’Inter disputi 60 minuti di così infimo livello generale, andando meritatamente sotto per 0-2. Riaffiorano problemi di equilibrio, visto che ogni qualvolta viene persa palla la squadra appare spezzata in due fra i cinque di difesa (o spesso i soli tre centrali) e il resto della squadra. La manovra non è fluida, la deconcentrazione è palpabile. Dietro D’Ambrosio sbaglia troppo, Ranocchia sembra tornato quello horror delle stagioni più nere, Hakimi è la controfigura di se stesso, specie quando con un retropassaggio rischia di commettere un errore esiziale come quello di Madrid, Gagliardini e Vidal sono costantemente in affanno, mentre Barella si conferma raggio di sole anche nella tempesta. Ma l’errore più grossolano lo commette Alexis Sanchez quando, sulla  sirena del primo tempo, cerca un improponibile passaggio con cui regala palla al Toro e che Zaza sfrutta segnando il gol dello 0-1.

La situazione non migliora neanche dopo l’intervallo, quando ci si aspetta un approccio diverso dopo la probabile strigliata di Conte negli spogliatoi. E invece è l’identico copione del primo tempo: errori tecnici e posizionali, si continua a giocare con sufficienza. La differenza di carta d’identità fra Young Singo si sente per tutta la partita, e in particolare in occasione del calcio di rigore concesso al Toro. L’Inter è spenta e un atroce dubbio si insinua nella mente di tutti i tifosi nerazzurri: la squadra segue ancora Conte?

Metamorfosi

La risposta, fortunatamente, è sì. Vero che l’Inter ha ancora svariati problemi da risolvere, che con questo andazzo si faticherebbe persino a centrare la qualificazione in Champions League e che urge un cambio di marcia, ma quando una squadra gioca 30 minuti finali di quel livello, significa che si è ancora tutti uniti. Succede esattamente ciò che non è accaduto nella prima ora di gioco: costanti anticipi da parte di difensori e centrocampisti, manovre fluide, corali e ben organizzate, attaccanti lucidi nelle scelte ed estremamente cinici. Hakimi ricomincia a galoppare seppur con qualche imprecisione di troppo, Bastoni torna illuminante regista arretrato, Vidal il recupera-palloni di sempre, Lukaku il solito armadio onnipresente che segna e fa segnare, Sanchez si riabilita dopo la sanguinosa palla persa sul finire del primo tempo ritrovando il gol ma soprattutto sfruttando pienamente tutta la sua qualità, come quando serve l’assist del 2-2 al numero 9. Ma sono anche i cambi a fare la differenza: Lautaro Perisic risultano estremamente utili con il primo che va in gol ed il secondo che fa sentire il fisico impegnando la fascia destra avversaria facilitando la ricerca degli spazi da parte di attaccanti e centrocampisti, ma sono gli ingressi che non ti aspetti a fare la differenza: Milan Skriniar Stefan De Vrij.

E non te lo aspetti perché, quando c’è da trovare il gol a tutti i costi, non sono propriamente i difensori a determinare – di solito – il raggiungimento dell’obiettivo. E invece entrambi entrano benissimo e si rivelano mosse azzeccate da parte dell’allenatore. Lo slovacco sostituisce uno spento D’Ambrosio e conferma i netti miglioramenti anche nella linea a tre, risultando impeccabile in fase difensiva ma soprattutto utile e propositivo anche con la palla fra i piedi. Il secondo, subentrando a un Ranocchia in palese difficoltà, trasmette calma, fiducia e lucidità a tutta la squadra, spingendosi anche negli ultimi 30 metri durante il disperato forcing alla ricerca del 3-2. Risultato? La manovra risulta più fluida, organizzata e di qualità, l’Inter centra non solo il terzo ma anche il quarto gol.

Quelle sirene ammalianti…

Per la prima volta in stagione, si è visto un Antonio Conte nel post-partita meno disposto a giustificare i problemi dei suoi: più incline al bastone che alla carota, nonostante il successo raggiunto. La strategia è corretta, perché lasciarsi andare a trionfalismi dopo una partita vinta in rimonta contro una delle ultime in classifica e dopo 60 minuti ingiustificabili sarebbe totalmente inadeguato. Conte si prende le proprie responsabilità, come quando dice che – se l’approccio alle partite è spesso errato – “sono io che devo tirare fuori di più”. Ma allo stesso tempo chiede a gran voce il ritorno allo spirito che aveva caratterizzato l’Inter nella scorsa stagione e in particolare nelle ultime uscite, alzando anche i toni e dicendo che “i vecchi devono ritrovarlo, ma anche i nuovi”. Un Conte parecchio infastidito dalla pessima prova fino allo 0-2, insomma, e che si è voluto soffermare soprattutto su quella rispetto alla rimonta poi concretizzatasi.

Ma sempre davanti ai microfoni, il tecnico dell’Inter ha parlato di “sirene ammalianti” che vengono suonate da addetti ai lavori con l’obiettivo di “creare problemi all’Inter”: mancanza di “onestà intellettuale” da parte di alcuni. Traduzione? Conte è parecchio infastidito dal giochino di ricoprire l’Inter di pressioni, con i titoloni “Inter favorita per lo scudetto” che trovano spazio sui giornali un giorno sì e l’altro pure, con un’insistenza mai vista prima e che per questo risulta, a lungo andare, di cattivo gusto e sospetta. Conte pensa, leggendo tra le righe, che il giochino sia quello di innalzare l’Inter per poi attaccarla in maniera spietata nel momento in cui tale obiettivo non dovesse essere raggiunto. In questo senso, appare surreale il tentativo di descrivere la Juventus nei termini di una “squadra in ricostruzione” e che per questo non può essere la favorita. È inspiegabile e fa sorridere che la squadra con il monte ingaggi più alto della Serie A (294, l’Inter è seconda a 139!) debba ritenersi sfavorita sulla carta in nome di un presunto “organico inferiore”, quando in tale organico figura – per farci un’idea – uno dei calciatori più forti della storia che si porta a casa 30 milioni annui. Cifre che l’Inter, al momento, può soltanto sognare. Insomma, Conte si è stancato di un giochino stucchevole e tendenzioso che ha come obiettivo mirato quello di rendere una eventuale caduta dell’Inter fragorosa e rovinosa.

La svolta?

La grande speranza dei tifosi nerazzurri è che la vittoria di ieri possa segnare uno spartiacque nella stagione. L’Inter ieri ha letteralmente visto il baratro ed è risorta dalle sue ceneri: non sarebbe la prima volta che una rimonta si trasforma in un punto di svolta, specie se la partita viene analizzata in maniera estremamente critica, concentrandosi sugli errori commessi, ma con tre punti portati a casa su cui si può comunque contare e che non fanno male al morale. L’Inter deve ritrovare il furore agonistico che nella scorsa annata si vedeva fin dal primo minuto. Se a questo aggiungiamo il tasso tecnico e di leadership che quest’anno si è aggiunto (Hakimi e Vidal su tutti), si possono ottenere ottimi risultati. Senza cedere alle sirene ammalianti, che hanno come effetto collaterale i cali di concentrazione e approcci alle partite non irreprensibili: due fattori nemici dalla vittoria.

L’Inter può e deve rispondere con convinzione già fra due giorni, nel dentro o fuori contro il Real Madrid. Ci si gioca uno degli obiettivi stagionali, quello della qualificazione agli ottavi di finale di Champions. In altri tempi l’attesa spasmodica sarebbe stata coronata da un San Siro strapieno e pronto a vivere una notte da leoni, adesso il popolo nerazzurro è costretto a far sentire la propria carica da casa. Confidiamo, però, che la squadra sia conscia dell’importanza del match per il presente e per il futuro della stagione. Siamo già giunti ad un crocevia: non si può più sbagliare.