Adesso è tutto vero: Mauro Icardi è ufficialmente un giocatore del Paris Saint-Germain. È il primo, grande affare del nuovo e insolito calciomercato estivo 2020, quello che prevederà tre mesi di “contratti preliminari” e uno solo di vera e propria sessione, probabilmente da settembre a ottobre. L’Inter apre quindi le danze chiudendo l’affare più sofferto, quello che nell’estate scorsa ha dominato la scena, diventando tormentone a tratti nauseante per i tifosi nerazzurri.
Ma come ha reagito il popolo interista, una volta appresa la notizia dell’intesa raggiunta con conseguente comunicato ufficiale e cifre dell’affare? Due fazioni sono ben delineate: gli “Icardiani” puri, rimasti profondamente legati al giocatore e che di conseguenza non hanno apprezzato l’operato di Marotta in primis; i negazionisti, che spingono per applicare una sorta di damnatio memoriae nei confronti dell’ex capitano dell’Inter. Abbiamo il tempo, però, per affrontare con serenità, a bocce ferme, il capitolo (concluso) Mauro Icardi e soprattutto il tema del suo ricordo. Cosa ci resta di lui? E allora, come in un libro di storia che si rispetti, andiamo a rileggere insieme questo capitolo, cercando di fornire un’analisi critica, tentando di scegliere la via dell’obiettività (per quanto possibile, è pur sempre un tifoso che vi parla…). Senza l’offuscamento da amore perduto, senza la rabbia accecante che segue la liberazione da un male finalmente estirpato. Pronti? Let’s go!
SIMBOLO
Piaccia o non piaccia, Mauro Icardi è stato il simbolo dell’Inter per almeno 5-6 anni. Simbolo di un’Inter mediocre – diranno i più cattivi – quella di un periodo storico totalmente scevro da ogni trofeo. Vero. Ma la prospettiva si può anche ribaltare: in un’era obiettivamente buia, Icardi si è oggettivamente distinto, predicando a volte nel deserto e non facendo mai mancare il suo contributo realizzativo. 124 gol in 219 partite non si dimenticano: per media gol (0,57), fra gli attaccanti con almeno 100 presenze in nerazzurro, solo mostri sacri come Nyers, Meazza, Vieri, Angelillo e Boninsegna si piazzano davanti. Icardi in questa classifica è sopra Ibrahimovic, Eto’o, Milito, Altobelli. Altri simboli, di altre Inter. Obiettivamente più luminose e vincenti.
DA VICE MILITO A CAPITANO DELL’INTER
Dopo una prima stagione da vice-Milito (all’ultimo anno in nerazzurro) e condizionata dalla pubalgia che gli vale 9 gol, è nel 2014-15 che Icardi si prende sostanzialmente il palcoscenico interista ergendosi a simbolo di una piazza in costante ricostruzione, fra un cambio di proprietà e l’altro. Primo titolo di capocannoniere – a soli 22 anni – ex-aequo con un veterano del calcio italiano, Luca Toni, che rende se possibile ulteriore merito alla capacità di un giovane attaccante di sfondare in un campionato storicamente ostico per i bomber come la Serie A. 22 gol in campionato, 27 fra tutte le competizioni. Stagione pessima per l’Inter, che chiude ottava, ma ottima per lui, che diventa unica consolazione (e motivazione) anche per i tifosi in un tristissimo finale di stagione. Ed è proprio il clima di continua rifondazione, di certezze inesistenti, oltre che una stagione disastrosa di Ranocchia a convincere il club nerazzurro e l’allora allenatore Mancini ad affidargli la fascia di capitano. Un privilegio, un onore, una medaglia al valore per chiunque.
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Probabilmente anche per Icardi stesso. Ma anche un’enorme responsabilità, quella che forse l’ex numero 9 non è riuscito a reggere. Nel momento in cui Icardi diventa capitano, non è più semplicemente agli occhi dei tifosi (giustamente) l’attaccante chiamato solo a buttarla dentro, ma è chiamato a rispondere ad una serie di aspettative. Specialmente per un popolo che solo due anni prima aveva vissuto il doloroso addio al calcio di Javier Zanetti. Il capitano con cui ogni tifoso interista si è rispecchiato, il modello ideale a cui ogni erede dovrebbe (tuttora) tendere. Quel semplice “pezzo di stoffa” è diventato sempre più ingombrante, sempre più pesante, sempre più sofferto. Tuttavia, sul campo, il bomber di Rosario non ha mai smesso di fare – appunto – il bomber. 16 reti nel 2015-16 con Mancini, 26 nel 2016-17, tormentata e caotica stagione dei quattro allenatori. Ancora punto di riferimento in una stagione disastrosa, ancora simbolo e speranza nerazzurra in vista dell’agognata rinascita. Ma sono anche gli anni in cui può avvalersi degli assist di Perisic (con il quale i rapporti extra-campo diventeranno ben presto glaciali) e la nascita del #PerisicToIcardi che tiene in piedi l’Inter e le evita almeno il baratro. Come in quel pomeriggio di settembre 2016: Inter-Juventus 2-1, reti dell’argentino e del croato. Già, la Juventus, vittima preferita per Mauro: 8 reti in 11 partite, fra cui la doppietta con la maglia della Sampdoria allo Stadium con cui stregò Moratti. Non un dettaglio banale.
IL PERIODO CON SPALLETTI
E poi il biennio con Spalletti, quello che – almeno è la nostra ardente speranza – ha rappresentato una prima tappa verso quella tanto auspicata rinascita, con il ritorno in Champions League e le due qualificazioni agguantate all’ultima giornata. Due risultati uguali giunti in modi così diversi. Croce e delizia per Mauro Icardi. Punto più alto e punto più basso della sua esperienza nerazzurra. Nella stagione 2017-18 vince un altro titolo di capocannoniere, stavolta a pari merito con Ciro Immobile: i due simboli delle squadre che battagliano fino all’ultima giornata per un posto in Champions League, assegnato solo nell’ultima drammatica giornata a Roma, nella quale Icardi trasforma il calcio di rigore che dà il via alla rimonta. È senza dubbio la sua stagione migliore: 29 reti, ma stavolta oltre ai gol c’è di più. A tratti in campo mostra atteggiamenti da leader vero, come nella serata dello scempio di Orsato, contro la Juventus a San Siro. Un gol, sacrificio costante in 10 contro 11, una vittoria sfiorata e tramutatosi in sconfitta forse proprio a causa della sciagurata sostituzione Icardi-Santon. A fine partita, l’allora capitano viene immortalato in lacrime. È forse il momento di massima empatia fra Icardi e il popolo nerazzurro.
3 GOL AL MILAN – IL MOMENTO TOP DI ICARDI
Ma quelli con Spalletti sono anche gli anni in cui il numero 9 decide due derby memorabili per ogni tifoso interista. Il primo, quello dell’ottobre 2017, lo vede protagonista di una tripletta, primo a riuscirci in una stracittadina dopo Milito. Un altro (illusorio) passaggio di consegne fra i due. È probabilmente la miglior prestazione dell’argentino con la maglia nerazzurra (che sventola trionfalmente sotto la Nord) guadagnandosi il 9 fisso in pagella di tutti i giornali del giorno dopo. In quei tre gol c’è tutto Icardi: nel primo si vede il rapace d’area di rigore, nel secondo un colpo da maestro al volo ed una capacità di coordinazione da bomber puro, nel terzo tutta la freddezza che – piaccia o non piaccia – lo ha sempre contraddistinto.
La stagione successiva è ottima fino a Natale, in particolare in Champions League, dove Icardi prende per mano la squadra (assente da sei anni nella competizione) nonostante egli stesso sia un debuttante in Champions. 4 gol in 6 partite per lui, che purtroppo non bastano (un po’ come successo quest’anno a Lautaro, autore di 5 realizzazioni nel girone) a superare il turno. Nel mezzo un altro derby deciso, stavolta in una partita meno pirotecnica, molto più tirata, che infatti Icardi sblocca solo al minuto 91, fissando l’1-0 finale e sfruttando l’uscita a vuoto di Donnarumma. Da qui in poi, il buio.
DISSOLUZIONE
La capacità di Icardi di andare in gol è stata direttamente proporzionale a quella di essere eternamente divisivo. Ma se un giocatore che ha segnato così tanto è stato oggetto di così tante critiche sul lato umano, un motivo ci sarà. Ed è colpa sua. Anche stavolta, piaccia o non piaccia. La prima pietra della disgregazione del rapporto fra Icardi e l’ambiente interista fu posta nel febbraio 2014, con il litigio fra lui e la Curva a Reggio Emilia. Da quel momento in poi, l’ex capitano si è reso protagonista di gesti e azioni obiettivamente mai viste. Una serie di autogol che fanno particolarmente rumore se commessi da un giocatore che in campo, invece, sfoderava il pallone con regolarità impressionante nelle porte avversarie. Un’autobiografia scritta all’età di 23 anni (!), per esempio, nella quale ricostruì in maniera parziale e strumentale quel diverbio di due anni prima, dicendo di aver anche minacciato di mandare “100 criminali argentini” contro la Curva Nord. Qualcosa di imperdonabile. E che dire della scelta di assumere come proprio manager sua moglie, una donna senza alcuna esperienza nel settore e che sarà infatti principale causa del divorzio (con l’Inter, sia chiaro…) e del deterioramento dei rapporti. Già, perché se di giocatori nerazzurri affermati protagonisti di rapporti problematici con la Curva ci sono precedenti (Vieri e Ibrahimovic su tutti), la moglie-agente di un capitano che si reca ogni lunedì nei salotti del programma televisivo con più audience delle reti Mediaset non si era mai vista. E parliamo della stessa donna artefice dei consueti “teatrini” sui rinnovi contrattuali, oltre che protagonista dell’incriminata, triste e squallida frase: “Icardi all’Inter se vuole può cacciare o portare persone alzando un dito“. Inaccettabile. E lo sarebbe se stessimo parlando di una squadra di Serie C, figuriamoci dell’FC Internazionale Milano. Qualcosa di inammissibile anche per i fenomeni assoluti della storia del calcio, figuriamoci per Icardi, un grande attaccante, per carità, che però non rientrerà mai nella categoria. E come dimenticare le frecciate della signora ai compagni di squadra, come Perisic “che forse ha problemi personali e vuole andare via”, alla dirigenza interista “che voleva mandarlo alla Juve, ma Mauro ha rifiutato”, a Spalletti “che doveva mettere prima Lautaro perché è amico di Mauro”, alla proprietà che deve acquistare “uno che gli metta cinque palloni buoni a partita”, perché – fra le righe – quelli attuali sono incapaci di farlo.
LA FASCIA TOLTA
E così il malessere si è esteso dalla Curva allo spogliatoio, stufo di sentirsi giudicato ogni lunedì da parte della moglie del capitano. Una situazione bizzarra, nella quale mancava un uomo di polso, in grado di porre fine ad un problema esplosivo ed una continua mancanza di rispetto verso l’Inter e la sua storia. E così arriva la decisione, nella quale si vede forte per la prima volta il modus operandi di Marotta, di destituirlo dal ruolo di capitano. Decisione, diciamolo a chiare lettere, sacrosanta. Icardi avrebbe potuto in ogni momento fare un gesto per rasserenare gli animi, per porre un freno alle assurdità che sua moglie tirava fuori ogni maledetto lunedì. Non l’ha mai fatto. Non è stato un capitano, non è stato un leader, non si è dimostrato da Inter. O almeno, non si è dimostrato un profilo adatto ad un’Inter che vuole cambiare rotta, che vuole vincere e che vuole intraprendere in primis la strada della serietà. Primo ingrediente della vittoria. Icardi non è stato serio. Ha dimostrato di non essere innamorato dell’Inter ma del suo ruolo, del suo status nell’Inter. Status che pian piano si stava sgretolando. Ed eccolo, allora, l’ultimo grande autogol, quello che tutti ricordano, un altro gesto inedito, deprecabile, vergognoso e “umiliante” (Spalletti docet): fingere un infortunio al ginocchio per due lunghi mesi e per giunta mediare – tramite il proprio avvocato – il ritorno in campo. Quando molti dicono che Icardi non meritava questo trattamento e che la società ha sbagliato, ripetano per tre volte questa frase a bassa o ad alta voce: mediare per tornare in campo. Mettendo di mezzo l’avvocato. E infine, inoltrare denuncia all’Inter per mobbing a due giorni dalla fine del mercato, dopo aver rifiutato ogni destinazione, forse con la speranza di raggiungere quella bianconera gratis. Piano miseramente fallito. Ecco perché è necessario ribadire che il comportamento di Icardi è stato inaccettabile ed ha compromesso in maniera definitiva il suo destino all’Inter. Ecco perché la cessione – prima in prestito e poi a titolo definitivo – al Paris Saint-Germain è stata l’unica strada perseguibile.
TUTTI FELICI E CONTENTI
Per concludere, parliamo di cifre e facciamo un po’ di chiarezza, visto che in molti si sono lamentati di aver “svenduto” il giocatore. Parliamo di 50 milioni + 8 di bonus facili, oltre ai 5 già versati dal club parigino nell’ultimo giorno della scorsa sessione estiva. Siamo con tutta probabilità a quota 63 milioni di euro. E diranno: sì, ma l’accordo era a 70. E magari dimenticheranno che nel mezzo c’è stata una pandemia che ha sconvolto il mondo, con conseguente abbassamento dei prezzi. L’Inter sopravviverà a 7 milioni in meno di incasso, non sarà propriamente la cifra in grado di stravolgere il prossimo mercato nerazzurro. Oltre a questo, se dovesse concretizzarsi un trasferimento del giocatore in Italia nei prossimi 12 mesi, la dirigenza interista si è ulteriormente cautelata: in tal caso, i francesi dovranno versare 15 milioni aggiuntivi e l’incasso totale ammonterebbe a ben 77 milioni. Alla faccia della svendita. Tutti contenti quindi: l’Inter che si libera di una situazione problematica e senza precedenti, con un giocatore che si rifiuta di giocare prima ed una pandemia di mezzo poi; il Psg, che si aggiudica definitivamente un grande attaccante; Mauro Icardi, semplicemente perché se ha scelto di rimanere a Parigi significa che sotto la Tour Eiffel è felice. Tutti contenti, tutti tranne uno!
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Ciao Mauro.