Ci sono partite che segnano uno spartiacque all’interno di una stagione. Ci sono stadi che profumano di storia, di leggenda e che ti consentono di capire cosa manca per essere grandi. La sfida del Camp Nou di ieri sera ha prodotto 45 minuti di Inter spettacolare, che ha messo alle corde una delle squadre più forti del pianeta, ma anche altri 45 che hanno evidenziato i limiti oggettivi e la distanza, che permane, dai top club europei. Ma che probabilmente è minore rispetto a quanto ci si aspettasse alla vigilia di una trasferta temuta da tutti i club del continente.
ESTASI – L’Inter del primo tempo ha dominato. E attenzione, dominio non significa (necessariamente) possesso palla, quello che ha fatto in maniera innocua il Barcellona per tutta la prima frazione di gioco. Dominare significa anche controllare l’avversario, uscire in maniera paradisiaca dal pressing ed essere spettacolari in contropiede. Dominare significa eseguire alla perfezione il piano-partita. Ed è proprio quello che ha fatto l’Inter di ieri sera. O Almeno per un tempo. Favorita dal gol immediato di Lautaro Martinez, la squadra di Antonio Conte ha dimostrato di aver introiettato tanti dei principi inculcati dal proprio allenatore. Ed è veramente un peccato che i nerazzurri non siano riusciti, nel primo tempo, a trovare il meritato gol dello 0-2, sventato da un’assoluta prodezza di Ter Stegen su colpo di testa ancora di Lautaro e mancato dai due piccoli fenomeni made in Italy, Barella e Sensi. Il tiro del primo è murato miracolosamente da Semedo, quello del secondo finisce da poco alto. Ma quella dell’Inter è una prova di forza: dominare al Camp Nou per un tempo intero significa essere dotati di un’immensa personalità di base, che certo va lavorata, raffinata, perfezionata. Ma di sicuro è ben presente nel background di questa squadra.
DIFFERENZE – Squadra che però si è dimostrata incompleta. Principalmente sotto due punti di vista. Incompleta perchè si dimostra poco cinica, non azzannando l’avversario nel suo momento più difficile e mancando quello 0-2 prima dell’intervallo che avrebbe indirizzato diversamente la partita. Difetto che va corretto, perchè uscito fuori anche in campionato: basti pensare all’ultima sfida di campionato, quella con la Sampdoria. Anche a Genova il primo tempo è stato di altissimo livello, anche in quell’occasione si poteva e doveva segnare di più e, addirittura, nel secondo tempo si è rischiato di non vincere. Il Barcellona purtroppo non è la Samp, e nel secondo tempo – pungolato nell’orgoglio – ha tirato fuori tutta la propria qualità. E qui veniamo al secondo senso di “incompleta”. La rosa dell’Inter, infatti, si porta ancora dietro alcune lacune, che vengono amplificate nel momento del confronto con un top team europeo. Se il Barcellona può contare sull’apporto di Vidal (ha cambiato il volto della partita) e Dembélé dalla panchina, l’Inter ci prova con le soluzioni D’Ambrosio, Gagliardini e Politano. Con tutto il rispetto verso i tre, onesti e impeccabili professionisti, parliamo di due pianeti differenti. Come detto dopo la Sampdoria, Conte può disporre di una rosa corta non tanto a livello numerico, quanto a livello qualitativo. Dopo i titolari, c’è il vuoto o quasi. Ecco perchè, quando si ipotizza un’Inter in lotta fino alla fine con la Juventus (altra squadra che può disporre di rosa infinita e piena zeppa di campioni), si dovrebbe tener presente che parliamo di un’ipotetica impresa, di qualcosa di eccezionale. Con buona pace di chi prova a mettere pressione addosso a questa squadra e al suo allenatore.
FUTURO ROSEO – Magari questa Inter non è ancora pronta per vincere, ma i segnali sono eccezionali. Parliamo di una squadra giovane, che può crescere tanto. Basti pensare a Sensi e Barella. Giocare la seconda partita di Champions League in carriera e farlo al Camp Nou, per dei giocatori nella media, dovrebbe portare ad un fisiologico tremolio nelle gambe. Non per loro. Non per i due centrocampisti destinati (lo speriamo) ad un ruolo da protagonisti nell’Inter e nella Nazionale Italiana (già dai prossimi Europei). Sensi è partito meglio in campionato, si è inserito e integrato negli schemi di Conte molto più velocemente rispetto a Barella. E ieri il centrocampista umbro è stato eccezionale nel primo tempo, specialmente in fase di transizione: contribuisce costantemente alle numerose uscite pulite dalla difesa con la preziosa partecipazione di Lautaro e Sanchez (coppia sempre più affiatata). Barella cresce alla distanza, dimostrandosi l’unico, nel secondo tempo, in grado di strappare e di dare una scossa alla squadra nel momento in cui si schiaccia troppo all’indietro. Abbiamo citato Lautaro Martinez. E se parliamo di personalità, non possiamo non farlo. Il Toro, nonostante le critiche per qualche gol sbagliato di troppo, segna dopo 2 minuti al Camp Nou e poi gioca una partita di grande, grandissima qualità, classe e sacrificio. A proposito di futuro roseo, Lautaro deve essere un punto fermo.
“LA” PARTITA – Non c’è tempo per fermarsi. Ci sarà, però, dopo la partita di domenica. Per rifiatare dopo un tour de force da 7 partite in 23 giorni. Adesso, però, arriva la Juventus. Le presentazioni sono superflue. Ciò che non lo è, invece, è ribadire come questa Inter, nonostante sia una “bozza” di grande squadra, arrivi all’attesissimo scontro diretto da prima della classe. Raggiungere la maturità, eliminare i propri difetti e perfezionare i pregi è molto più facile guardando tutti dall’alto. E proprio per questo vuole continuare a farlo il più a lungo possibile.