“O moriamo lì dentro e usciamo assieme alla coppa, o moriamo perché non torniamo più a Milano”. Ogni tifoso interista conosce queste parole, pronunciate da Samuel Eto’o alla squadra prima di scendere in campo a Madrid.
L’Inter del “triplete” era una squadra forte, compatta, costruita per vincere e, soprattutto, vincente. Prima entrare nel cuore del discorso, prendiamo le distanze da un’altra citazione famosa «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.», che lasciamo volentieri ai tifosi di un’altra squadra, con cui non vogliamo aver nessun legame che non sia sul terreno di gioco. Lo sport è competizione, rispetto dell’avversario, voglia di vincere e di superare i propri limiti. Come già affermato, per noi vincere è importante, ma non è l’unica cosa che conta, questo, però non significa che la sconfitta debba diventare normalità, che, purtroppo, è quello che sta accadendo nelle ultime giornate. Le sconfitte fanno parte del gioco, e come, se non di più, nella vita servono a crescere. Questo non è successo e non succede all’attuale Inter. È successo ed è stato fondamentale, invece, per l’Inter del “triplete”, costruita a partire da sconfitte con l’obiettivo di arrivare sul tetto del mondo. Quell’Inter accettava la sconfitta, ma la schifava, la odiava, non voleva assolutamente riprovare quella sensazione di sconforto, che ti avvolge dopo il triplice fischio, quando gli avversari ti hanno battuto. Possiamo ricordare partite epiche come la rimonta con il Siena o la partita in nove contro la Sampdoria, due incontri che, di norma, non dovrebbero dare particolari motivazioni, ma, che dimostrano come per quell’Inter le partite fossero da giocare fino all’ultimo secondo, fino all’ultimo respiro, per vincere, o semplicemente per non perdere, perché la sconfitta è costruttiva, ma chi vuole vincere, cerca di evitarla a tutti i costi.
L’Inter delle ultime partite è tutt’altra cosa, è una squadra fragile e timorosa, priva di passione per la maglia e, forse, anche per il gioco. Non c’è rabbia, non c’è voglia di vincere, o almeno di non perdere, non c’è intenzione di crescere e aspirare a grandi traguardi, perché è facile impegnarsi quando ci sono obiettivi in corso, molto più difficile farlo, in mancanza di stimoli, quando dovrebbe rimanere soltanto l’orgoglio della squadra e dei giocatori, quell’orgoglio che ti porta ad evitare con tutto te stesso la sconfitta, quello spirito agonistico che fa degli sportivi campioni assoluti e che lascia le squadre nella memoria.
L’Inter attuale è immersa nella mediocrità, a partire dalla dirigenza, spesso assente e indecisa, passando per l’allenatore, insicuro e in balia degli eventi, finendo coi giocatori, disattenti e spesso, fuori dalla partita.
Probabilmente, passeranno ancora diversi anni prima di riavere un’ Inter competitiva ai vertici, il percorso sarà lungo e passerà per le sconfitte, quelle vere, però, quelle che ti spingono a tornare in campo con maggiore ambizione e determinazione.