E’ il periodo, per pagellisti e professori dell’ultima ora, di giudizi e valutazioni. Si sprecano gli uni e si contano gli altri a fronte di una sempre maggiore critica non sempre sorretta da conoscenza e coscienza.
Questo appartiene un po’ a tutti noi, a tutti gli sportivi ed agli amanti del gioco. Eppure per ogni valutazione data, per ogni voto assegnato sento che un sentimento muore. Ogni volta che mi lancio, io in primis, in pedisseque annotazioni circa l’obiettivo mancato o peggio ancora ogni volta che indico la luna non prestando il giusto incanto al cielo, sento che un pezzo di Inter dentro di me, muore per sempre.

Non che trovi sbagliato valutarsi e valutare il percorso che ha portato o meno a raggiungere l’obiettivo, ma io ai numeri ho sempre preferito le parole; ai giudizi ho sempre anteposto la retorica delle emozioni.
E credo che non è un caso, di fatti, che la mia fede sia a tinte NeroAzzurre.

Vorrei per tanto svincolare il giudizio e parlare di inter edulcorando metafore ed emozioni. Perché in fondo tutti sappiamo che l’Inter è tale: emozione. Ed oggi, a conclusione di un mortifero percorso, sarebbe bello fosse metafora. Proviamo a dargli la giusta connotazione.

Penso che ad oggi l’Inter sia metafora di incompiutezza a fronte d’un potenziale sconosciuto finanche agli addetti ai lavori. Passiamo dal parossismo delle valutazioni d’inizio anno, al mutamento incantato delle stesse a metà anno, per poi ricadere in fallo e commettere lo stesso errore. Sempre, ciclicamente.
Dovremmo forse immedesimarci nel complesso di relazioni strutturali che nasconde lo spogliatoio per capire cosa realmente accade ad un gruppo di ragazzi e uomini allergici a patti d’orgoglio, bandiere mosse dal vento dell’incompiuta fermezza.
Eppure in questa cornice scadente, effimera, il dipinto è espressione impressionista delle emozioni. Abbiamo a che fare con la battente convinzione che Inter faccia rima con scostante. Come l’impressionismo questo sentimento, verrà apprezzato – spero – quando saremo più grandi, compiuti anche noi.

Pertanto come la metafora impone, sostituendo il termine proprio – Inter – con uno figurato – incostanza – avremo un risultato più vicino alla realtà e distante dal nostro cuore, dalla nostra speranza.
Io credo che l’incostanza prodotta sia sufficiente a farci vivere di rendita per i prossimi anni. Chiunque ha visto incostanza di progetti e falle nelle idee per la realizzazione degli stessi: ma siamo l’Inter, scostanti, pazzi ma Romantici e Vincenti.
Non possiamo farne una croce, ma un demone si. Idolatriamo il passato come fosse una chimera irraggiungibile senza capire che ne siamo tutt’ora immersi, inebriati. Dobbiamo avere la forza di demonizzare gli antichi fasti e trovare la consapevolezza che l’essere costanti, l’essere Inter è un privilegio da dimostrare sempre.

Onore delle armi al Re della foresta – altra metafora – Mourinho.
Ma il tempo di fermarsi a contemplare quel senso di compattezza è andato. Adesso tocca a noi appoggiare incondizionatamente il nuovo Re. Per non essere noi i “pirla” della prima conferenza stampa dello stesso.
Dobbiamo essere l’inizio d’un viaggio – metaforicamente parlando – da violentare in ogni singola parte. Dobbiamo riuscire ad essere zelo ed impegno come Proprietà e cultura Cinese impone.
Dobbiamo tornare ad essere l’Inter.

Senza metafore, senza voti e giudizi ma con emozione, caparbietà e convinzione.
#Amala

Redazione
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