Tutto come da copione. Mantenere una piccola speranza dettata dalla matematica più che dalle sensazioni di campo era un obbligo, ma tutti sapevamo quanto il nostro destino fosse stato già scritto ben prima di questa ultima giornata. L’Inter non ha perso lo scudetto ieri, lo ha regalato prima. Individuare necessariamente il momento o la partita in cui il delitto si è compiuto può sembrare esercizio sterile e astratto. Tuttavia, non si può ignorare un periodo caratterizzato da 7 punti in 7 partite: difficile non additare febbraio e marzo come i mesi che sono costati cari ai nerazzurri. Il discorso scudetto, in ogni caso, si chiude ufficialmente già nei primi minuti, complice una partita parecchio “morbida” – eufemismo – che il Milan affronta a Reggio Emilia. L’Inter fa l’unica cosa che rientrava nelle sue possibilità: battere la Sampdoria. Lo fa nel secondo tempo, lo fa bene, abbattendo il muro costruito da Audero nella prima frazione (quando, almeno a San Siro, una partita c’è stata) e rende onore al meraviglioso pubblico corso a salutare per l’ultima volta i nerazzurri.
Lacrime, rimpianti, emozioni
Il faccia a faccia finale tra i giocatori e il popolo interista è stato particolarmente emozionante. Come ha detto Marotta, vedere il sostegno della tifoseria nonostante uno scudetto perso è “una pagina rara nella storia del calcio”. C’era qualcosa di mistico, in quegli sguardi fra giocatori e pubblico. La rabbia, il rammarico, il rimpianto di non avercela fatta, certo. Le lacrime di Lautaro, Dimarco che singhiozza inginocchiato con Barella a consolare tutti, gli occhi lucidi di Ranocchia che, al passo d’addio con l’Inter, ci teneva a chiudere con lo scudetto. Ciò che fa male è la sensazione che, mai come stavolta, sarebbe potuta andare diversamente. Poi, però, c’è anche l’orgoglio. L’orgoglio di essere partiti in un clima drammatico, attraversando l’estate segnata da smobilitazioni e disinvestimento da parte della proprietà. L’orgoglio di essere rimasti comunque competitivi, nonostante gli scenari sembrassero davvero cupi. Ma soprattutto, l’orgoglio di poter contare sulla tifoseria più bella del mondo. Una tifoseria che ha capito il momento, ha capito che stare vicina alla squadra sostenendo chiunque e in ogni circostanza era l’unica strada possibile per uscire dalle secche e dal ridimensionamento voluto dalla proprietà. Non ridimensioneremo mai la nostra passione.
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Da dove si riparte?
In casa Inter, adesso, comincerà la preparazione della prossima stagione. È a quella che vogliamo pensare, mettendo da parte le giuste celebrazioni del Milan per questo titolo (e sperando che passino in fretta…).
Beh, i nerazzurri ripartono sicuramente da due titoli. Sì, è stato perso quello più importante e fa malissimo, ci vorrà del tempo per metabolizzare l’accaduto e ribadiamo che – come disse Conte nel 2020 – “il secondo è solo il primo dei perdenti”. Giustissimo. Ma c’è anche un’altra prospettiva da esplorare, ovvero che anche in una stagione partita sotto il segno delle incertezze dopo un mercato caratterizzato da un saldo attivo senza precedenti, l’Inter continua a vincere, seppur titoli di minor caratura. I nerazzurri ripartono da una base di giocatori assolutamente valida: Skriniar, Bastoni, Brozovic, Barella e Lautaro. Sono cinque intoccabili dai quali ricominciare, per ritornare a vincere il titolo più importante. L’Inter riparte da 84 gol fatti nonostante un reparto d’attacco abbastanza deficitario, Toro a parte. Sarà bene, però, che i nerazzurri ripartano anche dall’individuazione e dalla comprensione degli errori commessi: troppe volte, in questa stagione, il Milan ha dimostrato di avere più fame nei momenti clou, oltre che una miglior capacità di reagire alle avversità (il pareggio di Arnautovic a Bologna ha paralizzato l’Inter, perché?). Lo stesso Inzaghi ha inevitabilmente pagato lo scotto del primo anno in una big, nonostante un ottimo impatto e un buon lavoro (84 punti totali non sono pochi) commettendo diversi errori nei cambi (derby di ritorno), nella preparazione dei match (Dimarco su Arnautovic a Bologna), nelle scelte gestionali (troppi dubbi sui rigoristi). Avrà tempo per migliorare, a patto che faccia tesoro dell’esperienza.
Mercato: cosa ci aspetta?
Detto dei meriti e demeriti, bisogna anche sottolineare che questa rosa ha dimostrato più volte di non essere attrezzata per la tripla competizione, anzi. Il portiere e l’attaccante da affiancare a Lautaro sono stati due problemi apicali, ma anche l’impossibilità di sostituire degnamente i vari Barella, Brozovic e Calhanoglu. Insomma, l’Inter ha bisogno di migliorarsi, di implementare la sua struttura. Non esiste cedere i pezzi migliori (i cinque intoccabili citati prima, per intenderci). Sarebbe un’altra grave mancanza di rispetto verso i tifosi nerazzurri in primis e verso la gloriosa storia di questo club, dopo quanto accaduto l’anno scorso con il mega-incasso e il mini-reinvestimento sul mercato che ha inevitabilmente depotenziato l’Inter. Bravissimo Inzaghi, bravissimi i giocatori ad aver limitato i danni chiudendo con soli 7 punti in meno rispetto alla squadra campione d’Italia. Ma adesso basta, basta chiedere insostenibili miracoli ai dirigenti, specialmente in un’estate in cui Juventus, Milan, Roma e chi più ne ha più ne metta punterà a rinforzarsi (com’è sacrosanto che sia), non a continuare un’inesorabile opera di disinvestimento.
Ogni discorso sull’Inter futura, sulla programmazione degli obiettivi, passa necessariamente dalle strategie di Suning. Se dovesse arrivare una nuova ondata di smantellamento, allora sarebbe ingiusto chiedere a Inzaghi di vincere il campionato. Il tecnico piacentino, d’altronde, ieri ha cambiato strategia comunicativa rispetto all’intera stagione, affermando che si vedrà con la società e “bisogna fare le cose fatte bene“. Ne ha tutto il diritto, essendo arrivato nella tempesta. Non ce ne meritiamo un’altra. Non la merita la tifoseria più bella del mondo.