Dopo 4 anni e 9 mesi, l’Inter torna a perdere un derby di campionato. Lo fa al termine di due settimane surreali, nelle quali ad Appiano si sono allenati soltanto 5-6 effettivi della rosa di Antonio Conte, fra giocatori impegnati in nazionali e casi Covid. Ma brucia lo stesso. Esattamente come ogni derby perso.
Una sensazione che i tifosi nerazzurri avevano piacevolmente accantonato e che si ripresenta in un pomeriggio di metà ottobre. Il risultato più giusto, probabilmente, sarebbe stato un pareggio, ma è giusto rendere onore ad un Milan che – seppur inferiore sulla carta – ha disputato un’ottima partita, limitando le qualità dell’Inter e sfruttandone i difetti. Come una fase difensiva che non si può fare a meno di definire sciagurata, perché ogni altro aggettivo sarebbe riduttivo. La sensazione è che prima o poi dovesse succedere – di perdere un derby – e certamente i tanti problemi evidenziati dall’Inter in queste prime quattro giornate hanno facilitato la realizzazione di questo nefasto evento.
Troppi equivoci
Non si può che partire dalla difesa, come detto. Perché l’Inter segna solo un gol ma riesce comunque a creare una buona dose di occasioni, e non le mancano gli uomini per far male ad ogni difesa avversaria. Tuttavia, se in attacco si può parlare di sfortuna, la fase di non possesso è invece un pieno demerito. Partiamo da una semi-certezza: le assenze di Skriniar e Bastoni hanno pesato e tanto. Specialmente visto lo slovacco a Roma contro la Lazio quindici giorni fa, quando aveva dimostrato di essere in una fase di crescita anche nel sistema a tre. Ma è l’assenza dell’italiano a pesare un macigno, perché Kolarov assume i contorni del “pericolo pubblico” per i tifosi nerazzurri e per tutti i suoi compagni. La sua prestazione è un autentico incubo.
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E non c’è solo l’insensata scivolata con cui travolge un Ibrahimovic spalle alla porta causando il calcio di rigore che spezza il buon approccio dell’Inter; non c’è solo il clamoroso errore con cui si perde lo stesso svedese sullo 0-2. C’è una partita in perenne affanno e continue voragini concesse ai giocatori del Milan, che si divertono in ripartenza con soli due-tre passaggi. Se poi nelle fila degli avversari milita probabilmente il giocatore più dominante nella storia della Serie A, diventa un film horror. Il ruolo di Kolarov all’interno di questa Inter, così come il suo acquisto, continua ad essere oscuro: da terzo in difesa è palesemente inadeguato e contemporaneamente non ha più la capacità fisica per poter fare il quinto. Ma allora, perché Kolarov? Enorme punto di domanda.
E come non parlare di Marcelo Brozovic. Quella vista ieri è stata una delle peggiori versioni da giocatore dell’Inter. Svogliato, indolente, demotivato: in fase di possesso fa il compitino e spesso spreca regalando palloni sanguinosi agli avversari, in copertura è totalmente nullo, girovagando per il campo senza obiettivo alcuno. Il timore, che diventa sospetto, che a sua volta diventa quasi sicurezza, è che – conoscendo la sua storia nerazzurra -questo giocatore abbia bisogno di avvertire totale fiducia dall’allenatore e di essere al centro del progetto tecnico. Ciò che ne aveva fatto Spalletti, per intenderci, nella seconda parte della stagione 2017-18. Ed infatti, da quel momento, abbiamo assistito al miglior Brozovic interista. Il croato non è un giocatore da turnover, probabilmente non lo sarà mai, per una questione di tenuta mentale. L’altro grande equivoco porta la stessa bandiera e si chiama Ivan Perisic. Conte continua a lodare le sue prestazioni, ma il campo per ora dice altro. L’accoppiata di sinistra con Kolarov è terrificante, fa brillare gli occhi agli avversari. La sensazione è che ci si possa permettere uno solo dei due su quella fascia. Anche ieri, enormi voragini concesse – vedi azione del rigore milanista – e banali errori in fase di possesso, come quando non serve Hakimi libero in area per tentare la solita, eterna, infinita giocata con cui tenta di liberarsi per il cross. Visto, rivisto, stravisto.
E poi c’è l’equivoco per eccellenza: Christian Eriksen. Se già erano state di cattivo gusto le dichiarazioni rilasciate dal ritiro della Nazionale danese, lo diventano ancora di più nel momento in cui entra in campo in un derby in cui l’Inter è sotto ed il suo apporto è totalmente nullo. In alcuni casi c’è da mettersi le mani nei capelli, come quando sbaglia un controllo elementare regalando palla al Milan. Le occasioni, e i minuti in campo, non piovono dal cielo: all’Inter, così come in tutte le grandi squadre, i minuti si guadagnano. All’Inter non esiste il diritto divino.
Stremati
Nell’Inter di ieri, però, ci sono anche note positive. Una su tutte è il numero 23, ormai vicinissimo alla definizione di top player. Nicolò Barella gioca una partita sontuosa, incarnando alla perfezione quello che dovrebbe essere lo spirito interista, specialmente in un derby. È ovunque ed è impressionante come riesca a disimpegnarsi efficacemente, abbinando alla grande qualità e quantità. L’emblema delle condizioni generali dell’Inter, però, sta proprio nella sua prova e soprattutto nell’appannamento fisiologico cui va incontro negli ultimi 10-15 minuti di match, quando letteralmente non ne ha più e sbaglia palesemente alcune scelte a causa di una lucidità che comincia a scarseggiare. Arturo Vidal appare sulle gambe ben prima, ma qui incide la questione anagrafica: affrontare un viaggio intercontinentale, dopo due partite giocate per intero con il suo Cile, è davvero impegnativo. Specie se si tratta di un derby. Lo stesso accade ad un altro sudamericano, Lautaro Martinez, che gioca un primo tempo spettacolare ma cala vistosamente alla distanza, arrivando quasi a scomparire nel forcing finale. Al quale invece partecipa Romelu Lukaku, che va a strappi ed è sempre il centro-boa della manovra nerazzurra, ma che con il passare dei minuti perde di colpi. E così l’Inter, già intorno al minuto 70, sembra non averne più.
E così fra errori ingenui, enormi equivoci tecnico-tattici, numerose assenze, un pizzico di sfortuna e mettiamoci anche alcune strane decisioni arbitrali, come quella di non espellere Kessié già ammonito per un fallo da rosso su Hakimi (addirittura non fischiando fallo), i fattori che si allineano per decretare una vittoria del Milan nel derby diventano tanti. Forse troppi e incontrovertibili, per non pensare che dovesse andare così. Non è il primo derby perso – nonostante ci fossimo dimenticati che effetto facesse – e non sarà l’ultimo. È banale, ma alla fine della fiera conta tre punti. Ciò che conta davvero sono i titoli in bacheca a fine stagione. E per raggiungerne almeno uno l’Inter dovrà cominciare a risolvere i suoi equivoci. Solo così potrà ricominciare a coltivare le sue ambizioni.