Quando, tra 30/40 anni, i nipoti chiederanno ai nonni interisti chi fosse quell’uomo venuto dal Portogallo, probabilmente li vedranno versare qualche lacrima e sentiranno di una storia leggendaria conclusasi con il sogno più bello. Si sentiranno raccontare di un capopopolo che ha saputo rappresentare un intero gruppo di tifosi. Sentiranno questo e molto altro. Una storia d’amore che, ad un certo punto, s’è interrotta.

Storia d’amore per cuori forti

Era il 2 giugno del 2008. L’Inter, dopo il campionato vinto nel diluvio di Parma, aveva divorziato da Mancini e s’era fatta sedurre da un tecnico portoghese. Un passato da eroe al Porto, con una Champions vinta, ed una consacrazione a Stamford Bridge: questo il palmares immateriale di questo signore proveniente da Setubal. Già dall’intervista di presentazione è amore a prima vista. L’affermazione “…io non sono pirla” con quell’accento particolare diventa subito iconica nel mondo nerazzurro. La prima stagione nerazzurra è vissuta un po’ tra alti e bassi. Cammino pressoché perfetto in campionato con la vittoria del titolo. Nelle coppe la squadra non va come immaginato. In Champions esce agli ottavi contro il Manchester United. In Coppa Italia si ferma alla semifinale con la Sampdoria di Cassano e Pazzini.

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Proprio legata alla semifinale con la Sampdoria si collega la seconda massima diventata iconica. Quello “Zeru tituli” diventato slogan preponderante nel tifo nerazzurro. Usato come presa in giro verso “gli altri“, mai come ora inteso in senso generale. Una sorta di Inter contro tutti. In estate la rivoluzione. Via Ibra, dentro Eto’o. Arrivano anche Lucio, Motta, Milito e Sneijder. Il risultato? Leggenda. Campionato, Coppa Italia e Champions League portate a casa. Avversari spazzati via senza possibilità di replica. Chelsea, Cska Mosca, Barcellona e Bayern. Tutti campioni dei loro rispettivi campionati, tutti superati nella corsa alla Coppa dalle grandi orecchie.  Poi l’addio subito dopo la finale. Senza neanche tornare a Milano. Mourinho rimane a Madrid. Firmerà con i blancos.

Un addio, le cui modalità di compimento, che i nerazzurri hanno fatto fatica a digerire e tutt’ora, seppur riconoscenti, pensano con amarezza al post Madrid, a cominciare dal tecnico che piange sulla spalla di Matrix.

Un legame indissolubile

Quella di Mourinho e l’Inter è stata la più classica delle storie d’amore che, ad un certo punto, è dovuta finire. Paradossalmente è finita perché entrambi si amavano troppo e si era arrivati ad un punto in cui sarebbe stato meglio vivere un dolce ricordo che un’amara fine di rapporto. Mourinho, al contrario di quanto da lui detto, non tornerà mai all’Inter. Sarebbe rischioso per entrambi. A volte riprovare una relazione equivale a fallire. Mou ha perso il suo essere Mou di un tempo. Quello che stiamo vedendo alla Roma è un parente lontano di ciò che è stato in nerazzurro.

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Lo Special One è stato l’emblema della lotta alla prostituzione intellettuale. Il gesto delle manette rappresentato da più parti ne è il simbolo. Il voler difendere l’Inter, la sua Inter, e il voler focalizzare, nei momenti negativi, l’attenzione su di sé rimarranno sempre impressi nella memoria dei tifosi che amano l’Inter.

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Inter Roma appunto. Il destino ha voluto quest’accoppiamento ai quarti di Coppa Italia. Ha voluto anticipare di un paio di mesi il ritorno di José in quella che è stata la sua casa per due stagioni fantastiche, una praticamente irripetibile. E’ facile prevedere che l’accoglienza sarà strappalacrime per il vate di Setubal. Qualcuno piangerà nell’irrazionalità di un sentimento che va oltre il rapporto tifoso-allenatore. E’ normale ciò avvenga. Nessuno può modificare la realtà e, soprattutto, la storia. E’ avvenuto lo stesso nella gara di campionato a Roma. Sarà ancora meglio a San Siro, casa e fortino nerazzurro. Un accoglienza che deve finire al fischio d’inizio ed, eventualmente, proseguire dopo con i ringraziamenti. Nel mezzo c’è una partita da vincere per andare oltre i quarti di Coppa Italia e, soprattutto, oltre un derby perso malamente per vivere un’altra stagione da protagonisti.

Perché Mou rimane Mou, la nostra storia d’amore rimane la nostra storia d’amore, ma come non è pirla lui, non siamo pirla neanche noi.

Scrivere è bello. Farlo parlando della propria squadra del cuore credo sia la massima aspirazione per chiunque sogni di fare questa professione.