Se il calcio è lo specchio di questo Paese, l’attuale situazione di totale emergenza destinata a rimanere negli annali si è riflessa ampiamente sulla partita di ieri sera. E non ci riferiamo soltanto al Derby d’Italia in sé, alle porte chiuse, ma anche all’avvicinamento al match: da parte della quasi totalità dei tifosi di ambo le parti, zero entusiasmo e zero tensione. Il fatto che l’ipotesi di sospendere il campionato (già martedì?) si faccia sempre più concreta ha sicuramente inciso a livello motivazionale in tutti quegli amanti del calcio che da mesi avevano cerchiato in rosso la data di Juventus-Inter, poi posticipata (senza un senso) di una settimana. Non sappiamo cosa verrà deciso, e non sentiamo neanche di poter affermare quale sia la decisione corretta: da un lato c’è il principio del the show must go on (specie alla luce del fatto che, se molte aziende non si fermano, potrebbe essere scorretto che sia un mondo miliardario come quello calcistico fermarsi), dall’altro c’è una situazione irreale che ci dice che questo non è più calcio.

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Parlare di campo diventa veramente complicato, ma tenteremo di rispettare le linee guida dei consueti editoriali post-match. Partendo da un dato inconfutabile: l’Inter ha perso a Torino, ed ha perso male. Molto male. Vero che nel primo tempo i nerazzurri si sono resi pericolosi mettendo in alcuni frangenti anche sotto un avversario nettamente più forte, ma aver spento totalmente la luce dopo il gol dell’1-0 di Ramsey è troppo grave. È sintomo di una squadra troppo, troppo fragile e poco sicura dei propri mezzi. L’Inter ha terminato la propria partita dopo 55 minuti, con ben 35 minuti più recupero da disputare: gravissimo. Da quel momento in poi, gli uomini di Sarri (che da sempre fa della gestione del pallone un suo punto di forza) hanno praticamente impedito a quelli di Conte di rivedere la sfera, trovando anche il raddoppio con un gol straordinario di Dybala e facendo accademia per il resto della partita.

INVOLUZIONE

La squadra di Antonio Conte conferma di essersi involuta. Sia nei singoli che nel collettivo. Ed ancora una volta, gennaio ha rappresentato un mese spartiacque, con i tre pareggi consecutivi che avevano dato i primi segnali negativi. La vittoria nel derby ha rappresentato un’effimera speranza – quella di continuare a lottare seriamente per il titolo – spenta presto dalla doppia sconfitta con Napoli e Lazio fra Coppa Italia e campionato. Già, proprio Lazio-Inter, in data 16 febbraio, rappresentava l’ultima partita disputata dai nerazzurri in Serie A. Le tre settimane di stop, con molti interpreti che non giocavano da allora, sono state sicuramente un fattore negativo nell’economia della stagione nerazzurra. Vero che il riposo fa bene, ma il confine fra riposo e perdita della tenuta mentale e fisica può essere molto flebile. Parlando di singoli, l’involuzione è evidente, e bisogna avere il coraggio di esporre verità scomode: la stagione di Skriniar è negativa; Barella ieri ha giocato una pessima partita e dopo l’infortunio di fine novembre non è più riuscito a tornare sui suoi livelli; Vecino ha dimostrato, dopo un paio di buone partite, di non meritare la titolarità nell’Inter; Lukaku ha fallito ancora una volta in uno scontro diretto, e stavolta non solo in termini realizzativi, perché la sua prova è stata orribile; Lautaro dopo la squalifica non è più stato quello che conoscevamo (le voci sul Barcellona avranno inciso? Qualche dubbio viene), e ieri in particolare è stato sinceramente irritante. L’involuzione riguarda i singoli ma, come detto, anche il collettivo: la squadra che avevamo conosciuto fino a gennaio, con uomini capaci di lottare, sudare e sacrificarsi gli uni per gli altri, senza mai mollare, ad oggi è un lontano, lontanissimo ricordo. E, lo ripetiamo, non è la sconfitta contro a Torino contro la Juventus a portarci a conclusioni così nette: che i bianconeri siano ancora nettamente superiori non ci piove, ma perdere senza neanche provarci concretamente, senza mostrare anima e orgoglio è francamente imperdonabile.

Non possiamo esimerci dal muovere delle critiche anche a chi quella creatura vista fino a gennaio l’ha diretta con maestria, ma che oggi non sta riuscendo a risollevarla in un momento difficile: Antonio Conte. Era lecito, francamente, aspettarsi qualcosa in più da un tecnico del suo calibro. Ci si aspettava che una sua squadra non precipitasse come al solito da gennaio in poi; ci si aspettava un salto di qualità negli scontri diretti anche a livello mentale; ci si aspettava continuità, ambizione e determinazione anche dopo il girone d’andata. Bisogna prendere la situazione per quella che è: paradossale. Così come paradossale è stato, per Conte e i suoi uomini, ritrovarsi a -8 in due settimane in cui non hanno potuto giocare. Psicologicamente pesa, sicuramente. Ma era lecito aspettarsi che questo deficit fosse colmato proprio da chi, i deficit, ha saputo trasformarli in motivazioni extra, come nel momento in cui ha gestito ottimamente l’emergenza infortuni fino a poche settimane fa.

EQUIVOCO ERIKSEN

L’equivoco più grande riguarda senza dubbio l’utilizzo di Christian Eriksen, anche ieri in panchina. Non che la prova del danese, una volta subentrato, sia stata da ricordare, anzi, si è adeguato alla mediocrità. Tuttavia, l’equivoco deve essere chiarito una volta per tutte. Non è un caso che Conte, per il suo centrocampo, a gennaio volesse Arturo Vidal. Eriksen non è una mezzala, non è il tipico centrocampista tutto corsa, inserimenti e qualità che Conte desidera. Ed è per questo che il danese, per entrare nel sistema Conte, necessita di un’estate di lavoro. Ma Eriksen ora non può trasformarsi in un problema e soprattutto non può essere causa di malumori interni. Anche perché, se fosse stato contrario al suo acquisto, Conte avrebbe dovuto dirlo chiaramente alla proprietà nel momento in cui stavano per acquistarlo. Le continue frecciate alla società durante il mercato di gennaio non sono state casuali. E Conte potrebbe anche avere alcune ragioni: inspiegabile, per esempio, il mancato acquisto di un quarto attaccante per sostituire Politano, con l’Inter che ora si ritrova Lukaku e Lautaro (entrambi fuori forma) più Sanchez (tutto fuorché una garanzia da un punto di vista fisico). Se ci sono malumori, se ci sono dissapori, se ci sono incomprensioni è però giusto che queste vengano affrontate nel momento opportuno e nelle sedi opportune, prima di cominciare una seconda stagione insieme. L’Inter ha bisogno della versione migliore di Antonio Conte, quella vista fino a gennaio, quella che ci aveva fatto innamorare. Quella di ora sembra una copia sbiadita e appannata. Serve ritrovarlo, perché il vero Conte resta l’allenatore giusto per questa Inter in questo momento storico.

EPILOGO

Questione di epiloghi. L’Inter abbandona la corsa scudetto e lo fa tristemente, fra i rimpianti, pensando a quello che poteva essere e non è stato. Vincere il titolo non è mai stato un obbligo per i nerazzurri, vista la consistente differenza con la Juventus. Quello che stona, semmai, è il distacco nei confronti della Lazio, che lavora sì con la stessa base di giocatori ed allenatore da quattro anni, ma che a livello di rosa non è superiore all’Inter. Mollare così, senza orgoglio, senza lottare, è francamente molto triste. Così come triste (ma forse necessaria) potrebbe essere la decisione di martedì, ovvero quella di sospendere il campionato. In quel caso, l’epilogo non riguarderebbe solo la corsa scudetto, ma l’intera stagione, almeno in campionato. È un’ipotesi che solo qualche giorno fa sembrava catastrofica, ma oggi più che mai vicina e tremendamente concreta.

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24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.