Ennesima serata da manicomio, ennesima serata che lascia enormi dubbi sulla tenuta mentale di questa squadra, che continua ad alternare momenti di blackout totale a momenti di ferocia agonistica. Francamente, la situazione comincia a prendere i tratti dell’enigma. Quasi inspiegabile. L’unica certezza è che l’Inter esce da Verona con la sensazione di aver buttato altri 2 punti. Non tanto per la mole di gioco espressa, quanto per l’ennesima dimostrazione di incapacità di mantenere un risultato di vantaggio, una costante. Neanche quando ci si trova a rimontare – per una volta – l’avversario. L’Inter viene nuovamente agganciata regalando solo illusioni, come contro il Sassuolo.
Fasi alterne
La partita si divide, come di consueto, in più spezzoni. Stavolta sono tre. Il primo si disvela subito, dopo due minuti, quando Skriniar si rende protagonista di una marcatura horror su Lazovic, facendosi saltare con una facilità disarmante e consentendogli di presentarsi davanti ad Handanovic. Non un rientro convincente (usando un eufemismo) per lo slovacco, reduce da tre giornate di squalifica dopo l’espulsione rimediata contro il Sassuolo. Per tutto il primo tempo l’Inter fatica, il Verona va ad una marcia in più ed il motore nerazzurro, Brozovic, appare totalmente spento.
L’unica soluzione è cercare Lukaku spalle alla porta, che fa quel che può. Ed è proprio da questa capacità del belga che arriva l’1-1, all’inizio del secondo tempo, con Candreva che ribadisce in rete il tiro di Big Rom, stampatosi sul palo. Questo apre un’altra fase della partita, nella quale l’Inter è vivace e cerca con grande insistenza la rete del vantaggio, che arriva grazie all’autorete di Dimarco. Ma da qui in avanti, ecco la fase 3, con gli uomini di Conte ancora una volta incapaci di gestire una situazione di vantaggio. Ma qui è doveroso aprire un’altro grande tema della partita.
Cambi: perché aspettare il 2-2?
Alzi la mano il primo tifoso nerazzurro che non ha notato che l’Inter, fra il 70′ e l’80’, non avesse disperatamente bisogno di forze fresche dalla panchina. Ed in particolare, Borja Valero era in palese carenza d’ossigeno, arrivando a camminare per il campo. Troppo esperto Conte, però, per non essersi accorto che la squadra avesse bisogno di una scossa per mantenere il risultato. E allora non si fa peccato a pensare che il tecnico salentino non si sia fidato degli uomini a disposizione in panchina. Eriksen – del quale Borja ha preso il posto nella formazione iniziale – era immaginato da tutti come il sostituto ideale. Non che, nei 10 minuti scarsi che ha disputato, si sia fatto rimpiangere. Le uniche azioni di cui si è reso protagonista si sono concluse con due passaggi clamorosamente sbagliati. E allora, se non Eriksen perché non Agoumé? Di sicuro, mantenere Borja in campo (comunque encomiabile per l’impegno proferito) nel finale di partita equivaleva a giocare in dieci, o quasi. E tutta la sua stanchezza si è palesata sul gol di Veloso, perso colpevolmente proprio dallo spagnolo. Insomma, viene da pensare che la scelta di Conte sia stata in qualche modo ideologica. Eriksen non è ancora entrato nei suoi meccanismi. Ma nello stesso tempo, in una situazione di vantaggio non ci si può assolutamente permettere di difendere con un uomo di centrocampo palesemente senza energie. Specie se hai cinque cambi a disposizione. Ai confini dell’inspiegabile.
Conte: parole ambigue
Se il post-partita di Inter-Bologna era stato infuocato negli spogliatoi, quello di ieri ha visto protagonista Antonio Conte, le sue allusioni, il suo detto e non-detto. Il tecnico dice “a fine anno farò le mie considerazioni e il club farà le sue. Dirò le mie cose al club, tutti vogliono vincere ma bisogna capire quanto si è lontani dal poter vincere. Magari uno la pensa in un modo, un altro la può pensare in maniera diversa”. Di sicuro non sono parole di un uomo certo di restare anche per l’anno successivo. Quel che serve, a fine stagione, è una riunione a tavolino fra Conte, la dirigenza e la proprietà. Solo attraverso un dialogo costruttivo, nel quale scrutarsi a vicenda, capire vicendevolmente le ambizioni, le motivazioni, gli obiettivi e come perseguirli, sarà possibile stabilire se Conte sarà l’allenatore per la stagione 2020-21. Di sicuro, serve che ci sia piena unità d’intenti fra lui e la società, altrimenti si rischia di andare incontro ad un’annata caratterizzata dalle polemiche e dalle incertezze. La personalità del tecnico non è delle più pacate, lo stile della proprietà non è di quelli propriamente malleabili. Servirà l’abilità di Marotta nel mediare. Di sicuro a Conte non sono piaciute alcune scelte sul mercato, come il mancato arrivo di Dzeko e di Vidal, che il tecnico riteneva imprescindibili per vincere. Adesso servirà programmare, senza rancori ma con chiarezza. E prendere le decisioni di cui Conte parla.
Conclusioni
Solito copione, solite montagne russe. Questa squadra non ha completamente mollato – altrimenti non ci sarebbe stata la reazione d’orgoglio di inizio secondo tempo – ma non dà neanche l’idea di essere totalmente sul pezzo. Ora l’Inter è quarta, ma ha l’obbligo di migliorare la posizione anche per il confronto con quella della passata stagione. La sensazione è che, comunque vada, si andrà incontro ad una serie di riflessioni e di conseguenti decisioni che potrebbero fare da spartiacque nella storia recente dell’Inter. C’è solo da vedere in quale lato del mare finirà il progetto nerazzurro: quello in cui si annega o quello che conduce a riva, volgendo lo sguardo verso una meravigliosa isola di trionfi?