Dopo gli ultimi quattro successi (Lazio, Milan, Genoa e Parma) nei quali c’era da recuperare o allungare sulle inseguitrici, l’Inter di ieri sera era chiamata ad un’altra grande prova di maturità: resistere alla pressione di Milan e Juventus, uscite vincitrici rispettivamente contro Verona e Lazio, e ristabilire le distanze. L’avversario non era esattamente dei più semplici, anzi: l’Atalanta di Gasperini, realtà consolidata e straordinaria del nostro calcio, rappresentava la grande speranza per i rivali di guadagnare terreno sull’Inter di Conte. Gli orobici avevano battuto tutte le big meno la Juventus, alla quale avevano comunque portato via due punti allo Stadium, e per questo erano considerati come una sorta di garanzia per l’avvicinamento biancorossonero in classifica. Nonostante i pochi giorni per preparare una sfida impegnativa, una vera battaglia tattica, l’Inter è riuscita a uscire vincitrice e prendersi tre punti vitali.

Barricate?

Una frase viene spesso ripetuta ogni qualvolta si parla della squadra di Gasperini: “Se l’Atalanta è in giornata, può battere chiunque“. È vero. Lo ha dimostrato anche recentemente, vincendo nettamente a Liverpool. Ebbene, ieri sera l’Atalanta era in giornata. Brutta notizia per l’Inter, che però ha limitato i danni da grande squadra. Conte ha lasciato volutamente il possesso palla agli avversari, organizzando una fase difensiva straordinaria nella quale tutti gli interpreti nerazzurri sono stati chiamati in causa e contando sulle ripartenze in fase offensiva. Ecco, se in difesa l’Inter è stata pressoché impeccabile, è davanti che ha fatto fatica, anche nel primo tempo, quando è riuscita raramente a saltare il pressing atalantino di centrocampo e a rifornire di palloni giocabili le punte e gli effettivi offensivi. Hakimi e Gosens si sono limitati a vicenda, Perisic è riuscito ad avanzare di rado, mentre il terzetto di centrocampo titolare Barella-Brozovic-Vidal ha dovuto battagliare con i pari reparto orobici perdendo fisiologicamente lucidità nell’impostazione dell’azione. Lautaro è riuscito a regalare qualche giocata di pura classe a far respirare l’Inter, mentre Lukaku è stato protagonista di un enorme lavoro per la squadra nel primo tempo, dove ha fatto come al solito da catalizzatore di palloni, lottando all’ultimo sangue con Romero, Djimsiti e Toloi ma risultando spesso impreciso nello smistare palla dopo averla fatta sua e in difficoltà nel mantenerla nel secondo tempo.

Big Rom si è trovato due volte davanti a Sportiello, nel primo e nel secondo tempo, sullo 0-0 e sull’1-0, ma in entrambi i casi ha provato a portarsi palla sul sinistro, nonostante – almeno nella prima occasione – avrebbe potuto comodamente servire Hakimi libero alla sua destra. Sono state due occasioni enormi per i nerazzurri che però, non essendosi concretizzate in tiri verso la porta, non rientrano nelle statistiche, che parlano di un tiro in porta per gli uomini di Conte. Lo stesso dicasi per un paio di contropiedi invitanti in situazioni di 3 vs 3 nei quali è stato Lautaro a risultare impreciso. Il dato è quindi parziale, però racconta una partita di grande sofferenza  ma anche di una capacità difensiva eccezionale. Perché dall’altra parte l’Atalanta si è resa davvero pericolosa nel primo tempo con due colpi di testa da calcio d’angolo (di Zapata e Djimsiti), mentre nella ripresa ha concluso una sola volta verso la porta con Muriel, oltre alle conclusioni fuori dallo specchio di Zapata e Pasalic. Non è stato un tiro al bersaglio, quindi. È stata semplicemente una partita in cui l’Inter ha deciso di lasciare il pallino del gioco in mano ai rivali e di giocare una partita coperta. E come darle torto, visti i risultati dell’ultima big che aveva provato a giocarsela a viso aperto: parliamo del Milan che, sempre a San Siro, era stato distrutto con il punteggio finale di 0-3. Al tempo stesso, è giusto riconoscere che in fase offensiva non è andata esattamente come Conte si auspicava, complice un Lukaku appannato fisicamente e tecnicamente. L’Inter ha accettato la situazione, ha indossato l’elmetto, è andata in trincea, ha messo su una fase difensiva che ricordava le squadre (vincenti) di Trapattoni Mourinho e ne è uscita con il bottino pieno. Un grande ostacolo superato, una partita in meno alla fine (ora ne mancano 12). E, se si parla di difesa granitica, è giusto celebrarne i padroni.

Un terzetto da sogno

SkriniarDe Vrij Bastoni si confermano signori della difesa e guidano la truppa di Conte verso il successo, limitando le offensive del secondo miglior attacco del campionato e costringendoli a soluzioni forzate. Lo slovacco lotta con Duvan Zapata in una sfida fra titani, qualche volta va in difficoltà ma regge l’urto; l’olandese le prende tutte di testa, solo una volta si fa anticipare dal colombiano ma ci pensa Handanovic; l’italiano è spesso bloccato in fase di impostazione dal pressing degli avversari ma in fase difensiva è impeccabile. Ma c’è di più, perché il trio difensivo dell’Inter diventa letale anche quando c’è da offendere, dal momento che il gol nerazzurro vede una partecipazione totale e collettiva: De Vrij fa la sponda, Bastoni anticipa l’avversario e guadagnerebbe anche rigore se non fosse che Skriniar coglie l’occasione da bomber puro e la mette all’angolino. La rete dell’1-0 è quindi emblematica nel sottolineare quanto questa squadra sia totale e unita, con i difensori che – in una delle serate più impegnative del campionato – si rendono protagonisti anche di uno dei gol più importanti della stagione.

Eriksen diventa operaio

Quante volte si è detto, anche a ragione, che Christian Eriksen non è cattivo in fase difensiva, non contribuisce adeguatamente e partecipa solo quando c’è da impostare, rifinire o concludere? Tante, tantissime. Ebbene, ieri il danese – inizialmente in panchina – entra e mostra un atteggiamento nuovo, aggressivo, deciso e finalmente cattivo. Entra nell’azione del gol battendo un corner pericoloso, una delle sue specialità, ma la bellezza della sua partita e la dimostrazione della sua trasformazione in giocatore contiano arriva successivamente, quando c’è da difendere il risultato. Recupera palloni, anticipa gli avversari, morde le caviglie, spazza quando è necessario farlo nonostante piedi raffinati: Eriksen si è trasformato, non è più quel calciatore avulso da una squadra che fa del sacrificio e della lotta i suoi cardini, ne è parte a tutti gli effetti. La qualità resta, ovviamente, ma la grandezza del danese si estrinseca nel fatto che riesce a capire i momenti della partita e a “buttarsi nel fango”, a fare la lotta, se necessario. Un altro simbolo di questa Inter che sogna il grande trionfo.

Buon compleanno, Inter!

Non c’era modo migliore per celebrare il 113esimo compleanno del club nerazzurro. La squadra di Conte ha onorato la storia, costellata di vittorie basate sulla lotta, sul sacrificio, su una grande difesa e su un collettivo unito, nel quale ognuno lotta per gli altri in funzione del risultato. Un esempio è rappresentato da Lautaro Martinez, che ieri sull’1-0 si è spostato in posizione di esterno per coprire le avanzate furiose degli avversari. Il paragone con Eto’o ovviamente è azzardato in termini di carriere ma è calzante nella misura in cui un attaccante puro copre tutta la fascia in nome dell’obiettivo: vincere la partita per vincere un titolo. L’Inter di Conte ha reso onore alla storia e vuole continuare a farlo, proseguendo una cavalcata emozionante e dirompente. Prossima battaglia domenica prossima, a Torino contro i granata, ore 15. Per continuare a sognare.