La nazionale di Mancini

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Una volta, 30 anni fa, i ragazzi arrivavano alle scuole calcio tecnicamente già formati dalla strada, e rimaneva da costruirli atleticamente e tatticamente. Ora, la tecnica individuale deve essere sicuramente la implementata in altra maniera....magari lasciandoli giocare più liberamente, almeno sino a quando non si inizierà a fare sul serio.

Al momento, troppe scuole calcio che allevano troppi polli da batteria. Ci servono i Galli ruspanti....

I tempi sono cambiati, il calcio è cambiato. Tutti i giorni vedo e sento in questo ambiente robe da far rizzare i capelli, è aumentato lo stress, oggi tutti vogliono arrivare a qualsiasi costo e la maggior parte immeritatamente (Pay) ponendo forzatamente tutti gli aspetti tecnici ed atletici in secondo piano. I talenti nei dilettanti e gli scarponi nelle società professionistiche, da qui si parte per far morire definitivamente il calcio in Italia, paese storicamente in mano ai compromessi e corruzione.
 
I tempi sono cambiati, il calcio è cambiato. Tutti i giorni vedo e sento in questo ambiente robe da far rizzare i capelli, è aumentato lo stress, oggi tutti vogliono arrivare a qualsiasi costo e la maggior parte immeritatamente (Pay) ponendo forzatamente tutti gli aspetti tecnici ed atletici in secondo piano. I talenti nei dilettanti e gli scarponi nelle società professionistiche, da qui si parte per far morire definitivamente il calcio in Italia, paese storicamente in mano ai compromessi e corruzione.
Capisco perfettamente e non mi meraviglio.
 
questa è l'era di chi ha sempre provato a giocare a calcio
pur non avendo i campioni
pur non avendo le risorse
è la rivincita del calcio contro l'anticalcio
ormai si sanno difendere pure in islanda
la mentalità italiana è finita
morta e sepolta.
noi siamo penosi perché non abbiamo mai avuto la cultura del gioco
e appena sono mancati i campioni, senza un gioco, senza la cultura, senza l'idea
siamo naufragati
i nostri calciatori sono scarsi ANCHE per colpa di quel tipo di identità.
hai ragione in molte cose...
però..perché fino a tot anni fa la nostra nidiata di campioni ce l'abbiamo avuta in ogni generazione?
addirittura la nazionale con non molto talento del passato ha pure vinto il mondiale '82 con l'identità...
è giusto quello che dici..ma noi siamo più che altro nel limbo penso.. di facciata ripudiamo il vecchio "catenaccio" ma non riusciamo a progettare nulla di nuovo.

i nostri giovani che arrivano in serie A..chiesa locatelli sono molto bravi tatticamente...pressanti, aiutano, tagliano bene...ma stop indirizzati, cross, dribbling, passaggi tutto campo...stop..

siamo nel limbo...
-o rimaniamo italiani difensivisti e alleniamo il talento di pochi.
- o cambiamo mentalità e alleniamo il talento di pochi cmq.

invece no...gli allenatori preferiscono vedere in campo un intelligenza tattica lasciando in panchina il driblomane..
e qua siamo...
 
bonaventura che dice..Non ho visto gran differenza tra noi e loro...
no no...a parte che in area ci entravano sempre...a parte che almeno 5 giocatori che fanno la giocata loro li hanno..tralasciando che facevamo fatica ad arrivare sulla 3quarti............differenze non ve ne erano...

con queste dichiarazioni da bulletto ottimista si cresce.........
 
hai ragione in molte cose...
però..perché fino a tot anni fa la nostra nidiata di campioni ce l'abbiamo avuta in ogni generazione?
addirittura la nazionale con non molto talento del passato ha pure vinto il mondiale '82 con l'identità...
è giusto quello che dici..ma noi siamo più che altro nel limbo penso.. di facciata ripudiamo il vecchio "catenaccio" ma non riusciamo a progettare nulla di nuovo.

i nostri giovani che arrivano in serie A..chiesa locatelli sono molto bravi tatticamente...pressanti, aiutano, tagliano bene...ma stop indirizzati, cross, dribbling, passaggi tutto campo...stop..

siamo nel limbo...
-o rimaniamo italiani difensivisti e alleniamo il talento di pochi.
- o cambiamo mentalità e alleniamo il talento di pochi cmq.

invece no...gli allenatori preferiscono vedere in campo un intelligenza tattica lasciando in panchina il driblomane..
e qua siamo...
Guarda vado un po' in OT(mica tanto) e vedo se riesco a a farmi capire meglio, prendendo spunto da queste parole che potremmo sostituire tranquillamente con persone che hanno/avuto a che fare con il calcio.

Nella vita di un giocatore di basket (ma potremmo parlare di qualsiasi altro sport) esistono due fasi distinte: la prima è quella delle giovanili, in cui l’insegnamento della parte tecnica costruisce le basi indispensabili per poter arrivare alla fase due. Che è quella dei campionati senior, di qualunque livello essi siano. E lì, dalla Serie D alla Nba, non ci sono eccezioni: se non hai imparato davvero a giocare... smetti. Arrivi a diciotto, diciannove anni e improvvisamente ti ritrovi a guardare le partite da bordo campo: rigorosamente lato tribuna, in mezzo al pubblico.
Nella vita di un allenatore delle giovanili ci sono due strade possibili: la prima è indicata dal cartello «Vincere!», la seconda dal cartello «Insegnare!». Più facile, molto più facile (anche se può sembrare paradossale) imboccare la prima. E infatti gli allenatori delle giovanili si dividono spontaneamente in due categorie: la prima raccoglie i numerosi seguaci del vincere ad ogni costo, la seconda, molto più sparuta, quelli dell’insegnare.
Chi appartiene alla prima categoria ha vita facile. Invece di costruire mattone dopo mattone una buona pallacanestro, cosa faticosa per chi impara ma soprattutto per chi insegna, si trova davanti una marea di semplicissime scorciatoie. Che vanno dal prendere i due o tre ragazzi più grossi e metterli a battagliare in solitaria, dicendo ai compagni di servirli che poi ci pensano loro, fino allo spiegare che basta picchiare quando l’arbitro non guarda, o almeno quando lo consente, per mettere in crisi gli avversari. Scorciatoie come insistere sui punti di forza dei bambini o dei ragazzi evitando accuratamente di lavorare per correggere gli errori, colmare le lacune, aggiungere ogni settimana un pezzo in più alla costruzione del giocatore del futuro.
Chi appartiene a questa categoria ha vita facile: perché, praticando qualcosa che assomiglia alla pallacanestro senza mai esserlo davvero, vince. Non sempre ovviamente, ma spesso. E i bambini se vincono sono felici. E se sono felici i bambini sono felici anche i genitori, che non rompono le scatole all’allenatore perché il loro Michael Jordan (incompreso dal mondo intero) ha giocato poco, viene utilizzato in modo sbagliato, viene scarsamente lodato in proporzione alla scienza cestistica che dispensa ogni volta che scende in campo.
Chi appartiene alla seconda categoria invece fa una scelta difficile, al limite della follia e dell’autolesionismo. Perde spesso e volentieri, a meno che alleni una delle poche squadre di altissimo livello che, facendo davvero selezione, scelgono i talenti fin dalla più tenera età per poi crescerli come il Dio del basket comanda.
Siccome di solito questa fortuna capita a pochi, in genere per gli adepti dell’insegnamento sono dolori: incontrano squadre di energumeni picchiatori che li battono con una certa regolarità, infarcite di giocatori che magari fanno una cosa bene, ma sempre una e sempre solo e dannatamente quella, e loro sembrano imbecilli perché non riescono a fermarli e, alla fine, il tabellone del punteggio è quello che conta.
Vanno in palestra e durante l’allenamento, invece di sedersi comodamente a dare indicazioni da bordo campo, si muovono come ossessi sul terreno di gioco per spiegare, imitare i movimenti, farli ripetere fino alla noia. Lavorano sui particolari. Dimenticano i punti di forza, o almeno li accantonano come un tesoretto intoccabile, per insistere sulle debolezze, per eliminarle, per trasformarle in mosse vincenti.
Così facendo non soddisfano i bambini, non soddisfano i genitori e si espongono alla critiche anche tecniche di chi, pur faticando a spiegare cosa sia un’infrazione di passi, al grido di «sai, io ho visto molte partite!» reclama il diritto di spiegare per filo e per segno cosa si dovrebbe fare per portare a casa il risultato. Prego, accomodarsi nel primo gruppo. Qui non c’è posto.
Gli allenatori della seconda categoria sono quelli che, rinunciando a vittorie facili, costruiscono i giocatori. Che li mettono in condizione di rendere al meglio delle proprie possibilità, indipendentemente dal livello che sapranno raggiungere. Che li portano, alla fatidica età dei diciotto o diciannove anni, a finire le giovanili e ad entrare nei campionati senior: sul campo, non lato tribuna. Protagonisti completi dello sport che amano, mentre gli energumeni picchiatori di qualche anno prima guardano tristemente seduti tra il pubblico. Oppure, nel migliore dei casi, trascinano per campetti secondari l’unica cosa che sanno fare da vent’anni morendo di invidia nel vedere dove sei arrivato. Mentre sussurrano, con un sorriso pieno di tristezza: «Pensa! Quello lì, dieci anni fa, lo battevo tutte le volte che lo incontravo...».
Ho visto di recente una partita di ragazzini tra i 13 e i 14 anni, chiusa con un divario di oltre 30 punti: al suono della sirena mi sono precipitato a felicitarmi con l’allenatore. Quello perdente. «Complimenti coach - gli ho detto stringendogli la mano-. I suoi oggi perdono, ma stanno già giocando a basket».
Gli allenatori della seconda categoria non lavorano per sé stessi, ma per il futuro: perché l’amore per quella maledetta palla arancione suddivisa in tanti spicchi possa durare il più a lungo possibile. Perché chiunque abbia giocato, o allenato, provando amore vero per il proprio sport sa che, una volta smesso, il profumo della palestra, il rumore del pallone che rimbalza sul parquet, il fruscio della retina non ti abbandoneranno. Mai. Ti accompagneranno per sempre. E avrai sempre la voglia di fare un ultimo tiro o di sederti ancora una volta sulla panchina per guidare una squadra.
Un vecchio detto cinese recita: «Se un uomo ha fame e gli regali un pesce l’hai sfamato per un giorno. Se gli insegni a pescare l’hai sfamato per la vita». A tutti noi, genitori, la libera scelta di decidere cosa vogliamo per i nostri figli.
P.S. L’inventore della pallacanestro si chiama James Naismith. È stato il primo allenatore di questo sport. In molti, al suo posto, pur di vincere avrebbero cambiato le regole ogni volta: nessuno avrebbe potuto obiettare, visto che erano una sua idea. Ha guidato per dieci anni la Kansas University vincendo 55 partite e perdendone 60. Nella storia di quella squadra è l’unico head coach ad avere un record negativo. James Naismith amava il basket.
Mattia Losi
 
La rosa è composta da gente che non è riuscita a battere la Svezia e gente che quella partita se l'è guardata da casa, che pretendi?

Bisogna davvero sperare che Spal e Fiorentina facciano un campionatone :ghigno:.

Pero` anche se siamo scarsi,dovremmo essere in grado di battere la Polonia

forse 1 come Ranieri sarebbe stato meglio

anche perche` il Mancio dal Man. City sta raccogliendo solo figuracce.
 
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