1 Maggio 1994

1 Maggio 1994

Eccomi qui.
Sono già passati ventitre anni ma sembrano passati pochi giorni.
Questa storia è iniziata prima di quel maledetto 1 Maggio, diverse settimane prima, più o meno verso metà Febbraio.
Avevo voluto cambiare Squadra perché ero convinto di andare in quella migliore, con la macchina vincente.
Ma mi ero reso conto abbastanza presto che in quell’abitacolo ci stavo stretto.
Letteralmente.
Per spiegarmi meglio, quando sterzavo le mie dita dentro i guanti ignifughi toccavano la centina porta-strumenti.
In pratica riuscivo a girare il volante solo parzialmente e le curve più strette erano un calvario.
Anche in rettilineo non riuscivo a leggere bene gli strumenti, e vi garantisco che non è una bella sensazione quando vuoi sapere come va la tua macchina e stai viaggiando a oltre trecento kilometri l’ora.
Avevo chiesto delle modifiche, così come ho sempre fatto e così com’ero abituato in ogni Team nel quale avevo lavorato in precedenza..
Ma gli ingegneri mi hanno subito risposto che non c’era tempo per fare le modifiche, che il Mondiale sarebbe iniziato di lì ad un mese e che non si poteva rifare la macchina solo perché io non ci stavo dentro comodo.
Nelle squadre dove ero stato in precedenza, ogni cosa che dicevo era rispettata, e le modifiche che chiedevo venivano messe in pratica dal Team, si provava e se funzionava si lasciava così, ma in Williams no, mi dissero che la Squadra decideva come fare la macchina, ed il pilota doveva guidarla il più veloce possibile.
Mi hanno detto anche che potevo provare a sterzare lasciando il volante quando la mano era in alto per riprenderlo più in basso, così facendo non avrei toccato il telaio.
Ma io di mestiere non guidavo una corriera, guidavo una Formula 1...
Provai a chiedere una soluzione differente: pensai “Se le mie mani si allontanano dal telaio non lo urterò più”, quindi dissi ai meccanici di allungare il piantone dello sterzo, bastavano pochi centimetri, e non avrei costretto nessuno a rifare il progetto daccapo.
Modificammo il piantone dello sterzo e provai questa soluzione a Silverstone, durante una sessione di test pre-stagionali.
Sembrava funzionare, sembrava andare meglio.
Decisi però di abbandonarla per il momento.
Arrivarono le prime gare.
A casa mia, a Interlagos, ero secondo dietro Michael quando improvvisamente la macchina partì in testacoda senza nemmeno avvisarmi in qualche modo che stavo perdendo aderenza al posteriore.
Quella curva l’avevo percorsa mille volte, e per mille volte non era successo niente.
Non so se è stata colpa mia o della macchina.
Eravamo abituati alle sospensioni attive ma da quell’anno le avevano proibite.E avevano anche deciso di aumentare l’altezza da terra e bandire il controllo di trazione, per cui avevamo tra le mani delle vetture molto più difficili da controllare.
Ma no...Forse è stata colpa mia...

Ad Aida partii bene ma venni tamponato alla prima curva.
Così mi ritrovai dopo due gare senza un punto in classifica e per di più alla guida di una macchina con la quale non avevo ancora raggiunto il feeling giusto.

Poi ci fu la trasferta di Imola.
Una pista bellissima, veloce e tecnica al tempo stesso.
Venerdì ci fu un primo incidente: una gomma si era sgonfiata lentamente durante quel giro, e Rubens tirò dritto all’uscita di una piega a sinistra che si affrontava a duecentocinquanta kilometri orari.
Un bel botto, spettacolare direi, l’auto che si ribalta in una nuvola di fumo bianco e azzurro, i commissari che corrono ed il pilota che ne esce con qualche lieve ferita sul viso e un gran mal di testa.
Il sabato invece successe l’irreparabile, qualcosa alla quale nessuno - nemmeno in questo ambiente che chiamano Circus - si è mai abituato.
Roland morì mentre cercava di qualificarsi per la seconda volta in carriera per un Gran Premio di Formula 1.
Una decelerazione terribile, da trecento kilometri orari a zero in un attimo.
Si era staccato l’alettone che era finito sotto il fondo della sua vettura sollevando la parte anteriore, e lui rimase senza alcuna possibilità di rallentare o sterzare.
Dopo le prove andai a vedere il punto dello schianto, e decisi che era troppo pericoloso correre, che la gara andava annullata.
Avrebbero dovuto ascoltarmi.
Ma mi risposero che quel muro era sempre stato lì, che ci sono andati a picchiare in tanti e nessuno si era mai fatto male sul serio; purtroppo quella volta la macchina aveva sbattuto di muso ed il pilota aveva picchiato col casco contro il muro.
Non si poteva fare nulla, non si poteva modificare il tracciato in una notte.
Quando seppi che Roland non ce l’aveva fatta, decisi che non avrei corso quel Gran Premio, non m’importava della pole position e dei punti che avrei perso, e non m’importava nemmeno di una eventuale squalifica.
Mi dissero che aspettavano duecentomila persone sulle tribune e sui prati per la domenica pomeriggio e che avevano venduto i diritti TV a centinaia di Paesi, quindi di annullare la gara non se ne parlava.
Anche qualche centinaio di metri prima, all’esterno della curva Tamburello - una curva che in realtà si percorreva in pieno come fosse un rettilineo - c’era un muro.
Io e un collega di nome Gerhard, mio compagno di squadra qualche anno prima in McLaren, eravamo andati a vedere se quel muretto lo si poteva spostare più all’esterno per creare una specie di via di fuga, uno spazio di sicurezza, nel caso qualcosa fosse andato storto insomma.
Lui ci aveva picchiato duro in precedenza e la sua macchina aveva anche preso fuoco, ma gli era andata bene.
Ma quando siamo arrivati lì ci siano accorti che dietro il muro scorreva un fiume, separato dalla pista da quel muro e da una decina di metri d’erba incolta
Assurdo.
Mi convinsero a partire. O mi lasciai convincere.
In realtà avevo deciso che avrei fatto solo un paio di giri e che mi sarei ritirato, ma mi dissero che gareggiare sarebbe stata la cosa più giusta ed il modo migliore per onorare chi era morto quel pomeriggio.
Mi feci dare una bandiera austriaca che misi nel mio abitacolo, l’avrei sventolata nel dopo-gara, durante il giro d’onore.
Nella notte i meccanici modificarono il piantone dello sterzo su mia richiesta, così come avevano già fatto mesi prima.
Non volevo perdere l’occasione di gareggiare a modo mio anche a Imola.
Era troppo importante.
Alla partenza ci fu un altro incidente: una macchina nelle prime file restò ferma sulla griglia ed un’altra che arrivava dalle ultime posizioni la centrò in pieno.
Rottami ovunque, un ferito tra il pubblico colpito da una ruota che schizzò impazzita.
Entrò la safety car, ci accodammo e dopo quattro giri ci fecero ripartire.
Le vetture di Formula 1 non sono vetture normali, non hanno praticamente nulla di “normale”.
Ad esempio, quando una vettura di F.1 percorre alcuni giri dietro la safety car succede che le gomme si raffreddano e perdono pressione, insomma è come se si sgonfiassero un po’.
Con le gomme non in pressione il fondo del talaio striscia sull’asfalto, e l’auto tende a perdere aderenza.
Ed infatti, quando ci hanno fatto ripartire, ho iniziato a sentire delle strane vibrazioni.
Come se la macchina non mettesse le ruote dove volevo io.
Strisciava così tanto sulla pista che sembrava un drago che sputava fuoco e scintille dorate, come i draghi che si disegnano nelle favole illustrate per i bambini.
All’uscita della curva che immetteva sul traguardo ebbi una strana sensazione.
Dopo – intendo dire “dopo l’incidente” - quando hanno scaricato ed analizzato i dati della telemetria della mia vettura, se ne sono accorti leggendo i grafici della curva dell’acceleratore: dissero che in quel momento, quando alzai per un istante il piede dal pedale del gas, forse avevo capito che qualcosa non andava.
Accelerai ed arrivai all’entrata del Tamburello in piena accelerazione come sempre.
Ma ad un tratto, per un millesimo di secondo, ebbi l’impressione che qualcosa stava per lasciarmi mentre Qualcuno o Qualcosa veniva a prendermi.
Cercai di rallentare ma la mia Williams non rispondeva più ai comandi, sterzavo e le ruote restavano diritte, frenavo ma l’auto sembrava galleggiare.
L’impatto col muro non mi avrebbe fatto quasi nulla, nemmeno un livido, almeno così disse Sid, il medico della Federazione e mio caro amico.
Quando mi ha visitato - prima lì sull’asfalto e poi al centro medico del circuito – disse che me la sarei cavata con un paio di aspirine e qualche giorno di riposo.
Ma non avevo fatto i conti col destino : nell’urto contro quel muro, la ruota anteriore destra volò verso di me, ed un tirante della sospensione che vi era rimasto attaccato finì dentro il mio casco, passando attraverso la visiera trasparente.
Tutto questo nessuno, tantomeno Sid, lo poteva prevedere.
Non ho avuto nemmeno il tempo di provare dolore, si è solo spento tutto in un attimo.
Me ne sono andato così, facendo quello che ho sempre voluto e amato fare, dando sempre il massimo nel desiderio di raggiungere quella perfezione che noi umani, per quanto ci sforziamo, non raggiungeremo mai.
Il resto è cronaca, una cronaca fatta più che altro di macabri dettagli per i curiosi.
Anche il processo penale fu celebrato più perché lo richiedeva la Legge che per altri motivi.
Quando un pilota professionista muore in gara la colpa non è mai di nessuno.
Poi quella pista l’hanno modificata, quella curva non esiste più.
Spero che oggi sia un luogo più sicuro dove correre in macchina
Ah…Scusate, mi stavo per dimenticare: mi chiamavo Ayrton.
1/5/1994 – 1/5/2017
 
Eccomi qui.
Sono già passati ventitre anni ma sembrano passati pochi giorni.
Questa storia è iniziata prima di quel maledetto 1 Maggio, diverse settimane prima, più o meno verso metà Febbraio.
Avevo voluto cambiare Squadra perché ero convinto di andare in quella migliore, con la macchina vincente.
Ma mi ero reso conto abbastanza presto che in quell’abitacolo ci stavo stretto.
Letteralmente.
Per spiegarmi meglio, quando sterzavo le mie dita dentro i guanti ignifughi toccavano la centina porta-strumenti.
In pratica riuscivo a girare il volante solo parzialmente e le curve più strette erano un calvario.
Anche in rettilineo non riuscivo a leggere bene gli strumenti, e vi garantisco che non è una bella sensazione quando vuoi sapere come va la tua macchina e stai viaggiando a oltre trecento kilometri l’ora.
Avevo chiesto delle modifiche, così come ho sempre fatto e così com’ero abituato in ogni Team nel quale avevo lavorato in precedenza..
Ma gli ingegneri mi hanno subito risposto che non c’era tempo per fare le modifiche, che il Mondiale sarebbe iniziato di lì ad un mese e che non si poteva rifare la macchina solo perché io non ci stavo dentro comodo.
Nelle squadre dove ero stato in precedenza, ogni cosa che dicevo era rispettata, e le modifiche che chiedevo venivano messe in pratica dal Team, si provava e se funzionava si lasciava così, ma in Williams no, mi dissero che la Squadra decideva come fare la macchina, ed il pilota doveva guidarla il più veloce possibile.
Mi hanno detto anche che potevo provare a sterzare lasciando il volante quando la mano era in alto per riprenderlo più in basso, così facendo non avrei toccato il telaio.
Ma io di mestiere non guidavo una corriera, guidavo una Formula 1...
Provai a chiedere una soluzione differente: pensai “Se le mie mani si allontanano dal telaio non lo urterò più”, quindi dissi ai meccanici di allungare il piantone dello sterzo, bastavano pochi centimetri, e non avrei costretto nessuno a rifare il progetto daccapo.
Modificammo il piantone dello sterzo e provai questa soluzione a Silverstone, durante una sessione di test pre-stagionali.
Sembrava funzionare, sembrava andare meglio.
Decisi però di abbandonarla per il momento.
Arrivarono le prime gare.
A casa mia, a Interlagos, ero secondo dietro Michael quando improvvisamente la macchina partì in testacoda senza nemmeno avvisarmi in qualche modo che stavo perdendo aderenza al posteriore.
Quella curva l’avevo percorsa mille volte, e per mille volte non era successo niente.
Non so se è stata colpa mia o della macchina.
Eravamo abituati alle sospensioni attive ma da quell’anno le avevano proibite.E avevano anche deciso di aumentare l’altezza da terra e bandire il controllo di trazione, per cui avevamo tra le mani delle vetture molto più difficili da controllare.
Ma no...Forse è stata colpa mia...

Ad Aida partii bene ma venni tamponato alla prima curva.
Così mi ritrovai dopo due gare senza un punto in classifica e per di più alla guida di una macchina con la quale non avevo ancora raggiunto il feeling giusto.

Poi ci fu la trasferta di Imola.
Una pista bellissima, veloce e tecnica al tempo stesso.
Venerdì ci fu un primo incidente: una gomma si era sgonfiata lentamente durante quel giro, e Rubens tirò dritto all’uscita di una piega a sinistra che si affrontava a duecentocinquanta kilometri orari.
Un bel botto, spettacolare direi, l’auto che si ribalta in una nuvola di fumo bianco e azzurro, i commissari che corrono ed il pilota che ne esce con qualche lieve ferita sul viso e un gran mal di testa.
Il sabato invece successe l’irreparabile, qualcosa alla quale nessuno - nemmeno in questo ambiente che chiamano Circus - si è mai abituato.
Roland morì mentre cercava di qualificarsi per la seconda volta in carriera per un Gran Premio di Formula 1.
Una decelerazione terribile, da trecento kilometri orari a zero in un attimo.
Si era staccato l’alettone che era finito sotto il fondo della sua vettura sollevando la parte anteriore, e lui rimase senza alcuna possibilità di rallentare o sterzare.
Dopo le prove andai a vedere il punto dello schianto, e decisi che era troppo pericoloso correre, che la gara andava annullata.
Avrebbero dovuto ascoltarmi.
Ma mi risposero che quel muro era sempre stato lì, che ci sono andati a picchiare in tanti e nessuno si era mai fatto male sul serio; purtroppo quella volta la macchina aveva sbattuto di muso ed il pilota aveva picchiato col casco contro il muro.
Non si poteva fare nulla, non si poteva modificare il tracciato in una notte.
Quando seppi che Roland non ce l’aveva fatta, decisi che non avrei corso quel Gran Premio, non m’importava della pole position e dei punti che avrei perso, e non m’importava nemmeno di una eventuale squalifica.
Mi dissero che aspettavano duecentomila persone sulle tribune e sui prati per la domenica pomeriggio e che avevano venduto i diritti TV a centinaia di Paesi, quindi di annullare la gara non se ne parlava.
Anche qualche centinaio di metri prima, all’esterno della curva Tamburello - una curva che in realtà si percorreva in pieno come fosse un rettilineo - c’era un muro.
Io e un collega di nome Gerhard, mio compagno di squadra qualche anno prima in McLaren, eravamo andati a vedere se quel muretto lo si poteva spostare più all’esterno per creare una specie di via di fuga, uno spazio di sicurezza, nel caso qualcosa fosse andato storto insomma.
Lui ci aveva picchiato duro in precedenza e la sua macchina aveva anche preso fuoco, ma gli era andata bene.
Ma quando siamo arrivati lì ci siano accorti che dietro il muro scorreva un fiume, separato dalla pista da quel muro e da una decina di metri d’erba incolta
Assurdo.
Mi convinsero a partire. O mi lasciai convincere.
In realtà avevo deciso che avrei fatto solo un paio di giri e che mi sarei ritirato, ma mi dissero che gareggiare sarebbe stata la cosa più giusta ed il modo migliore per onorare chi era morto quel pomeriggio.
Mi feci dare una bandiera austriaca che misi nel mio abitacolo, l’avrei sventolata nel dopo-gara, durante il giro d’onore.
Nella notte i meccanici modificarono il piantone dello sterzo su mia richiesta, così come avevano già fatto mesi prima.
Non volevo perdere l’occasione di gareggiare a modo mio anche a Imola.
Era troppo importante.
Alla partenza ci fu un altro incidente: una macchina nelle prime file restò ferma sulla griglia ed un’altra che arrivava dalle ultime posizioni la centrò in pieno.
Rottami ovunque, un ferito tra il pubblico colpito da una ruota che schizzò impazzita.
Entrò la safety car, ci accodammo e dopo quattro giri ci fecero ripartire.
Le vetture di Formula 1 non sono vetture normali, non hanno praticamente nulla di “normale”.
Ad esempio, quando una vettura di F.1 percorre alcuni giri dietro la safety car succede che le gomme si raffreddano e perdono pressione, insomma è come se si sgonfiassero un po’.
Con le gomme non in pressione il fondo del talaio striscia sull’asfalto, e l’auto tende a perdere aderenza.
Ed infatti, quando ci hanno fatto ripartire, ho iniziato a sentire delle strane vibrazioni.
Come se la macchina non mettesse le ruote dove volevo io.
Strisciava così tanto sulla pista che sembrava un drago che sputava fuoco e scintille dorate, come i draghi che si disegnano nelle favole illustrate per i bambini.
All’uscita della curva che immetteva sul traguardo ebbi una strana sensazione.
Dopo – intendo dire “dopo l’incidente” - quando hanno scaricato ed analizzato i dati della telemetria della mia vettura, se ne sono accorti leggendo i grafici della curva dell’acceleratore: dissero che in quel momento, quando alzai per un istante il piede dal pedale del gas, forse avevo capito che qualcosa non andava.
Accelerai ed arrivai all’entrata del Tamburello in piena accelerazione come sempre.
Ma ad un tratto, per un millesimo di secondo, ebbi l’impressione che qualcosa stava per lasciarmi mentre Qualcuno o Qualcosa veniva a prendermi.
Cercai di rallentare ma la mia Williams non rispondeva più ai comandi, sterzavo e le ruote restavano diritte, frenavo ma l’auto sembrava galleggiare.
L’impatto col muro non mi avrebbe fatto quasi nulla, nemmeno un livido, almeno così disse Sid, il medico della Federazione e mio caro amico.
Quando mi ha visitato - prima lì sull’asfalto e poi al centro medico del circuito – disse che me la sarei cavata con un paio di aspirine e qualche giorno di riposo.
Ma non avevo fatto i conti col destino : nell’urto contro quel muro, la ruota anteriore destra volò verso di me, ed un tirante della sospensione che vi era rimasto attaccato finì dentro il mio casco, passando attraverso la visiera trasparente.
Tutto questo nessuno, tantomeno Sid, lo poteva prevedere.
Non ho avuto nemmeno il tempo di provare dolore, si è solo spento tutto in un attimo.
Me ne sono andato così, facendo quello che ho sempre voluto e amato fare, dando sempre il massimo nel desiderio di raggiungere quella perfezione che noi umani, per quanto ci sforziamo, non raggiungeremo mai.
Il resto è cronaca, una cronaca fatta più che altro di macabri dettagli per i curiosi.
Anche il processo penale fu celebrato più perché lo richiedeva la Legge che per altri motivi.
Quando un pilota professionista muore in gara la colpa non è mai di nessuno.
Poi quella pista l’hanno modificata, quella curva non esiste più.
Spero che oggi sia un luogo più sicuro dove correre in macchina
Ah…Scusate, mi stavo per dimenticare: mi chiamavo Ayrton.
1/5/1994 – 1/5/2017


una riflessione emozionante
 
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