26° Giornata Serie A

Idioti ai quali la decenza sembrava gli uscisse in dono come ***** da un intestino martoriato; li vedevo disegnare sorrisi di pietra nel putridume dell’esistenza, dritti ed impettiti, glorificati e glorificanti nevralgiche ostentazioni dell’ovvio. I falsi soldati di Samarcanda, preti febbrili, marciavano fermi avendo perso, oltre alla vergogna, qualsivoglia direzione o avvenire: sostenevano di Essere senza avere la minima idea di cosa significasse realmente trovarsi a discutere con il proprio riflesso nello specchio. In piena notte, al buio, quando da finestre invernali vengono partorite coltellate di vento che dilaniano la posa austera di un malessere in arrivo.
Se la ridevano nei posti più vellutati, sghignazzavano tronfi di malagloria. Brindavano alla morte dei moribondi sciacquandosi le mani mafiose nelle acquasantiere permissive, corrompevano i più deboli in quanto consapevoli di sfangarla, da veri bastardi, proiettili sghembi in un ginepraio di colpi a salve, se lo misuravano a vicenda nelle patetiche erezioni del sole tramontato, cosparsi di sperma e ***** nei loro letti di faccendieri ed affaristi.
Li vedevo con le loro orride pettinature patinate, le loro pance piene, quei sorrisi falsi e ruffiani, nelle televisioni e sui giornali, sbraitare nell’abisso della catastrofe a cui hanno sempre ambito pur di ritenersi vincitori; ma le loro vittorie erano soltanto sconfitte ancestrali, bagagli di ignoranza ingolfati di putridume, evanescente ridondanza di cialtroneria, paresi facciale incapace di ammettere il proprio volto tumeatto.
Li vedevo nei loro uffici fintamente inamidati, nei loro ambulatori segreti, nelle farmaci spacciati in dosi, nelle galere che nessuno di loro ha mai affrontato; li vedevo e li vedo, sporchi e ruffiani, mentre alzano trofei sporchi di sangue, indecenza e corruzione.
Non ho la minima idea se potrà mai venire il giorno in cui si scuseranno, sono troppo vecchio, stanco e malandato, non abbastanza presuntuoso per avere l’ardire di potergliela leggere in faccia, per una volta, l’orrenda e viscida verità con la quale imbellettano le proprie troie parastatali inginocchiate da troppi decenni sotto quelle abominevoli scrivanie.


Ma una remotissima parte di un mio antico io, ormai sollevata dagli incarichi dell’esistenza, prova con le ultime forze a cantare quel canto stridente che non può trovare empatia se non in effimeri passaggi di luce; ecco, a loro mi rivolgo, nella speranza che quel giorno possa arrivare. Non arrendetevi mai di fronte a codesti malviventi; possono togliervi tutto ma non lasciate che vi privino di ciò che disconoscono.
Siate dignitosi. Affrontateli.
Annientateli.
 
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