A.C. Milan

mi sono divertito abbastanza con gli slittamenti, spero che il mese prossimo ci sia finalmente questo closing, sono curioso di vedere come fanno a gestire una squadra di serie A non avendo a disposizione nemmeno 100.000 € :cod :cod :cod :cod
 
mi sono divertito abbastanza con gli slittamenti, spero che il mese prossimo ci sia finalmente questo closing, sono curioso di vedere come fanno a gestire una squadra di serie A non avendo a disposizione nemmeno 100.000 € :cod :cod :cod :cod

purtroppo per noi e per fortuna per i bilanelli, non ci sarà mai questo closing
 
da repubblica
I cinesi di Sino Europe Sports, capitanati da Yonghog Li, non sono seri. Non abbastanza da meritarsi il Milan. Soprattutto non sono in grado di garantire ai rossoneri quel futuro radioso che avevano prospettato a Silvio Berlusconi all’inizio della trattativa: dalla firma del contratto preliminare per l’acquisto del club da Fininvest lo scorso 5 agosto hanno gettato solo ombre sull’operazione. Molte inopportune parole e pochi fatti: a cominciare dall’ultimo con cui hanno chiesto, solo informalmente, l’ennesima proroga di un mese per chiudere l’acquisizione. In cambio sono pronti a versare – forse – una nuova caparra da 100 milioni di euro entro il 10 marzo.
In una situazione normale una holding come quella della famiglia Berlusconi che controlla gruppi come Mediaset e Mondadori non accetterebbe più di sedersi al tavolo delle trattative: incasserebbe i 200 milioni di caparra già versati e si muoverebbe oltre. Una dilazione temporale sarebbe un’ammissione di debolezza da parte della stessa Fininvest. Una difficoltà che i cinesi potrebbero aver intravisto nel corso delle trattative: forse per questo stanno cercando di far saltare il banco, anche solo per ottenere uno sconto sul prezzo pattuito. Di certo una cessione a Ses con queste premesse cancellerebbe quanto di buono Silvio Berlusconi ha fatto in 31 anni da presidente del Milan: lascerebbe in eredità un futuro carico di incognite e incertezze. Basti pensare che dopo sette mesi di trattative non c’è ancora alcuna chiarezza sulla composizione del futuro assetto societario: esistono solo lettere che mostrano l’interesse di alcuni investitori, ma manca il vincolo ad investire. Come emerso dalle marcia indietro del 28 febbraio “perché un investitore si è sfilato”.
Non c’è chiarezza sulla provenienza dei fondi e neppure sulle effettive disponibilità di una cordata che del fondo d’investimento ha solo il nome, ma non certo le caratteristiche. Basti pensare che i portavoce di Ses fino al tardo pomeriggio del 28 febbraio definivano “fluida la situazione” garantendo che gli acquirenti avessero già in cassa “più di quanto fosse necessario per chiudere l’operazione”. Come a dire che nelle disponibilità dei futuri soci del Milan c’era quasi un miliardo di euro tra contanti e garanzie bancarie. Di più l’ad in pectore della società, Marco Fassone, ribadiva di essere in costante contatto con i cinesi negando ogni problema. Delle due una: o mentivano manager e portavoce o la stessa società cinese mentiva ai suoi referenti. Di certo in cassa i soldi necessari per chiudere l’acquisizione non ci sono.
E così ora siamo in attesa dell’ormai scontata richiesta di ennesimo rinvio: un altro mese di tempo per raccogliere le forze, trovare azionisti con soldi freschi e comprare il Milan, in cambio di un’altra caparra da 100 milioni di euro. Quello che i cinesi non dicono è che non sono in grado di comprare il Milan in un’unica soluzione e vorrebbero farlo a rate, ma non hanno nessuno che garantisca per loro. Neppure le banche che – sulla carta – sarebbero state disposte a finanziare l’operazione. Un epilogo che il Milan con la sua storia e i suoi trofei di certo non merita. Fininvest, quindi, non ha ancora preso una decisione definitiva: se da un lato l’esigenza di vendere resta forte, dall’altro cresce la sensazione di avere a che fare con un interlocutore non affidabile.
Non si tratta certo di quelle “grandi aziende e fondi cinesi” di cui parlava Berlusconi a giugno dello scorso anno quando cercava di tranquillizzare i tifosi dicendo che avrebbe fatto “la scelta corretta”. Oggi, l’unica scelta corretta sarebbe quella di stracciare il contratto con i cinesi in attesa che si faccia avanti un investitoro serio e capace. D’altra parte lo stesso Berlusconi la scorsa estate spiegava che in caso di fallimento della trattativa sarebbe stato “costretto a rimanere in campo” e che il Milan sarebbe ripartito “dai giovani italiani”. E oggi è difficile non parlare di fallimento della trattativa. I grandi nomi fatti circolare dalle fonti vicine al dossier sono usciti di scena uno dopo l’altro: Huarong ha smentito di essere coinvolto nell’operazione così come China Merchant Bank, mentre China Construction Bank “non commenta indiscrezioni”. Della partita sarebbe solo – oltre allo sconosciuto Yonghong Li – Haixia Bank: un istituto finanziario provinciale, ma non controllato dal governo. A conferma che Pechino non ha mai dato il proprio benestare all’operazione.
E così tutti i dubbi restano sul tavolo. Il valore complessivo dell’operazione è vicino al miliardo e duecento milioni di euro: 520 milioni per il 100% della società, 220 milioni per l’accollo dei debiti, 70 milioni di euro per la gestione ordinaria del Milan dal primo luglio al momento del closing, 350 milioni da investire sul mercato in tre anni. Finora sono arrivati 200 milioni e altri 100 potrebbero essere versati entro la prossima settimana, ma perché non è stata prodotta alcuna fidejussione o garanzia bancaria se davvero tutti i soldi erano già stati raccolti come spergiura il portavoce della società? Fininvest ritiene ancora credibile il proprio interlocutore? Se sì perché non inizia a convertire in azioni i soldi già versati in cambio di un’opzione di vendita (e di riacquisto)? Se non lo ritiene affidabile, perché continua ad aspettare?
E ancora chi è davvero Yonghong Li? A questo punto pare che non lo sappia davvero nessuno, neppure Fassone e le persone vicine alla trattativa. Prima della sua complicata scalata al Milan non era mai entrato nei radar dei media, ma neppure degli imprenditori e dei diplomatici. Non era noto agli uffici del commercio con l’estero e neppure alle ambasciate. Anche per gli addetti ai lavori del calcio orientale è un mistero. Per Marcello Lippi che in Cina è una divinità si tratta di uno sconosciuto, Fabio Cannavaro ammette di saperne poco. Alberto Forchielli, partner di Mandarin Capital, ha più volte detto che la cordata non esiste. A carico di Li risultano solo una multa della Borsa di Shanghai per attività irregolari e una società offshore a Panama. Eppure nonostante tutti questi fondi all’estero, i cinesi non riescono a chiudere l’operazione: secondo gli addetti ai lavori la stretta sul controllo dei capitali ha costretto gli stessi azionisti a rivedere i piani. I soldi all’estero sono una sorta di riserva che nessuno in Cina vuole toccare. E a farne le spese sono il Milan e i suoi tifosi.
 
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