Borja Valero Fosforo

Siamo intorno al quarantesimo minuto, l’Inter, abbarbicata come può allo 0 a 0, sta subendo la pressione a oltranza degli Spurs, e sembra costantemente sul punto di incassare gol. A gravare sulle sorti della partita è l’evanescenza della cerniera di centrocampo (Vecino, Brozovic e il Ninja), incapaci di contenere gli incursori in maglia bianca e di innescare in qualche modo Icardi; il belga, poi, sbaglia letteralmente ogni pallone passato dai suoi piedi, regalandolo sempre agli avversari. Non è al meglio, e si vede; lo vede anche Spalletti, reo di un grossolano errore di valutazione. Ecco il cambio; un cambio invero strano, per tempistica, che suona quasi come una bocciatura (sulla falsariga di quanto fece, mutatis mutandis, Pioli con Kondogbia) ma semplicemente dettato dalla caviglia dolorante di Radja, che non ne ha proprio più. Entra Borja Valero, che aveva iniziato il riscaldamento già da una ventina di minuti abbondanti. E ha subito una palla d’oro, sulla quale esita troppo e sulla quale rimugineremo per chissà quanto tempo. Ma è già un’Inter diversa.

Un cambio necessario

Diversa perché finalmente in grado di costruire e verticalizzare con maggiore velocità e precisione, senza per questo affrettare la giocata rischiando di regalare palla agli avversari (gli straripanti Winks e Sissoko, determinanti per il successo dei londinesi) grazie proprio all’innesto dello spagnolo, tra i pochi giocatori presenti nella nostra rosa ad elevato quoziente intellettivo. Sì, perché Borja Valero è un giocatore sofisticato, come pochi da noi acquistati negli ultimi (facciamo cinque-sei) anni. Ma non per questo lezioso o poco concreto, tutt’altro; ha saputo fare dell’essenzialità (vuoi anche per costituzione fisica ed età) la sua cifra stilistica. L’emblema della sua prestazione è l’assist servito a Ivan Perisic al minuto 76, vera sliding door della partita. Il croato, largo sul vertice sinistro dell’area avversaria, azzarda un filtrante all’indirizzo dello spagnolo, che può così fare sfoggio dei suoi fondamentali più preziosi; il controllo di palla nello stretto e il tempismo nei passaggi. Splendido è l’aggancio col collo del piede, splendido il controllo con la suola a eludere i difensori, splendido il pallone di ritorno con l’interno. Un gesto tecnico di rara bellezza ed efficacia, per l’appunto, che avrebbe meritato un più lieto epilogo. La sventagliata di Perisic (troverà i guantoni di un reattivo Lloris) sarà una delle poche, clamorose occasioni avute dai nerazzurri in tutto l’arco dei novanta minuti, a cui farà seguito, cinque minuti dopo, il gol di Eriksen. Non può essere un caso, a ogni modo, che le azioni più pericolose dei nerazzurri siamo passate in qualche modo dai suoi piedi.

Unico e insostituibile?

Al contributo in fase offensiva si aggiunge una garra raramente vista in lui durante la fase di non possesso; miriadi di palloni recuperati, pressing sui portatori di palla dalla difesa, contrasti vinti (!!!) e raddoppi, conditi dal piccolo battibecco con il giovane Winks cui risponde, però, con la consueta flemma e un sorriso. Un giocatore in piena forma psicofisica, insomma, a dispetto della sua carta d’identità, con la voglia e le energie di un primavera. Chiaramente lo ha aiutato l’essere entrato a partita in corso; ma ciò non può chiaramente sminuire la bontà della prestazione di ieri sera, di gran lunga il migliore in campo dei nerazzurri. Il che ci porta a una piccola riflessione; se proprio ci fosse stato bisogno di un doppione in rosa, era proprio di Borja, di un centrocampista con proprietà tecnica e visione di gioco superiori alla media (viene in mente un certo regista croato candidato al Pallone d’Oro) dei boccheggianti compagni di reparto, e che potremmo pagare caro un mancato innesto (a gennaio) a colmare tale lacuna in una squadra che rimane pur sempre ben attrezzata.