Che gli allenamenti di Conte siano intensi e duri ormai è una certezza, e a dirlo sono gli stessi giocatori che provano sulla propria pelle cosa voglia dire avere un allenatore del genere. L’ultimo della lista a rimanere stupito dalle sessione del tecnico e è il nuovo arrivato Eriksen.
Antonio Conte ha fatto trentatré doppi. Il Sergente Maggiore Hartman, perfido addestratore di Marines in Full Metal Jacket, sarebbe stato fiero di lui. D’altronde, nel giorno della presentazione all’Inter, l’ex allenatore del Chelsea era stato chiaro: «Io devo indicare la strada e dovrò stare attento affinché tutti la seguano. Non è un percorso semplice, bisogna fare fatica e avere la volontà di sacrificarsi se abbiamo ambizione di essere vincenti. Se invece qualcuno non è d’accordo, deve farsi da parte». È stato di parola. Nessuno in Serie A corre quanto l’Inter (112.95 chilometri a partita) e in pochi hanno la stessa intensità (Atalanta e Verona su tutti). Messo in soffitta il soporifero giropalla spallettiano, l’Inter di Conte è un inno alla verticalità. E lo sarà ancora di più quando Victor Moses e Ashley Young entreranno a regime: l’Inter, prima del loro arrivo non aveva due esterni capaci di mettere le tende nei pressi della linea laterale e di restare altissimi, peculiarità nel 3-5-2 visto prima alla Juve poi al Chelsea, squadre con cui il Sergente che oggi veste nerazzurro ha vinto quattro dei cinque campionati disputati”, spiega Tuttosport.
“Tutti buoni motivi che avevano convinto prima Adriano Galliani, poi Leonardo (nella tentata fronda estiva a Gattuso, mentre il Milan era in tournée negli States) a provare a portarlo al Milan. Parole finite in un nulla di fatto e così – forse solo per una serie di coincidenze che si sono incatenate (in primis l’arrivo di Beppe Marotta all’Inter). L’Antonio ha deciso di tornare in Italia per sposare la causa di Suning. Con l’obiettivo, sfida nella sfida, di mettere fine al filotto di scudetti conquistati dalla Juve anche dopo il suo burrascoso divorzio con Andrea AgnelliLe straordinarie doti di motivatore che appartengono al dna contiano si esaltano proprio nei derby dove il ruolino dell’allenatore è semplicemente impressionante. Cinque stracittadine di campionato giocate tra Torino e Milano, cinque vittorie senza prendere mai nemmeno un gol”, aggiunge il quotidiano.

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