L’Inter non sa più vincere. La squadra di Spalletti continua con i suoi passettini, l’uno pericolosamente più corto del precedente, verso la qualificazione in Champions League. L’amara consapevolezza e constatazione che c’è da fare è che ormai le occasioni fallite nell’ultimo periodo compongono interamente le dita di una mano: Lazio, Atalanta, Roma, Juventus, adesso Udinese. Ieri a parte, tutte in casa. Ma, rispetto alle altre quattro, la squadra di Tudor non è fra le prime della classe, non si può ragionare sul “manteniamo le distanze”. La partita della Dacia Arena era obbligatoriamente da vincere. E l’Inter, ancora una volta, non l’ha fatto. Si salvano soltanto i primi 25 minuti: ancora una volta un buon approccio, con la squadra di Spalletti che sembra fare la partita. Buona spinta di Asamoah, centrali difensivi sicuri nell’avviare l’azione, Brozovic e Borja Valero lucidi, Lautaro Martinez sempre pronto a ripiegare e dialogare con i compagni. Ma la partita, almeno per quello che ci si aspetta da una squadra chiamata Inter, finisce proprio dopo 25 minuti, con un dominio che culmina con il palo colpito in tandem da D’Ambrosio e Lautaro stesso. I friulani si prendono poi il pallino del gioco, cominciano gli errori tecnici dei nerazzurri, Handanovic è costretto alla respinta su Mandragora. E attenzione, per “partita finita” non si intende che i nerazzurri non creino più occasioni (Musso si oppone più volte), semplicemente non agiscono più in maniera corale: si ricordano soprattutto dei tiri da fuori con Brozovic, Nainggolan e Lautaro in apertura di secondo tempo. Poi giocate estemporanee, come il cross di D’Ambrosio che Keita legge bene ma sul quale il portiere friulano si oppone più volte.

Tutti i difetti di questa Inter…e un confronto con quella passata

Ancora una volta, il titolare è Lautaro Martinez ma, primi minuti a parte, i giocatori di Spalletti sembrano non saperlo: la manovra prevede sempre cross in mezzo che spesso si perdono nel nulla. Ciò che colpisce è il fatto che questa squadra sia piatta: segna pochissimo (2 gol nelle ultime 3), non sa come far male all’avversario. C’è pochissimo movimento da parte di tutti gli interpreti. E le due punte, stavolta, non risolvono la situazione, anche se sicuramente con il loro ingresso aumenta il peso offensivo e la sensazione di poter far male. Ma sempre in maniera disorganizzata, estemporanea, casuale. Frutto del caso. Non c’è un piano di gioco. E, ci scuserà Spalletti, il problema non ci sembra il mancato apporto da parte di Keita (che comunque va vicinissimo al gol) e Candreva: entrare a partita in corso, con pochi minuti a disposizione, non è mai facile. Il problema è generale, totale. Mancano idee. Ma soprattutto manca il cuore, lo spirito.

L’Inter 2017-18, quella dell’anno scorso, specialmente quella vista in questa fase della stagione e più in generale in primavera, era una squadra piena di difetti. Sicuramente. Ma era una squadra innanzitutto con più qualità rispetto a questa (almeno negli 11 titolari), con Cancelo Rafinha a rappresentare due importantissime fonti di gioco in due diverse zone del campo. Ma soprattutto, era una squadra con uno spirito e un’identità forte, capace di emozionarci nella lotta finale come non succedeva da anni. Certo, come detto non mancavano i difetti, non mancava la fragilità mentale (Inter-Sassuolo alla penultima ne fu netta dimostrazione), ma in quel gruppo si rivedeva quell’Interismo, quella voglia di fare, di raggiungere l’obiettivo con forza e convinzione. Nell’Inter 2018-19, purtroppo, questa fame non esiste. Squadra piatta, che si sta avvicinando pian piano (e adesso anche rischiando abbastanza) all’obiettivo Champions per il secondo anno consecutivo ma che non dà l’idea di fare passi avanti, di crescere. E a dimostrazione del discorso ci sono anche i punti totalizzati: l’Inter, anche vincendo le restanti tre sfide (fra cui la trasferta di Napoli) arriverebbe soltanto a pareggiare i 72 punti dell’annata passata. E se terzo posto dovesse essere, non sarebbe purtroppo figlio di un’effettiva crescita ma soltanto di un calo e di uno scarso rendimento dei competitors. La distanza con il Napoli a fine anno sarà minore rispetto a quella della stagione passata (-19), ma anche questa volta sarà più demerito dei partenopei che merito dei nerazzurri. Insomma, siamo sicuri di trovarci nella tanto decantata “crescita graduale”? Qualche dubbio sorge. E in maniera lecita.

Da qui alla fine…

Situazione: all’Inter mancano aritmeticamente 7 punti per qualificarsi alla Champions League 2019-20. L’obiettivo verosimile è totalizzarne 6 nei due match casalinghi contro Chievo (già retrocesso) alla prossima ed Empoli all’ultima (anche per i toscani il destino potrebbe essere segnato). Nel mezzo, la trasferta di Napoli, con la vittoria che manca al San Paolo in campionato dal lontano 1997. Potrebbe essere il momento giusto per sfatare il tabù, ma certo non con questo atteggiamento e con questa mentalità. Tutti i calcoli, comunque, sono effettuati dando per scontato che Atalanta e Roma vincano tutte le restanti partite, cosa per nulla scontata: già domani, per la squadra di Ranieri ci sarà la difficile trasferta di Marassi contro un Genoa invischiato nella lotta retrocessione. Per gli orobici di Gasperini, invece, sfida all’Olimpico contro la Lazio che ancora spera nella Champions. Insomma, l’Inter recita ancora il ruolo di favorita nella lotta, ma adesso, almeno per questi ultimi tre impegni, urge un cambio di mentalità. Perchè la qualificazione in Champions è obiettivo minimo, e non centrarlo avrebbe ripercussioni catastrofiche sull’intero progetto Inter.

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