A volte vengono prese decisioni da parte di personaggi esposti pubblicamente che dall’esterno possono sembrare inspiegabili, scelte ingiustificate o semplicemente non condivise per i motivi più svariati. Nel caso della decisione di lasciare l’Inter presa da Antonio Conte lo scorso maggio(!) di motivi per non capire e non condividere ce ne sono diversi.

Nonostante fosse evidente una difficoltà economica per la società nerazzurra e chiara sin dal principio la volontà della proprietà di perdere un pezzo pregiato identificato già verso giugno nel profilo di Hakimi, seppur dolorosa, seppur consci che questa perdita avrebbe portato ad un inevitabile indebolimento della squadra, il tutto, al mondo, non sembrava potersi trasformare in un’apocalisse, invece per Conte sì.
Poco prima della fatidica scelta di andar via, non combattuta più di tanto a dir la verità né da parte di Zhang né da parte di Marotta, in Seria A era appena sbarcato Mourinho a Roma e si vociferava il ritorno, poi realmente avvenuto, di Allegri sulla panchina della Juventus.
E’ evidente che l’ex-tecnico pugliese, ex-tecnico perché sarà opinionista per Sky durante i post-partita di Champions (un piccolo dato: in carriera ha passato tra Juventus, Chelsea ed Inter ha vinto solo 12 delle 34 partite giocate della stessa), non ami molto la competizione quanto la vittoria facile, la vittoria a prescindere, la vittoria e basta.
D’altronde due stagioni fa dopo la partita vinta contro l’Atalanta all’ultima di campionato con un bottino che recitava: un secondo posto in tasca ad un punto di distacco dalla solita Juventus e una finale, per carità persa, di Europa League manifestò i primi segnali di cedimento, di crisi d’astinenza dal dover vincere a tutti i costi.

Lo scorso anno poi vince il diciannovesimo scudetto con l’Inter dopo un’astinenza decennale, con dodici punti dalla seconda, ed essendo ancora la squadra candidata a vincere l’anno successivo il campionato nonostante la cessione di Hakimi, che in realtà nel momento dell’ ”abbandono” di Conte era ancora un’idea, decide che è troppo, che diventerebbe “troppo” difficile o meglio non così facile.
E via, lascia.

Da Lukaku a Marotta
Tutto ad un tratto questa diventa l’estate in cui alla fine lasciare l’Inter non è male e arriva come un fulmine a ciel sereno anche la cessione di Lukaku (a parer mio la sua partenza è stata dolorosa solo perché quasi istantanea ma sotto il punto di vista emotivo non mi ha fatto male vista la sua esagerata voglia di andarsene). Propedeutico a tutto ciò probabilmente è stato proprio l’addio di Conte che aveva instaurato già prima di allenarlo un rapporto di invidiabile intesa col belga. Qui il possibile arrivo dell’apocalisse che Conte auspicava a giugno ha sorvolato la mente di qualsiasi tifoso interista, forse anche Inzaghi si sarà chiesto chi glielo avesse fatto fare a vestirsi di nerazzurro proprio in questo momento storico.
Ma nella vita bisogna avere fiducia nel prossimo, soprattutto di chi lavora accanto a te ed ecco che entra in gioco Marotta.
Il d.s. raggiunge (con i suoi metodi e tempi che possono piacere o meno) degli obiettivi, tra budget e parco giocatori arruolabili, straordinari. Costruisce ad Inzaghi una rosa più che competitiva con gli innesti di Dzeko e Correa sul versante d’attacco e Dumfries sulla fascia destra: profilo voluto dal principio per sostituire Hakimi.

L’Inter ha mantenuto una rosa forte perdendo sicuramente due giocatori importanti che sono però stati pagati profumatamente, il che non è banale se si guarda oltre il proprio orticello e si va ad analizzare come si sono mosse le altre big italiane sul mercato, soprattutto se si parla di Juventus.

Situazione a mercato terminato
I bianconeri chiudono il mercato (terminato ieri alle 20:00) con la cessione per 15 milioni di Cristiano Ronaldo e l’arrivo al suo posto di Kean per una cifra intorno ai 15 milioni più eventuali 8 di bonus, con un punto in due partite, a -5 dalle prime e le idee da riorganizzare in questi quindici giorni di sosta per le nazionali.
Senza fare caroselli all’alba della terza giornata di campionato possiamo certamente sostenere che la Juventus si sia indebolita: perde più o meno una quindicina di gol in campionato tra i trenta che avrebbe assicurato Ronaldo e i quindici, se tutto andrà bene (speriam di no), di Kean. L’acquisto di Locatelli da solo non può bastare ad alzare il livello della rosa e l’unico vero innesto di un certo spessore è stato Allegri che, forse arrugginito, ha commesso degli errori nelle prime due uscite stagionali.

Anche in questa valutazione a mio avviso Conte ha commesso uno sbaglio, ancora una volta non ha mai preso in considerazione l’attesa, la speranza, la fiducia nell’ambiente che lo circondava o semplicemente nella fortuna che accadesse una circostanza simile in casa d’altri che potesse portare vantaggio a lui.

Inzaghi: presente convincente
Abbiamo visto solo un paio di assaggi ma da queste prime gare possiamo dire che l’Inter è già di Inzaghi e che l’Inter di Inzaghi è bella, diverte. Il lavoro che sta svolgendo sul gioco e la mentalità è evidente: giocare per fare gol.
Viste le premesse, poco più di quindici giorni fa non sembrava tirar una bella aria tra le mura interiste ma il neo-allenatore non si è fatto sopraffare dalle polemiche, dal mercato incompleto (fino a prima dell’arrivo di Correa) e ha pedalato. Il gioco espresso nella verticalità si era notato già dalla seconda amichevole e ad oggi è limpido solamente dopo due giornate. Certo, ci saranno momenti di difficoltà, partite in cui sarà complicato sbloccare il risultato ma anche dopo il piccolo dramma di Verona (vedere Handanovic) si è notato un atteggiamento propenso a riprendere la partita senza abbattersi.
L’attenzione di Inzaghi non è solo sul piano tattico ma anche mentale (la recentissima intervista di Skriniar lo dimostra) ed è stato importantissimo l’impatto sulla comunicazione: ringraziamento pubblico alla società, ai dirigenti, manifestazioni di stima nei confronti dei calciatori, tutti bei segnali che fanno bene all’Inter.

Sarà l’entusiasmo o semplicemente la follia che contraddistingue il popolo interista ma se venisse posta un’utopica ma classica domanda da bar: “Conte o Inzaghi?” la risposta della maggior parte degli interisti sarebbe di certo Inzaghi. Un po’ per il senso di appartenenza, se non vuoi restare meglio senza di te che con te se non c’è volontà di stare insieme e un po’ per la voglia di provare a condividere un’idea di calcio traslandola sul campo ed esprimendo un gioco definito magari anche rischiando di più al posto della famosa voglia spasmodica di vincere che ha portato Conte a fare dei capricci piuttosto che creare un progetto.

Si sa in tutte le famiglie ci sono dei problemi, momenti di pressione o di sfortuna, bisogna saperli affrontare per poterne uscire più forti e soprattutto insieme, Conte questo periodo nero non ha voluto minimamente condividerlo a fianco dell’Inter, perché evidentemente per lui il mondo nerazzurro non era una famiglia ma solo lavoro e probabilmente nel calcio odierno non è una circostanza così assurda.

Noi siamo convinti sia stata una scelta sbagliata quella di lasciare la nave per primo ma ne abbiamo preso atto e siamo andati avanti, il futuro ci saprà ripagare o meno della nostra positività.
Conte, invece, si sarà pentito di poterci vedere solamente dalla poltrona di uno studio televisivo?
Senza rancore speriamo di sì, vorrà dire che avremo raggiunto gran bei risultati con chi ci ha creduto un po’ di più.