Reduce da una settimana infuocata, l’Inter è giunta a Genova con un carico di pressione enorme. Un progetto, un’idea di gioco, soprattutto un allenatore messi pesantemente in discussione dopo il doppio risultato negativo rimediato contro Milan e Borussia Monchengladbach. E, a proposito di risultato negativo, la vigilia è stata segnata anche dal caso Achraf Hakimi, la cui dinamica – esplicitata da Marotta nel prepartita – ha permesso di far luce su quanto sia stata anomalo, per Antonio Conte e i suoi ragazzi, l’avvicinamento all’esordio in Champions League. Nonostante le parole distensive del tecnico nerazzurro nella conferenza stampa di venerdì, il clima attorno all’ambiente Inter non era esattamente dei più sereni, e la partita di Marassi – alla vigilia – ben condensava la locuzione “abbiamo tutto da perdere”. Così, il nervosismo, la tensione, se vogliamo l’ansia dell’unico risultato a disposizione da ottenere a tutti costi si sono palesati negli atteggiamenti di due insospettabili, ovvero la coppia d’attacco, Lautaro-Lukaku, che in diversi momenti del match hanno esternato il proprio malcontento. Tuttavia, mentre il belga si è sciolto dopo la rete del vantaggio, il Toro ha manifestato la propria rabbia al momento della sostituzione. Reazioni che riassumono una differenza d’età, soprattutto di maturità fra i due: l’argentino deve ancora crescere, Big Rom invece è sempre più leader ed attraversa con tutta probabilità il miglior momento della sua carriera.

Eriksen, Perisic e l’apatia

Il primo tempo disputato dall’Inter è certamente condizionato dall’atteggiamento iper difensivo del Genoa di Maran, che decide di schierare un blocco da 11 costantemente dietro la linea del pallone. Gli uomini di Conte arrancano, sono costretti a costruire una manovra elaborata ma non riescono a trovare lo spunto, il pertugio per affondare. E così la manovra diventa apatica, ripetitiva, noiosa. Lo specchio dei primi 45 minuti può essere rappresentato in particolare da due profili, che abbandoneranno il campo nel secondo tempo, con il risultato ancora inchiodato sullo 0-0. Si tratta di Christian Eriksen ed Ivan Perisic, ai quali si può aggiungere – senza far peccato – anche Marcelo Brozovic. Il danese palesa ancora una volta tutti i propri difetti, pur mostrando qualche lampo di classe quando ha la possibilità di giocare da fermo, riuscendo così ad alzare la testa per lanciare – con la consueta precisione – il compagno meglio posizionato. Purtroppo, però, contro difese chiuse a riccio come quella del Genoa giocare da fermo è improduttivo, diventa importante l’intensità e la capacità di saltare l’uomo. Eriksen tira indietro la gamba, è costantemente sotto ritmo e non riesce mai a risultare decisivo. Ennesima prova poco convincente per lui, e sarebbe anche il caso – giunti a questo punto – di smettere di ricoprirlo di responsabilità e considerarlo (come ha fatto notare anche un Conte visibilmente infastidito dalle molteplici domande sul danese) un membro della rosa, con i suoi pro e contro. Non il campione e il faro della manovra su cui fondare il futuro dell’Inter. Perché in questo Eriksen non si vedono le basi per poterlo diventare, nonostante tutti i tifosi nerazzurri si fossero illusi a riguardo.

Quando si parla di Perisic bisogna sempre ricordare che si sta disimpegnando in un ruolo che non aveva mai ricoperto in carriera. A differenza di Eriksen, che gioca nella sua zolla da trequartista (con il suo allenatore che ha addirittura cambiato modulo dopo il lockdown per poterne favorire l’inserimento e metterlo nelle condizioni migliori), Perisic ha le attenuanti tipiche dei “lavori in corso”. C’è da dire che in fase difensiva mostra abnegazione (si ricordi palla sporcata a Ghiglione lanciato a rete), nonostante qualche prevedibile battuta a vuoto. Ma è in fase offensiva, dove ci si aspetta un contributo importante, che il numero 14 si mostra apatico ed il suo apporto risulta nullo, impreciso e prevedibile. Un po’ i difetti mostrati dal suo connazionale Brozovic, che chiude con una quantità enorme di passaggi sbagliati, nonostante la sua performance migliori leggermente alla distanza. La coppia Brozovic-Eriksen si dimostra ancora una volta poco compatibile, ed il centrocampo dell’Inter soffre tanto. Almeno fino al minuto 58.

Tutta un’altra storia

Già, con Nicolò Barella in campo è un’altra storia, un altro mondo, un’altra Inter. Un leader vero, nonostante i 23 anni d’età, accentra su di sé le responsabilità della manovra offensiva in un momento delicatissimo della partita e probabilmente della stagione nerazzurra. Sempre nel vivo delle azioni, che contribuisce a rendere frizzanti e imprevedibili, la sua mentalità è determinante per cambiare la partita. Per questo, si può parlare di un vero e proprio effetto Barella. Il sardo, entrato insieme ad Hakimi – altro giocatore potenzialmente in grado di ribaltare l’andazzo del match – si rivela devastante più del marocchino, probabilmente scombussolato dalle note vicissitudini che lo hanno coinvolto, nonostante le caratteristiche di Hakimi (velocità su tutte) si sposassero, più di quelle dello stesso Barella, con la capacità di spaccare le gare entrando in corsa. Non c’è solo il geniale assist con cui manda in rete il solito Romelu Lukaku a soli 6 minuti dal suo ingresso in campo. C’è il dinamismo che porta in dote, la solita trasposizione del pensiero di Conte direttamente sul terreno di gioco: Barella incarna perfettamente l’anima contiana interista, quella che nella scorsa stagione ha portato i nerazzurri a un passo dalla gloria e che quest’anno deve urgentemente essere ritrovata. Ieri pomeriggio a Genova le basi sono state poste, soprattutto grazie a quel meraviglioso centrocampista che porta il numero 23 sulle spalle.

Finalmente clean sheet

È vero, il Genoa non ha mostrato un potenziale offensivo capace di far male, ma era fondamentale chiudere una partita senza subire gol, dopo i 10 incassati nelle prime 6 partite stagionali. Finalmente porta inviolata, quindi. La sensazione è che aver ritrovato Alessandro Bastoni nel suo ruolo naturale (terzo a sinistra) sia stato vitale per la squadra di Conte. Il numero 95 garantisce ottime capacità di anticipo, di impostazione e anche sporadiche sgroppate in grado di rompere gli schemi di una difesa molto bene organizzata da Maran. Importante anche l’asse D’Ambrosio-Darmian, con il primo che parte da difensore ed il secondo da quinto ma le cui posizioni si invertono con frequenza e in maniera fruttuosa. D’Ambrosio suggella l’ottima prova con il solito gol di testa, mentre Darmian continua a stupire in positivo dopo la buona prova all’esordio in Champions. Nota di merito anche per Andrea Ranocchia, chiamato in causa dopo 12 partite consecutive e autore di una prestazione impeccabile: partita letteralmente perfetta per il difensore umbro.

Fondamentale, per l’Inter, ritrovare solidità difensiva. Vero che la scorsa stagione è stato (purtroppo) sfatato il tabù della squadra che vince lo scudetto pur senza avere la miglior difesa, ma i gol subiti dai nerazzurri erano e rimangono sicuramente troppi per coltivare ambizioni da vertice. La speranza è che si sia tracciato un solco e che questo possa essere percorso all’insegna della continuità, già da martedì in Ucraina contro lo Shakhtar Donetsk. Sembra strano, perché è solo il secondo impegno europeo, ma può già essere definito decisivo, oltre che possibile spartiacque della stagione.

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.