Inter-Atalanta si può considerare a tutti gli effetti una classica del nostro campionato, nonché uno scontro diretto. Non si tratta soltanto di uno scontro fra la prima e la terza in classifica della passata stagione, ma di una battaglia tattica annunciata: lo è stata nelle ultime due stagioni fra Conte e Gasperini, lo è stata pure stavolta con il nuovo tecnico Inzaghi, che già alla Lazio aveva dato vita a sfide parecchio intense contro l’allenatore degli orobici. La partita, per uno spettatore esterno, deve essersi sicuramente rilevata bellissima: ritmi alti, furia agonistica da ambo le parti, quattro gol, emozioni e pareggio finale. Da parte nostra, avremmo probabilmente preferito una partita più noiosa, come quella dello scorso marzo a San Siro, ma foriera di tre punti in saccoccia. Non è stato possibile, per vari motivi. Il primo è che il mercato ha inevitabilmente cambiato l’identità tattica della squadra: se nella scorsa stagione l’Inter poteva permettersi di aspettare i rivali per poi riversarsi nella loro metà campo con due specialisti del contropiede come Hakimi e Lukaku, ora è un’opzione non più percorribile. Inoltre, i nerazzurri devono ancora registrare molti aspetti nella fase difensiva: Inzaghi è arrivato da poco, è normale che ancora stia lavorando per trovare l’assetto di giusto e la filosofia di gioco più adeguata alle caratteristiche dei suoi calciatori.

Girandola di emozioni

Si è trattato della tipica partita dalle varie facce, nella quale le due squadre si sono alternate nel predominio del gioco, mostrando la versione migliore di se stesse, ma pure l’incapacità di chiudere la partita e quindi una colpevole mancanza di killer-instinct. I primi 20 minuti sono stati di targa interista: gol del vantaggio e altre due chance nitide per segnare il 2-0. Fallite. Poi la reazione violenta dell’Atalanta, tenuta in partita dalla squadra di Inzaghi. Per 25 minuti, i bergamaschi sono stati nettamente superiori: il 2-1 è stato meritato. Nel secondo tempo, la squadra di Gasperini è entrata in campo con lo stesso piglio: diverse le occasioni per segnare il 3-1 e uccidere gli avversari. Fallite. Questa volta è l’Inter ad essere tenuta in vita e allora ecco l’assedio che dura per gran parte del secondo tempo: 2-2, poi tante occasioni per segnare il 3-2, fra cui un calcio di rigore. Fallite. E allora ecco di nuovo l’Atalanta che spinge forte, gol del 3-2. Annullato. Poi l’Inter prova a vincerla e Dzeko ha una grande occasione di testa a un minuto dalla fine, tutto solo. Fallita.

Un pomeriggio di follia a San Siro e di emozioni scatenate all’ennesima potenza: adrenalina pura. Che, purtroppo per (entrambi) i tifosi nerazzurri, hanno portato un punto a testa. Un pareggio casalingo, in ogni caso, non è mai un buon risultato. Per questo bisogna soffermarsi su alcuni problemi che nelle prime sei giornate di campionato, più la sfida di Champions, stanno caratterizzando l’avvio di stagione.

Inter, hai tre problemi

Due riguardano i singoli, l’altro è collettivo. Su tutti e tre Inzaghi dovrà lavorare, anche a costo di assumere decisioni forti. Il primo si chiama portiere e anche ieri è stato sanguinoso. Inutile rimarcare gli errori clamorosi sul 2-1 dell’Atalanta e poi sul 3-2 annullato, con la prima delle due topiche nella stessa azione paradossalmente rivelatasi utile ai fini dell’annullamento della rete di Piccoli. Si tratta di un problema macroscopico su cui non vale neppure la pena discutere: basta tenere gli occhi aperti durante le partite dell’Inter da un anno e mezzo a questa parte. Il fatto che ci si ricordi chiaramente delle (poche) prestazioni positive positive, come quella di qualche giorno fa a Firenze, è d’altronde la prova del nove: quando parliamo di portieri affidabili, dovrebbe accadere il contrario, ovvero ricordarsi delle (sporadiche) partite negative.

La seconda problematica è relativa al terzo centrocampista. L’Inter non riesce a trovare la quadra in quella zona del campo. Barella è uno dei centrocampisti più forti al mondo, ieri ha fatto registrare il suo quinto assist in campionato ed è risultato ancora una volta il migliore in campo. Brozovic  è ormai una sicurezza ed è centrale per il gioco nerazzurro (ieri i momenti critici sono coincisi con le pause del croato), ma i punti fermi nel reparto nerazzurro si fermano qui. Troppo pochi, per una squadra da vertice. Calhanoglu, dopo lo splendido esordio, ha messo in fila una serie di partite poco convincenti e ieri sono arrivati i primi fischi di San Siro. Probabile che, se il suo rendimento non dovesse variare, Inzaghi possa scegliere di affidare a Vecino il posto da titolare. L’uruguaiano, però, è giocatore di quantità più che di qualità: può bastare? Sensi e Vidal non sono affidabili, purtroppo, dal punto di vista fisico più che tecnico. Resterebbe solo Gagliardini. Il reparto è deficitario, ma la rosa è questa e Inzaghi è chiamato a lavorare con il materiale che ha a disposizione.

Il terzo problema, come dicevamo, è collettivo e riguarda le  lunghe pause all’interno della partita. L’Inter ha regalato un tempo al Verona, è stata messa sotto in alcuni frangenti dalla Sampdoria, dominata dalla Fiorentina nei primi 45 minuti e ieri si è concessa troppi momenti di blackout. Non sempre si può rimediare come fatto a Firenze, quando i tre punti sono arrivati ugualmente, ed infatti ieri sono stati persi due punti. Se contro il Real Madrid si poteva parlare di un problema di stanchezza nel finale, ieri il buio è arrivato dopo i primi 20 minuti ben giocati: il problema in questo caso è mentale. Siamo sicuri che Inzaghi stia lavorando per individuarne le cause e la fiducia in lui rimane invariata. Così come rimane invariata anche per un ragazzo di 23 anni che ieri ha vissuto una partita emozionalmente dura.

Federico, siamo con te!

È entrato alla grande, risultando pure decisivo per la rete del 2-2. Lo stesso Gasperini, dopo la partita, ha ammesso candidamente: “L’ingresso di Dimarco ci ha creato tanti problemi, ci ha messo davvero in difficoltà“. Poi il rigore e la grande occasione di diventare l’eroe di giornata. Si può discutere sulla scelta di affidare a un ragazzo così giovane, cresciuto nel vivaio nerazzurro e attualmente nel pieno coronamento di un sogno, il calcio di rigore decisivo. La pressione sarebbe stata tantissima, anche per i più grandi. E qui la questione non è tecnica: il mancino di Dimarco è di grande qualità, ma se un rigore fosse solo tecnica, l’esito diventerebbe materia matematica ed evidentemente non lo è. Senza scomodare tutta la retorica sul fatto che sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli, e poi Baggio eccetera eccetera, vorremmo concentrarci su un aspetto più pratico ed encomiabile: a fine partita, Dimarco si è presentato in tv. Ci ha messo la famosa “faccia”. Ed è stato emozionante osservare direttamente il suo dispiacere nel momento in cui ha riguardato il penalty, i suoi occhi lucidi e la voglia repressa di esultare sotto la sua curva.

Ci sono grandi campioni che non vanno mai a confrontarsi con le interviste dopo le partite negative, ci sono capitani che non ci hanno mai messo la faccia neanche nei giorni più brutti, neanche quando sono loro stessi a determinare il risultato negativo. Un esempio non è molto lontano da noi. E poi c’è Dimarco, un ragazzo cresciuto nelle giovanili nerazzurre, che sta realizzando il suo sogno, che è entrato alla grande, ha sbagliato sul più bello, si è disperato e poi è andato ad assumersi le sue responsabilità davanti all’Italia intera. E allora no Federico, non c’è problema. Il popolo nerazzurro è con te perché il tuo comportamento è stato impeccabile. E adesso pensiamo alla prossima: non c’è tempo per i rimpianti. Martedì l’Inter si gioca una gran fetta di futuro in Champions League.