Era un derby che l’Inter non poteva assolutamente perdere, perché sarebbe significato uscire con tutta probabilità dai giochi scudetto. Ma era anche un derby che l’Inter doveva vincere, perché sette punti di distanza da ben due squadre sono tanti e l’occasione era enorme per accorciare su almeno una delle due lepri in vetta alla classifica. Era però anche il derby del pubblico, che dopo mesi da incubo è tornato a popolare gli spalti del Meazza nella partita più bella, suggestiva, quella che condensa lo spirito aperto, leale ed avveniristico di Milano. Il ritorno delle coreografie, protagoniste da sempre della stracittadina meneghina, è stato emozionante: da una parte i tifosi rossoneri hanno dedicato uno splendido omaggio al personale sanitario impegnato nella lotta al Covid, dall’altra i supporter nerazzurri hanno celebrato le imprese sul campo in grado di far dimenticare, almeno per qualche attimo, una stagione umanamente difficile per tutti noi. Evviva il derby.

Fa tutto l’Inter

È l’Inter che si porta in vantaggio grazie all’astuzia di Calhanoglu, l’uomo più atteso della serata e – come da pronostico – insultato per 90 minuti dai suoi vecchi tifosi. Il turco dimostra una personalità sorprendente, per certi versi inedita, chiedendo di battere il calcio di rigore, segnandolo ed esultando a mo’ di scherno verso quei tifosi furenti nei suoi confronti. Il fatto che nel dibattito pubblico il giocatore venga condannato per un semplice gesto, mentre si passi sopra ad insulti reiterati da parte di un’intera curva, è qualcosa di difficile comprensione. Il rispetto deve essere sempre reciproco: se manca completamente da una parte, è difficile mantenere l’aplomb.

È sempre l’Inter che consente al Milan di pareggiare facendo gol nella propria porta, con un goffo intervento di De Vrij. È di nuovo l’Inter, poi, a guadagnarsi un altro calcio di rigore, stavolta grazie a Darmian, seppur con esiti diversi: Lautaro lo calcia bene, probabilmente anche meglio di Calhanoglu, ma stavolta Tatarusanu intuisce e si supera. Ed è ancora una volta l’Inter a fallire due chance enormi per portarsi sul 2-1, prima con Lautaro da ottima posizione all’interno dell’area di rigore, poi con Barella che, a porta vuota, poteva fare molto meglio.

In generale, il primo tempo è equilibrato, con il Milan a tenere di più il possesso ma i nerazzurri a rendersi maggiormente pericolosi. Calhanoglu è fin dalle prime battute il migliore in campo, così come Darmian che è ottimo in entrambe le fasi di gioco. A mancare, inaspettatamente, sono i due punti fermi del centrocampo, Brozovic e Barella, che soffrono il pressing altissimo del Milan riuscendo a venirne a capo solo in parte: nello specifico, il centrocampista sardo si rende suo malgrado protagonista di un leziosismo sull’occasione che porta al calcio di punizione, che poi diventerà (auto)gol dell’1-1, con un colpo di tacco evitabile. Insufficienti anche le prestazioni di Dzeko e Lautaro: il primo, come Ibrahimovic, soffre i ritmi altissimi delle due squadre, resesi protagoniste di un’intensità da Premier League. Fisiologica questione di età. Sul secondo ci sarà da aprire un capitolo a parte.

Dal dominio alla paura

Se nel primo tempo, come detto, le due squadre tutto sommato si equivalgono, nella seconda frazione è l’Inter a partire nettamente meglio e a tenere in mano il pallino del gioco almeno fino al 75′. C’è tempo per un’occasione sbagliata da Vidal, che si fa murare due volte il tiro da Kalulu, e per un tiro-cross di Calhanoglu che Lautaro non riesce ad intercettare. Si assiste per larghi tratti della ripresa ad un dominio nerazzurro, con il Milan rintanato nella propria area. La sensazione è che con i cambi la squadra di Inzaghi possa sbloccare il derby e portarlo a casa, ma avviene il contrario: sono quelli di Pioli ad invertire l’inerzia della partita. Rebic si dimostra fondamentale, mentre i forfait per infortunio di Dzeko e Barella (seppur non stessero giocando una grande partita) hanno l’effetto di annullare l’Inter. Dumfries e Correa non incidono mai, entra anche Sanchez per Lautaro ma i nerazzurri non ne tengono più una, ennesima riprova che il Tucu e il cileno, insieme, sono coppia male assortita perché nessuno riesce a far salire la squadra nei momenti difficili. A gennaio sarebbe il caso di investire su un vice Dzeko, qualcuno che abbia stazza fisica sufficiente a non rendere l’Inter perennemente dominata quando il bosniaco – che ha 35 anni – fisiologicamente si assenta.

L’Inter passa, è proprio il caso di dirlo, un “brutto quarto d’ora”, bersagliata dai tentativi rossoneri, prima con una punizione di Ibrahimovic, poi con un tiro alto di Bennacer, poi con un palo di Saelemaekers e il successivo errore a botta sicura di Kessié che spara alto. A fine partita, nonostante il risultato sia negativo per l’Inter e positivo per il Milan, c’è anche spazio per il sollievo: la sensazione è che, se si fosse giocato per altri cinque minuti, questa partita i nerazzurri l’avrebbero persa. Sette punti, lo abbiamo detto, sono tanti, ma consentono all’Inter di continuare a coltivare una piccola speranza scudetto. La sconfitta sarebbe stata devastante.

Un Toro domato…da un mese

L’ultimo gol di Lautaro Martinez risale al 2 ottobre scorso, quando segnò il calcio di rigore della vittoria a Reggio Emilia contro il Sassuolo. Ma il problema non è rappresentato solo dal gol, seppure sia fondamentale per un attaccante che, in aggiunta, tende ad innervosirsi in maniera evidente quando questo non arriva. Il problema è che il Toro, a dispetto di quanto ha dimostrato nelle ultime due stagioni nerazzurre, è oggi facilmente controllabile dalle difese avversarie, a parte qualche estemporaneo sprazzo di classe (vedi l’anticipo di ieri su Tomori con il controllo a seguire): troppo poco, per il giocatore che dopo l’addio di Lukaku e Hakimi è stato insignito di un ruolo fondamentale all’interno dello scacchiere nerazzurro. Spesso appare svogliato e avulso dalla manovra, come in occasione della partita contro la Juventus.

Ieri ha fallito un calcio di rigore, può capitare, ma se possibile è più grave l’errore successivo, quando non centra nemmeno la porta calciando all’altezza del dischetto del rigore. Dall’ultima sosta in poi, Lautaro è stato raramente pericoloso, rendendosi protagonista solo di un assist – ad Empoli – per il gol dello 0-2 di Dimarco, a seguito di un primo tempo da dimenticare. Una cosa è certa: se nelle prestazioni (di conseguenza nei gol) manca Lautaro, e sta mancando, diventa davvero difficile coltivare ambizioni di vittoria. Così come diventa difficile se in una statistica fondamentale l’Inter rimane ancora ferma a quota zero vittorie.

Scontri diretti, non può essere solo sfortuna

Sì, ieri il rigore e i gol sbagliati, l’autorete di De Vrij; con la Juventus il penalty concesso da Dumfries quando l’Inter stava tranquillamente amministrando il vantaggio; con la Lazio il gol con l’uomo a terra; con l’Atalanta il rigore fallito all’ultimo secondo da Dimarco. Tanti episodi hanno condannato l’Inter nei quattro scontri diretti fin qui disputati, è vero: ma è corretto continuare ad appellarsi agli episodi e, indirettamente, alla sfortuna? Al “non ci è girata bene”? Se questa dinamica si ripete per ben quattro match, secondo noi no. All’Inter manca la cattiveria per chiudere le partite, per volgerne l’inerzia a proprio favore, per azzannare l’avversario quando è alle corde: i gol sbagliati sono proprio sintomo di questo problema. Il girone di ritorno dello scorso campionato è stato contraddistinto dalla capacità dell’Inter di prendersi i tre punti in ogni circostanza, assumendo il dominio sugli episodi e sulle variabili intrinseche ad ogni partita, che contro avversari di spessore aumentano.

L’incapacità di vincere i big match, se prolungata, renderà impossibile all’Inter ambire ai traguardi più ambiziosi. Ai nerazzurri servirà ritrovare la verve della passata stagione, la fame che l’ha contraddistinta. D’altro canto, le prestazioni ci sono sempre state e l’orgoglio di essere i campioni in carica, come ha ben ricordato ieri la Curva Nord, è sempre sceso in campo con i nostri ragazzi. Che però ne sono usciti senza i tre punti, sempre. Inzaghi riparta da qui. Dopo la sosta c’è Inter-Napoli.

 

 

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.