Ok, nell’uovo di Pasqua non è arrivato l’aggancio e neppure il sorpasso. I tifosi dell’Inter dovranno continuare ad accontentarsi di quello virtuale, che passa dalla partita (difficilissima) con la Roma prima e da quella con il Bologna poi, per la quale c’è finalmente una data e un orario (mercoledì 27 aprile, ore 20:15).

L’avvicinamento alla sfida con lo Spezia era stata caratterizzata dalle insistenti ipotesi sul ricorso al turnover. Simone Inzaghi, invece, ha stupito tutti: il tecnico piacentino ha “rischiato” Bastoni e Perisic diffidati, dunque niente Dimarco e niente esordio da titolare per Gosens; niente Darmian, confermato Dumfries; niente coppia argentina Lautaro-Correa. La scelta che fa più rumore è ovviamente l’esclusione del Toro in favore di Dzeko. Il Tucu e il bosniaco, tuttavia, hanno dato nuovamente risposte positive. Certo, non hanno replicato le splendide prove individuali offerte contro il Verona, che tuttavia aveva concesso più spazi alle avanzate nerazzurre. Correa, però, ha dato ancora l’impressione di essere uno dei pochi in grado di “strappare” con efficacia, abbassandosi come di consueto a centrocampo e fraseggiando con i centrocampisti, oltre che con gli esterni. Gli spazi, tuttavia, erano davvero stretti: merito anche di Thiago Motta e della sua ottima preparazione di gara, basata su costanti raddoppi e sull’occupazione degli spazi in entrambe le fasi. E a stappare la partita, allora, non poteva che pensarci l’Indispensabile.

Questione di certezze

L’Inter, a La Spezia, ha vinto grazie alle sue certezze. Due di queste si sono palesemente materializzate nell’azione del primo gol. Marcelo Brozovic ha addirittura aperto e concluso l’azione, servendo D’Ambrosio, avvalendosi della sua sponda e calciando meravigliosamente in porta addirittura con il piede debole, il sinistro. Ogni discorso sull’imprescindibilità di Brozo sarebbe oramai superfluo: d’altronde, parlano i risultati in campo senza di lui ed è doveroso che l’Inter in estate intervenga sul mercato, poiché non si può dipendere completamente da un solo calciatore, per quanto valido sia. Il croato, però, sta consacrando a suon di prestazioni il suo ruolo di assoluto leader tecnico: il gol di ieri ha un peso specifico immenso ed è l’ennesima dimostrazione del livello raggiunto da questo ragazzo che, un tempo, era discontinuo e svagato in mezzo al campo. E poi c’è Danilo D’Ambrosio, la cui stagione – e probabilmente il percorso in nerazzurro – è stata ben condensata dalle parole di Simone Inzaghi dopo la gara: “Da quando sono qui, non ha sbagliato una partita”. No, Simone. Non solo da quando ci sei tu. Perché dopo i primi anni di assestamento, D’Ambrosio è la certezza per eccellenza, in casa Inter.

E poi, a proposito di certezze, la squadra di Inzaghi ha ritrovato un Barella in forma smagliante, capace di illuminare le trame di gioco e di macinare i consueti chilometri, pur preservando lucidità e classe nelle giocate. C’è un Perisic che, dopo la prova mostruosa di sabato scorso contro il Verona, parte piano ma poi carbura, eccome se carbura, piazzando anche l’ennesimo assist in occasione del secondo gol. Skriniar giganteggia di nuovo, ancora da centrale difensivo, ruolo nel quale è sempre più a suo agio e che, chissà, potrebbe anche essere un indizio sul suo impiego nella prossima stagione. Nei primi dieci minuti del secondo tempo l’Inter ha obiettivamente sbandato e, non a caso, Inzaghi lo ha sottolineato dopo la partita, indicando quel momento come l’unico tratto di gara che non gli è affatto piaciuto. Tuttavia, quando a proteggere la tua area c’è Skriniar, il modo per limitare i danni si trova sempre: lo slovacco si è frapposto ancora una volta fra gli avversari e la porta, salvo sul gol di Maggiore, quando non ha potuto nulla contro la bellezza del tiro. Ah, sempre parlando di certezze, ce n’è una che – per valore tecnico – dovrebbe essere tale e che sempre più spesso viene messa in discussione.

Toro, che risposta!

Dobbiamo dirlo obiettivamente: il 2022 di Lautaro ha finora deluso le aspettative. Ci sono però due modi per giudicarlo, analizzarlo e, perché no, criticarlo: il primo è perdersi in corbellerie affermando che in fondo si tratti di un sopravvalutato, di un attaccante da provincia; il secondo, quello di chi le partite le guarda, corrisponde ad essere esigenti con lui e criticarne le prestazioni quando non si attestano sul livello che a Lautaro compete. Perché il livello è davvero alto, quello deve essere il punto di partenza. Lautaro ieri ha dimostrato di essere forte due volte: tecnicamente, perché non si spiegherebbe altrimenti il colpo geniale con il quale ha siglato lo 0-2; mentalmente, perché la maniera in cui è entrato in campo è stata eccezionale. Ah, ce ne sarebbe una terza: comunicativamente. Per il modo in cui ha parlato dopo la gara. Ha detto bene, il Toro: “L’unica cosa che conta qua è l’Inter“.

Stiamo vivendo tutti, anche da tifosi, settimane di grande pressione. Lautaro, ovviamente, non fa eccezione: è il giocatore dal quale ci si attende il colpo da campione, l’uomo-copertina dall’addio di Lukaku in poi, il numero dieci, quello del rinnovo a cifre da top player. E, per non farsi mancar nulla, il suo nome è pure costantemente inserito nella lista dei partenti, dei sacrificabili nella prossima estate. E così, dopo tanto vociare, il Toro ieri aveva proprio voglia di mangiarsi il mondo fin dal primo minuto: Inzaghi ha scelto Correa, Lauti è stato bravo a mantenere quella ferocia anche in panchina, attendendo il suo momento. L’ingresso in campo ha spaccato la partita: grinta, qualità nelle giocate (non solo quella del gol), lucidità (come nell’assist per Sanchez). Esattamente lo spirito che serve all’Inter in questo finale di stagione. Ha esultato in maniera rabbiosa dopo il gol, certo, ma la capacità di trasformare la delusione per la panchina in motivazione extra, anziché in propulsore depressivo, è sicuramente apprezzabile e incoraggiante. Questo deve essere lo spirito-guida per questo finale di stagione, da parte di tutti, anche di chi entra nel finale: niente personalismi, niente risentimenti, niente pensieri rivolti al futuro. Conta solo vincere, conta lo sguardo negli occhi degli avversari, conta batterli sonoramente. E poi magari alzarli, quegli occhi, verso le stelle. Per guardarne due.

 

24 anni, laureato in "Scienze della Comunicazione" presso l'Università della Calabria. L'Interismo è qualcosa che scorre dentro senza freni, in maniera totalmente irrazionale. Condividere questo sentimento è magnifico, scrivere di Inter ancora di più.